Menu

Mirafiori. I Suv vanno negli Usa e qui lasciano una Topolino

e lascia in Italia, a Mirafiori in primo luogo, sombolo stesso della storia del Lingotto, soltanto una citycar dai margini risicati che, se non dovesse incontrare il favore di un pubblico ormai squattrinato, potrebbe rivelarsi anche il colpo finale alla produzione di auto in questo paese.

A seguire, gli articoli da Repubblica e Il Sole 24 Ore

****

Mirafiori produrrà la Topolino
i suv vanno negli Stati Uniti 

I sindacati chiedono un incontro urgente con Marchionne. La Camusso: il governo non perda tempo e convochi un tavolo con l’azienda 
di PAOLO GRISERI 

TORINO – Ora i sindacati temono che Mirafiori diventi marginale nella mappa degli stabilimenti europei della Fiat. Lo chiamano “rischio vetturetta” e ieri sono arrivate le prime indiscrezioni che confermerebbero quei timori. Il Lingotto, naturalmente, non commenta le voci e forse qualche elemento potrà emergere dalla riunione del vertice della società, in programma a Torino oggi e domani. Per il momento restano le indiscrezioni riprese ieri da Bloomberg secondo cui “il suv sarebbe destinato agli Stati Uniti e a Torino andrebbe una city car”. Altre indiscrezioni parlano della produzione della Trepiuno, una sorta di riedizione della Topolino. A motivare la scelta l’apprezzamento dell’euro sul dollaro (salito del 9 per cento da novembre a oggi) e soprattutto il fatto che il mercato europeo dei suv non è così favorevole come si sperava.

A queste ragioni si aggiungerebbe l’opportunità di offrire ai sindacati americani un aumento dell’occupazione in cambio della loro disponibilità a non modificare in modo sostanziale gli accordi sul costo del lavoro, oggi molto favorevoli all’azienda. Proprio nei giorni scorsi, nel cuore di una trattativa particolarmente delicata per il futuro stesso del sindacato dell’auto di Detroit, King aveva chiesto alle controparti più produzione e più modelli. E’ chiaro che delle tre case americane quella che ha maggiore interesse a venire incontro alle richieste di King è proprio la Chrysler che deve ancora contrattare con il sindacato la vendita delle rimanenti

quote in mano al fondo pensionistico Veba.

“L’ipotizzato cambio di produzione a Torino – commenta Susanna Camusso, leader della Cgil – dimostra che non basta la politica delle telefonate e degli ammiccamenti. Se il governo ha un minimo di autorevolezza, recuperi il tempo perduto e convochi un tavolo con l’azienda per chiarire quali sono davvero i piani. Il governo dimostra invece di non avere una relazione positiva con le imprese. Tanto che accetta, senza reagire, il fatto che un’impresa come la Fiat subordini l’investimento a Mirafiori alla motivazione di una sentenza. Come se un investimento potesse dipendere dall’applicazione delle leggi”.

I sindacati che avevano fatto campagna per il sì a Mirafiori nel referendum d’autunno hanno chiesto un incontro urgente ai vertici del Lingotto. Fim, Uilm e Fismic ricordano infatti che i termini dell’accordo erano precisi: “Era chiaro – ricorda per la Cisl torinese Claudio Chiarle – che sarebbero state rispettate quattro condizioni: la produzione di modelli di gamma alta con un buon margine di profitto, l’entità dell’investimento, i volumi produttivi e la quantità di occupazione”. Teoricamente quei quattro punti andrebbero rispettati. La Fiat ha garantito al presidente del Piemonte, Roberto Cota, che l’investimento sarà analogo a quello previsto per i suv, cioè un miliardo di euro. Ma è evidente che una minicar non garantirebbe gli stessi livelli occupazionali né gli stessi margini di guadagno. Un punto, quest’ultimo, di particolare importanza per un sindacato perché le produzioni di qualità sono più difficili da trasferire nei paesi dove è basso il costo del lavoro. La questione dell’occupazione è stata sollevata ieri dalla Fiom: “Se si realizza una minicar – ha detto Giorgio Airaudo – si prepara un nuovo ridimensionamento per Mirafiori”.

