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Fiat accelera l’abbandono dell’Italia

Lì si parlava solo di Termini Imerese come impianto a “fine corsa”. Ora tocca a Irisbus, ad Avellino, e pure Mirafiori non vive giorni tranquilli (semplicemente non si è ancora capito quali modelli vi dovrebbero venir costruiti; non è un dettaglio secondario, perché dai “pianali” che dovranno venir assemblati dipende la struttura stessa della catena da costruire. Insomma, finché non si decide il modello, non si comincia a impiantare la linea; tutto resta fermo).

AUTO Ghosn (Renault-Nissan): «Industria a rischio, se la crisi si estende»
Alfa Romeo ritarda il lancio della Giulia?

Secondo la rivista Automotive News, a causa dell’impatto della crisi sui mercati, l’Alfa Romeo avrebbe cancellato il lancio di un Suv nel 2014 e ritardato il lancio di un altro Suv di un anno nel 2013, della nuova Giulia dal 2012 al 2014 e di una spider dal 2013 al 2014. L’amministratore delegato del gruppo Fiat Sergio Marchionne aveva detto martedì di voler rivedere i tempi dei lanci dei nuovi prodotti. Se tutto sarà confermato, l’obiettivo di vendere 500.000 Alfa entro il 2014 sarebbe sempre più lontano da raggiungere (115.000 Alfa vendute nel 2010).
«La crisi globale che stiamo vivendo non è economica ma finanziaria e quindi al momento non tocca il settore automobilistico, ma potrebbe diventarlo e allora anche l’industria dell’auto sarebbe a rischio», ha detto al Salone dell’automobile di Francoforte Carlos Ghosn, presidente del gruppo Renault-Nissan in un’intervista all’Ansa. Una prudenza che sembra voler relegare la crisi su Marte. Per lo stesso Ghosn, infatti, «se si riuscisse a bloccare l’attuale volatilità finanziaria, il 2012 sarebbe un anno di crescita record per il mercato mondiale dell’auto», mentre in Europa, «nonostante tutto e qualunque cosa accada, il 2012 sarà senz’altro un anno mediocre». Per Ghosn l’unica ricetta per scongiurare «il rischio di degenerare in una crisi economica è utilizzare nel mondo la leva dell’esperienza, competenza e saggezza per interrompere questa volatilità. Anche perché in questo momento la mancanza di chiarezza rischia di generare molti danni».
Anche alcuni colleghi di Ghosn di General Motors e Ford presenti a Francoforte vedono (o fingono di vedere) cose positive per adesso, tant’è che prevedono per le loro filiali europee (Ford Europe e Opel) pareggi di bilancio o attivi a fine 2011. Salvo poi venire a sapere che Ford Europe ha tagliato nella sua fabbrica in Germania la produzione della Focus perché c’è meno richiesta sui mercati. Non si nasconde l’amministratore delegato del gruppo francese Psa (Peugeot-Citroen) Philippe Varin, che potrebbe decidere di chiudere una fabbrica in Francia per attutire – dice – i colpi della possibile recessione sui bilanci.

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Silvio Messinetti – CROTONE
L’ETA DI CROTONE
Gli operai Marcegaglia salgono su una torre: «Emma non chiudere»

La lotta arde e la rabbia cova sotto la legna dell’impianto a biomasse dell’Eta- Gruppo Marcegaglia di Cutro, nel crotonese. Da due giorni sono sospesi nel vuoto, a 56 metri di altezza, a 40 gradi all’ombra. Ventiquattro lavoratori su un camminamento, largo appena 60 centimetri sulla ciminiera della centrale a biomasse, per chiedere certezze sul loro futuro. Alla lotta delle maestranze si è unita quella dei congiunti che si sono incatenati ai cancelli per protesta.
All’origine del conflitto c’è l’incertezza sul futuro della fabbrica, che a maggio doveva essere sottoposta a lavori di adeguamento tecnico. Che però non hanno mai avuto inizio. Da allora i 44 operai sono in cassa e temono tremendamente per il loro avvenire. Anche perché lamentano «nessuna spiegazione è mai giunta da Marcegaglia e ogni tentativo di mettersi in contatto con i dirigenti finora è fallito». Per cui hanno deciso di alzare il livello dello scontro e sono saliti sulla sommità della ciminiera. Per richiamare l’attenzione, anche a rischio della vita. Due di loro hanno avuto bisogno del medico, uno per un colpo alla mano, l’altro per il caldo soffocante.
Lunedì sera si è riunito d’urgenza il consiglio comunale di Cutro che all’unanimità ha approvato una mozione in cui si esprime solidarietà ai lavoratori e si chiede all’azienda un incontro a breve per indurre i lavoratori a scendere e la proprietà a proseguire nella produzione di energia elettrica. Ma sembrano più parole di circostanza che altro. Perché Marcegaglia fa sul serio e come tanti altri padroni del nord ha capito l’antifona. Dopo aver intascato il finanziamento della legge 488 e messo su l’impianto ora punta a fuggire, «incurante che qui la gente è ridotta alla fame – sbotta Ubaldo Schifino, capogruppo Pd alla provincia di Crotone – e che la disoccupazione in Calabria è il brodo di coltura della ‘ndrangheta. Pensavamo, a torto, che almeno la presidente di Confindustria avesse ben chiaro tutto questo. Invece dopo aver razzolato i fondi pubblici scappa senza nemmeno la dignità di confrontarsi con le maestranze».
In effetti, la «latitanza» del Gruppo Marcegaglia va avanti da qualche mese e fa balenare più di un sospetto sulle reali intenzioni della proprietà. Dopo un primo incontro a luglio, definito interlocutorio, con l’ad di Eta, Roberto Garavaglia, il Prefetto di Crotone, Vincenzo Panico, aveva in programma un summit con la dirigenza della società mantovana fissato per il 10 agosto, poi fatto slittare alla fine del mese. Ma, evidentemente, la presidente di Confindustria era troppo intenta a dettare la linea di politica economica al governo (e all’opposizione) per trovare un ritaglio di tempo da dedicare ai propri lavoratori. E così nessun incontro si è mai svolto.
La cig, iniziata a maggio scorso, era stata concordata per consentire all’Eta la ristrutturazione dell’impianto di filtrazione, un lavoro di revamping (fermo impianto per valorizzazione tecnologica) necessario per accedere al nuovo sistema incentivante dei Certificati Verdi. Ma quando tutto sembrava in linea con gli accordi presi e l’attività produttiva sembrava dovesse proseguire, la proprietà all’inizio di settembre ha bloccato tutto.
È come il gioco delle tre carte, una melina preparata ad arte per spremere un territorio e umiliare i lavoratori. Con un enorme costo per l’erario. Come detto, l’Eta Marcegaglia è stata realizzata in gran parte con fondi pubblici retaggio del vecchio Contratto d’Area di Crotone: su 77 miliardi delle vecchie lire, quasi 60 sono stati finanziati con fondi Cipe. Per inciso, la centrale vanta alti livelli di produttività con oltre 100 milioni di kilowattora prodotti in un anno e gli operai hanno più volte ricevuto attestati di stima per i record di produzione raggiunti. E con quale faccia allora, la presidente di Confindustria ripete come un disco rotto, un giorno sì e l’altro pure, che l’Italia ha bisogno di crescita e produttività.

Adriana Pollice – NAPOLI
Marchionne-Italia 2 a 0
È la seconda azienda nel sud del paese che il Lingotto chiude, lasciando a casa centinaia di operai e migliaia tra famiglie e indotto Fiat: «Chiudiamo Irisbus». Gli operai si barricano nello stabilimento e minacciano: «Con le tende a Roma»

