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C’euro una volta…

Una rottura che arriva alla vigilia di un G7 da cui tutti i protagonisti invitavano a non attendersi nulla. E che segnala l’indisponibilita’ della Germania a farsi carico – a breve o lungo periodo – dei costi del “risanamento” delle finanze pubbliche continentali. Uno stop di queste dimensioni a un processo che si pensava inarrestabile non puo’ che produrre un’individualizzazione delle risposte nazionali che aggrava le incertezze e moltiplica i focolai di crisi. Pubblichiamo una prima carrellata di reazioni, segnalando subito la frase con cui il ministro del Tesoro Usa, Tim Geithner, definisce l’attuale crisi molto piu’ grave di quella del 1929. Ci sembra la presa d’atto che la situazione sta andando fuori controllo e che nessuno, ai piani alti delle istituzioni decisive, ha la piu’ pallida idea di cosa fare “sistemicamente” per uscirne. La tentazione nazionalista in questi casi e’ la piu’ “naturale”. E letale.

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da Il Sole 24 Ore

Geithner: l’euro deve sopravvivere

È «nell’interesse degli Stati Uniti che l’euro sopravviva»: lo ha detto, in un’intervista televisiva a margine del G7 finanziario di Marsiglia, il segretario al Tesoro statunitense Timothy Geithner. Secondo Geithner, inoltre, l’attuale crisi finanziaria è «più forte di quella che fu all’origine della Grande Depressione degli anni Trenta». «È molto importante per tutti i Paesi che gli europei facciano quello che devono fare», ha aggiunto il segretario al Tesoro di Obama.

I governi dell’eurozona, ha sottolineato, «si stanno muovendo, ma devono dimostrare di avere una vera volontà politica» di portare avanti le riforme. Geithner ha indicato a Bloomberg Television che non c’é l’aspettativa di una decisione coordinata del G7 e non si devono attendere «cambiamenti significativi» rispetto alle politiche del club dei paesi più industrializzati.

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Stark: «Le banche aiutino Atene»

dal nostro corrispondente Beda Romano

Crisi greca e ripresa economica continuano ad andare a braccetto nella zona euro. In questa intervista al Sole/24 Ore, Jürgen Stark, membro del comitato esecutivo della Bce, fa capire che nonostante la crisi debitoria di molti paesi la politica monetaria è destinata a diventare più restrittiva nei prossimi mesi. Nel contempo, il 63enne banchiere centrale rifiuta l’idea di una ristrutturazione del debito greco, ma apre alla possibilità di un rinnovo volontario dei prestiti da parte delle banche, la cosiddetta Iniziativa di Vienna. Sarà questo il compromesso che permetterà ai paesi come la Germania di accordare nuovi aiuti alla Grecia? Infine, Stark interviene nel dibattito su un eventuale avvicendamento nel comitato esecutivo della Bce, con l’arrivo di Mario Draghi alla presidenza, sttolineando la necessità di difendere l’indipendenza dell’istituto monetario e dei suo esponenti.

L’economia europea mostra segnali di rallentamento. Quanto preoccupanti?

Fortunatamente la ripresa appare basarsi non solo sulle esportazioni, ma anche sulla domanda interna. Il primo trimestre è stato molto buono, anche per via di un inverno rigido e nevoso che aveva pesato sull’ultimo trimestre del 2010. Nonostante il rallentamento delle ultime settimane, il ritmo di crescita resta intatto. Non abbiamo a che fare con una frenata strutturale dell’economia, e ci aspettiamo che la ripresa continui, peraltro meno dipendente dallo stimolo fiscale o monetario.

I prezzi al consumo sono saliti del 2,7% annuo in maggio. Due mesi fa avete aumentato il costo del denaro. E’ giusta l’interpretazione secondo la quale la prossima stretta monetaria sarà in luglio?

Le proiezioni dello staff dell’Eurosistema pubblicate in marzo prevedono un’inflazione sopra al 2,0% in media nel 2011. Non vediamo un aumento delle aspettative di inflazione né un travaso sui salari. Ma considero che il tasso di riferimento della Bce – all’1,25% dopo l’aumento deciso in aprile – è ancora molto basso. In questo contesto economico non è appropriato che i tassi d’interesse reali a breve termine siano negativi. Ulteriori aggiustamenti dei tassi d’interesse sono in considerazione. La loro tempistica dipenderà dai dati economici e monetari.

Dobbiamo quindi immaginare ulteriori aumenti nella seconda parte dell’anno, dopo la stretta monetaria attesa per luglio?