*****

Verso gli Usa i suv del Lingotto. Per il futuro di Mirafiori spunta l’alternativa della citycar

di Marco Ferrando

 

Sempre più improbabile l’avvio delle linee dei suv, destinati a essere prodotti negli Usa, per il futuro di Mirafiori spunta l’alternativa della citycar. In base a quanto reso noto ieri dall’agenzia Bloomberg, che citava fonti vicine al Lingotto, sarebbe questa una delle ipotesi che oggi e domani finiranno sul tavolo del global executive council, l’organo di vertice di Fiat-Chrysler che per la prima riunione ha deciso di incontrarsi a Torino.

Tra i punti all’ordine del giorno per i 22 top manager, la revisione del piano prodotti con annessi stabilimenti di produzione. Si tratta del banco di prova dell’integrazione tra Fiat e Chrysler, perché significa ragionare non solo di modelli ma anche di piattaforme, che di fatto rappresentano il punto d’incontro tra know how e caratteristiche di Fiat, Alfa e Lancia da un lato e i marchi americani dall’altro. In quest’ottica, la vicenda di Mirafiori è cruciale, perché la scelta di realizzare a Torino il suv avrebbe significato portare in Italia una piattaforma americana, su cui realizzare vetture a marchio Alfa Romeo ma anche Jeep, dunque raggiungendo il massimo livello dell’integrazione possibile tra le tradizioni Fiat e Chrysler. Un’operazione complessa ma anche costosa, visto che il mercato di riferimento per i suv è quello americano, e produrre in Italia con i costi dell’area euro per vendere oltreoceano con i prezzi in dollari non è conveniente; senza contare, poi, le condizioni offerte dal nuovo contratto collettivo Chrysler, atteso per metà mese. Di qui il possibile cambio di direzione su Mirafiori, fatto trapelare alla fine della settimana scorsa da Fiat e ufficializzato lunedì mattina da Sergio Marchionne al governatore del Piemonte, Roberto Cota.

Sfogliare la margherita dei possibili modelli sostitutivi è esercizio inutile, fanno capire dal Lingotto, perché una decisione non sarà presa prima delle prossime ore, tra l’altro con il contributo di uno dei promossi dell’ultima tornata di nomine, Gianni Coda, responsabile per la produzione dell’area europea nonché vicepresidente dell’Unione industriale di Torino. Ma lo scenario ipotizzato da Bloomberg è effettivamente uno dei più realistici: esclusi i suv, le monovolume (Serbia) e il segmento D (dopo la Croma non sono previsti nuovi modelli a marchio Fiat), non restano che le mini e il segmento C, anche se in questo caso Mirafiori si troverebbe a concorrere con uno stabilimento altamente performante come quello polacco di Tychy, Pomigliano (mini) oppure Melfi-Cassino, che oggi si spartiscono Punto, Bravo, Giulietta e Delta. Altra ipotesi in fase di valutazione, quella di un piccolo suv a marchio Jeep.

Nelle ultime versioni pubblicate, il piano Fiat prevede di avviare la produzione di un’utilitaria nel 2013, ma sia sui tempi dell’operazione (la produzione dei suv era prevista per fine 2012) sia sui numeri il quadro resta incerto, tanto è vero che ieri Fim, Uilm, Fismic, Associazione Quadri e Ugl hanno inviato una lettera al Lingotto per chiedere un incontro sul futuro dello stabilimento di Mirafiori «per chiarire la situazione». Secondo il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, «il governo dovrebbe smetterla di fidarsi di telefonate e convocare subito un tavolo», ma la preoccupazione è condivisa: «Occorre – ha commentato ieri il segretario torinese della Fim-Cisl, Claudio Chiarle – salvaguardare la produzione di una vettura di gamma alta con un buon margine di profitto, l’entità dell’investimento, volumi produttivi e occupazionali analoghi a quelli previsti finora».

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *