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Bonanza greca per gli hedge fund

 

I portavoce dell’hedge fund Paul Johnson hanno preferito non commentare la notizia di grossi guadagni realizzati giocando sul debito sovrano greco. Non commentare è la prassi per qualsiasi hedge fund. Società inesistenti per il grande pubblico fanno dell’understatement una delle chiavi del loro successo. Eppure uno dei centri studi inglesi che monitorano l’azione di queste società finanziarie stavolta non ha dubbi.
Tre-quattro hedge fund, tra cui il Paul Johnson (il nome del fondatore), hanno giocato un ruolo rilevante nei mesi scorsi realizzando grossi guadagni. Hanno i mezzi e anche le informazioni. Certo, possono depistare dichiarando che i loro interessi sono ancorati a Wall Street, ma questa dichiarazione rivela semplicemente come siano sfuggenti e in un certo senso impalpabili.
È andata bene anche a Clive Capital con la guerra di Libia. In un mese questo fondo specializzato nel trattare materie prime ha guadagnato il 5%, cioè 250 milioni. Avendo sottoscritto contratti di acquisto di petrolio a prezzi sensibilmente superiori a quelli di mercato, nei mesi di novembre e dicembre del 2010 ha potuto rivenderli proficuamente. Non sono stati i soli a guadagnare, ma nessuno quanto loro.
Le storie di questi due fondi,che legano una parte consistente dei loro profitti a vicende politiche, si amalgamano perfettamente nel trend ampiamente positivo per tutto il settore. Nell’ultimo semestre del 2010 gli hedge fund hanno guadagnato 88 miliardi di euro. I primi dieci circa 32, realizzando profitti nettamente superiori alle prime sei banche del mondo: cioè Goldman & Sachs, JP Morgan, Citigroup, Morgan Stanley, Barclays e Hsbc.
Meglio ancora sta andando nel 2011. Nei primi quattro mesi i profitti realizzati sono 79 miliardi. Vi vanno aggiunte le capitalizzazioni dei titoli in loro possesso. La finanza delle scommesse è oggi cosi redditizia che Citygroup – una delle banche che ha ricevuto oltre 45 miliardi di dollari da Obama per il proprio salvataggio – ha infranto tutte le regole pur di restare nel mercato piu lucrativo. Per avere il prestito bisognava rinunciare ad entrare nel mercato dei derivati con i propri soldi per non rischiare il capitale. Citygroup non l’ha fatto e alle autorità ha risposto che solo facendo cosi avrebbe potuto restituire il prestito.
Nonostante guerre e crisi questo genere di finanza guadagna benissimo. E continua a pagare poche tasse. Il 15% sull’utile dichiarato e i paesi beneficiari sono solo Stati Uniti e Gran Bretagna, nonostante intervengano su tutte le partite finanziarie di questo mondo. Ma anche li è ormai guerra aperta, perchè le operazioni di trading finanziario nei paradisi fiscali sta sottraendo somme sempre più ingenti al fisco Usa. Secondo le stime di diverse istituzioni, fatte proprie da una parte dei senatori democratici, oltre 100 miliardi di dollari sono sottratti al fisco americano con operazioni che nascono negli Usa e si concretizzano in un secondo momento nei paradisi fiscali. O addirittura figurano realizzate in queste località, dove neppure esiste un ufficio operativo degli hedge fund ma solo una finzione legale di società. Il senato americano ha avviato una serie di proposte legislative per arginare il fenomeno, ma le probabilità sono scarse per l’opposizione dei repubblicani.
C’è una evidente sproporzione tra ciò che rappresentano gli hedge fund oggi nell’economia mondiale e l’attenzione ad essi riservata dalla politica e dalle autorità finanziarie. Al massimo li si cavalca. È cosi che gli enti locali italiani, circa 500, alla fine del 2009 risultavano impegnati per circa 30 miliardi in questo mercato. In parte si tratta di sottoscrizione, in parte di emissione. Quindi li si usa per fare cassa, ma non si affronta il problema da loro rappresentato. La finanza derivata ormai assorbe quasi il 50% dei profitti mondiali. Nella piu completa opacità, fuggendo attraverso i paradisi fiscali, godendo di aliquote assolutamente ridicole rispetto alla tassazione dei profitti industriali.
Per otto anni di seguito si sono assegnati i premi Nobel dell’economia a personaggi che ci hanno spiegato come il rischio nella finanza diminuiva costantemente. Come è andata lo sappiamo. Speriamo che presto arrivi qualcuno a formulare una proposta per tassare e arginare questa finanza socialmente senza responsabilità.
da “il manifesto” del 24 luglio 2011

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