Non abbiamo preso alcun impegno su una possibile traiettoria dei tassi d’interesse a breve. Qui voglio solo affermare chiaramente che attualmente tassi d’interesse reali negativi non sono più appropriati viste le proiezioni economiche e sull’inflazione. A giugno la BCE dovrà decidere se rivedere le operazioni di rifinanziamento al settore bancario, e tornare al tasso variabile nelle aste a tre mesi, un mese e una settimana. Che cosa dobbiamo aspettarci? Il processo di dismissione delle misure non standard è già in corso. Un anno fa le nostre operazioni di liquidità garantivano circa 900 miliardi di euro alle banche della zona euro. Oggi l’ammontare dato in prestito è di circa 430 miliardi. L’uscita dalle misure di emergenza decise tra il 2008 e il 2009 sta quindi avvenendo in modo graduale. Il sistema interbancario funziona meglio, anche se in alcuni paesi – quelli in crisi debitoria – ci sono ancora difficoltà.

Cosa può fare la Bce per questi gli istituti di credito sempre in crisi di liquidità?

Non posso anticipare le decisioni del consiglio direttivo. Il quadro operativo deve rimanere uguale per tutte le banche. Inoltre, non abbiamo intenzione di interrompere l’attuale modalità di erogazione di liquidità alle banche dall’oggi al domani, ma vogliamo ridurre la dipendenza dalla liquidità della Bce di alcune banche. Al contempo vogliamo che i governi nazionali siano partecipi nei necessari processi di ricapitalizzazione o di ristrutturazione.

Tra i paesi in difficoltà c’è certamente la Grecia, oggetto di un infinito tira-e-molla con i suoi partner europei sul programma di risanamento delle finanze pubbliche.

La palla è nelle mani del governo e del parlamento in Grecia. Non ci sono alternative: il governo deve risanare i conti e privatizzare le tante attività di cui è proprietario. Vorrei farle notare che se il piano di privatizzazioni fosse applicato come previsto, il debito potrebbe scendere del 20% entro il 2015, e dare quindi un contributo alla sostenibilità.

Il consiglio direttivo continua a essere contrario a qualsiasi ristrutturazione o riscadenzamento del debito greco.

C’è molta confusione sui mercati e nella pubblica opinione su questi temi. Noi siamo convinti che un fallimento, o qualsiasi cosa che potrebbe apparire come un fallimento, deve essere evitato. Provocherebbe infatti conseguenze spaventose sulle banche greche, sull’economia greca e poi naturalmente sugli altri paesi già oggi in difficoltà debitoria.

E’ probabile che la Grecia non riesca a tornare sul mercato nel 2012, come previsto. Nuovi aiuti potrebbero essere necessari. I partner europei sono però restii a dare nuovi prestiti, per paura di inimicarsi la propria pubblica opinione. Si discute della possibilità di applicare l’Iniziativa di Vienna, un’intesa usata nel 2008-2009 in Europa dell’Est e che prevede il rinnovo dei prestiti da parte delle banche. E’ un compromesso accettabile?

Prima di tutto, è da vedere se la Grecia sarà in grado o no di tornare sui mercati l’anno prossimo. Comunque l’Iniziativa di Vienna prevede la decisione volontaria da parte delle istituzioni finanziarie di rinnovare le proprie obbligazioni a un paese. Se questa possibilità non è percepita come un fallimento o un parziale fallimento sovrano, allora potrebbe in effetti rivelarsi un modo per coinvolgere il settore privato nel finanziamento della Grecia.

Alcuni osservatori sostengono che la Bce è contraria alla ristrutturazione del debito greco perché metterebbe in luce il fallimento della sua strategia. Dopotutto, nel maggio del 2010 avete deciso di acquistare obbligazioni pubbliche sui mercati facendo affidamento su politiche economiche che avrebbero dovuto in ultima analisi risanare i conti dei paesi in difficoltà.

Un anno fa il consiglio direttivo ha deciso l’acquisto di obbligazioni per evitare impedimenti alla normale trasmissione della politica monetaria. Oggi la situazione è ben diversa. Da nove settimane non siamo più intervenuti sul mercato. E mi sembra una scelta appropriata.

Aiutare la Grecia con nuove linee di credito potrebbe non tranquillizzare i mercati. Non crede che l’Unione abbia bisogno di un quadro istituzionale diverso?

I prestiti ai paesi in difficoltà non sono la questione chiave. Permettono soltanto a un governo di non essere costretto a rivolgersi al mercato e di avere tempo per rimettere ordine nella propria economia. Piuttosto a Bruxelles si sta discutendo di come rafforzare il Patto di Stabilità e di Crescita, migliorare la sorveglianza macroeconomica per evitare nuovi squilibri all’interno della zona euro. Noi siamo dell’avviso che sia necessario introdurre una quasi automaticità nelle sanzioni e limitare la discrezionalità politica.

A questo proposito: una delle possibilità è di intervenire direttamente nella politica economica greca, per esempio affidando le privatizzazioni a un ente europeo. E’ possibile oggi fare un salto di qualità di questo tipo?

L’unione monetaria prevede già oggi una sovranità nazionale limitata, un aspetto finora poco riconosciuto. Non solo la Bce prende decisioni di politica monetaria per tutta la zona euro, ma anche l’andamento dei conti pubblici nazionali è controllato dall’esterno e sanzionato se necessario.

Si può fare di più?

Francamente, i paesi partner hanno dimostrato un altissimo grado di solidarietà nei confronti degli stati membri in crisi. Se in ultima analisi i paesi in difficoltà non introducessero le necessarie misure di aggiustamento, interferire nelle loro politiche nazionali potrebbe rivelarsi a un certo punto necessario per assicurare il corretto funzionamento dell’unione monetaria.

Un’ultima domanda. Con la nomina di Mario Draghi alla presidenza della Bce ci saranno due italiani nel comitato esecutivo – oltre allo stesso Draghi, anche Lorenzo Bini Smaghi. Regole europee di buona creanza dicono che è meglio non avere due membri della stessa nazionalità. Come si può risolvere la situazione senza mettere a repentaglio l’indipendenza della banca?

Mi limiterò a dirle che non sono a conoscenza di regole di questo tipo e che un esponente del comitato esecutivo ha un mandato di otto anni.

 

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da “il manifesto”

Galapagos

Il sogno di una Unione europea basata su una moneta unica ha ricevuto un colpo pesantissimo: le dimissisoni del tedesco Jurgen Stark dal board Bce per dissensi sulla politica di sostegno, cioè acquisto di titoli del debito pubblico spagnolo e italiano, da parte della banca di Francoforte.

Le dimissioni di Stark seguono di pochi mesi quelle di Weber dalla presidenza della Bundesbank. Anche lui era in disaccardo con la politica della Merkel. In Germania la coerenza non manca. Tuttavia la crisi che si è aperta è durissima e conferma che con il solo euro non si costruisce una Unione europea. Ora potrebbe accadere di tutto perché i prossimi mesi nelle maggiori economie ci sarà una ricaduta nella recessione o quantomeno in un periodo prolungato di stagnazione.
Lo spettro di un raffreddamento delle economie sta facendo riemergere le paure e gli egoismi nazionali. Anche nella potente Germania per la quale l’Ocse prevede nei prossimi trimestri una caduta del Pil. Paradossalmente Berlino pagherà le conseguenze delle politiche restrittive imposte a altri paesi come condizione per non farli fallire. Si tratta, come nel caso della Grecia, di condizioni capestro che stanno distruggendo il tessuto socio economico del paese.

Verrebbe da dire che siamo di fronte a una legge del contrappasso se non fosse che la questione è molto seria e coinvolge direttamete l’Italia che rischia – come ha dichiarato ieri un banchiere di gran nome – di diventare una Grecia 2 per colpa di un governo inesistente e incapace.
Le responsabilità della Germania sono enormi: con il suo comportamento ha ritardato in passato l’approvazione degli aiuti alla Grecia e quando questi sono stati varati è stato chiaro che a beneficiarne sarebbero state la banche tedesche e inglesi, ma non la popolazione e l’economia ellenica.

Ma le colpe non sono mai individuali: la posizione tedesca è stata sposata – con alcuni distinguo – da tutti i paesi dell’euro. Si sono persi mesi di tempo in inutili discussioni sulla impraticabilità del default della Grecia (avrebbe colpito le banche creditrici e non gli operai di Wolsburg) e perfino sulla rinegoziazione del debito che secondo le tre monopoliste mondiali del rating sarebbe stato equivalente a un default, con ricadute sulle banche che avevano assicurato quel debito pubblico.
La Grecia è un paese di enormi contraddizioni, cioè con una terrificante distribuzione del reddito e con l’assenza di una adeguata struttura produttiva. Questo significa che è un perfetto mercato di sbocco per merci estere. Anche per questo motivo si è lavorato per costringere Atene a rimanere nell’euro: un ritorno alla dracma con conseguente svalutazione avrebbe di fatto bloccato le importazioni nel paese. La nascita dell’euro era stata salutata come l’abbattimento (economico) del muro di Berlino. Oggi quel muro è stato ricostruito, ancora più alto e invalicabile per i popoli.

 

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