Il gruppo molisano Dr di Massimo Di Risio lunedì rinuncia ufficialmente all’acquisto della Irisbus-Iveco di Flumeri, gruppo Fiat Industrial, e l’amministratore delegato Sergio Marchionne ieri dal Salone di Francoforte ha comunicato che verranno avviate le procedure di dismissione della fabbrica, l’unica in Italia che produce autobus, 700 lavoratori diretti più 712 dell’indotto avellinese. Del resto, secondo la Fiom, la cessione alla Dr avrebbe comportato comunque una drastica riduzione degli occupati, 209 nel sito produttivo e ciao ciao a tutti gli altri, visto che Di Risio lavora assemblando componenti cinesi. O peggio: addirittura si sarebbe affidata ai molisani il compito della dismissione. Un ruolo che avrebbe fruttato loro 20 milioni di euro subito, più i guadagni della vendita di attrezzature e suoli. Del resto la partita con la Fiat è più ampia, dopo il tentativo fallito di rilevare la Bertone e i contatti in stato avanzato per subentrare a Termini Imerese.
Duecento lavoratori avellinesi della Valle Ufita si sono barricati in fabbrica (300 all’ingresso), in assemblea permanente: «Lunedì sera – spiega il segretario provinciale della Fiom, Sergio Scarpa – si è radunata una folla spontanea di operai che hanno bloccato i cancelli. Se il Lingotto pensa di portare fuori i 21 pullman completi che ci sono all’interno sappia che può succedere di tutto. Basta una scintilla per innescare l’esplosione. È inutile inviare, come l’altra sera, polizia, carabinieri, vigili e pompieri perché non ce ne andremo». La rabbia è tanta: «Hanno distrutto terreni agricoli per costruire la fabbrica con soldi pubblici – prosegue – Hanno spremuto gli operai, hanno smesso di costruire gran turismo perché volevano solo le commesse pubbliche e ora voglio scappare. Piuttosto lo gestiamo noi, visto che sono i contribuenti che l’hanno pagato. In Valle Ufita l’unica possibilità è fare autobus».
Il governo riferirà in Senato martedì prossimo ma i lavoratori chiedono un incontro con la Presidenza del consiglio entro il 21 altrimenti pianteranno le tende a Roma: «Vogliamo dall’esecutivo i finanziamenti per il rinnovo dei fatiscenti mezzi pubblici italiani – conclude Scarpa – così vediamo se Fiat lascia. Dal premier non ci aspettiamo niente fino a quando la Fiat compra la pubblicità su Mediaset».
Persino Cisl, Uil e Ugl chiedono al governo di battere un colpo. Continuando su questa strada, quando si arriverà a mettere a bando l’acquisto di nuovi autobus di linea, probabilmente il Lingotto porterà a casa le commesse facendo produrre i mezzi alle fabbriche Irisbus in Francia o in Repubblica Ceca. «Purtroppo gli effetti del piano Fabbrica Italia della Fiat sono migliaia di posti di lavoro a rischio – spiegava ieri il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini – Il governo farebbe bene a intervenire visto che si sta distruggendo una parte del sistema industriale».
Preoccupato anche il responsabile auto della Fiom, Giorgio Airaudo: «Il gruppo Dr è un soggetto industriale molto debole, non può essere in grado di fare fronte alle dismissioni di Marchionne». I sindacati confederali avevano ottenuto la disponibilità del governatore campano, Stefano Caldoro, a intervenire attraverso i fondi Fas. «Si trattava di uno sforzo – commenta Lina Lucci, segretario Cisl Campania – che avrebbe meritato attenzione a Roma. Viene il dubbio che se Irisbus fosse ubicata sul Po ci sarebbe stato ben altro attivismo da parte del governo».
«Se Fiat non ha più intenzione di restare – il commento di Pierluigi Bersani, leader del Pd – si cerchi un attore industriale vero, che sappia cosa sono gli autobus. Perché chiudere un’azienda come quella è inaccettabile». Dal Lingotto però si getta la palla nel campo dell’esecutivo con 1,5 miliardi di tagli in manovra, che mancano all’appello delle regioni per prestazioni come il trasporto. «Ciò – scrivono da Torino – ha determinato una progressiva e costante contrazione dei volumi produttivi dello stabilimento, che sono passati dai 717 veicoli del 2006 ai soli 145 autobus, di cui meno di 100 urbani, dei primi sei mesi del 2011. Le previsioni per il medio periodo continuano a evidenziare un trend di forte contrazione della domanda, peraltro fortemente condizionata, nell’attuale congiuntura, dalla scarsità di fondi pubblici, che non consente di proseguire l’attività industriale dello stabilimento di Valle Ufita». Così il gioco di sponda è riuscito di nuovo.

da “il manifesto” del 15 settembre 2011
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SEVEL FUORI DA CONFINDUSTRIA?

L’accordo tra Sevel (gruppo Fiat) e sindacati, siglato tre giorni fa, su una maggiore produzione dei furgoni Ducato e occupazione, ha aperto la possibilità che anche per lo stabilimento di Atessa (Chieti), il gruppo Fiat decida di uscire da Confindustria. Nell’accordo «verifica assetti contrattuali»(firmato da Fim-Cisl, Uilm-Uil, Fismic e Ugl- Metalmeccanici, mentre la Fiom non ha sottoscritto), il punto dove si dice «le parti convengono di incontrarsi nel mese di novembre 2011 per definire gli assetti contrattuali da applicare in Sevel spa con decorrenza dal primo gennaio 2012», viene interpretato come la volontà di uscire da Confindustria Abruzzo a partire dal primo gennaio 2012. Solo a novembre la Sevel comunicherà la decisione di restare o meno applicando, sempre dal primo gennaio 2012, qualora confermasse la permanenza in Confindustria, il contratto collettivo nazionale di Federmeccanica.

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AUTO Ghosn (Renault-Nissan): «Industria a rischio, se la crisi si estende»
Alfa Romeo ritarda il lancio della Giulia?

Secondo la rivista Automotive News, a causa dell’impatto della crisi sui mercati, l’Alfa Romeo avrebbe cancellato il lancio di un Suv nel 2014 e ritardato il lancio di un altro Suv di un anno nel 2013, della nuova Giulia dal 2012 al 2014 e di una spider dal 2013 al 2014. L’amministratore delegato del gruppo Fiat Sergio Marchionne aveva detto martedì di voler rivedere i tempi dei lanci dei nuovi prodotti. Se tutto sarà confermato, l’obiettivo di vendere 500.000 Alfa entro il 2014 sarebbe sempre più lontano da raggiungere (115.000 Alfa vendute nel 2010).
«La crisi globale che stiamo vivendo non è economica ma finanziaria e quindi al momento non tocca il settore automobilistico, ma potrebbe diventarlo e allora anche l’industria dell’auto sarebbe a rischio», ha detto al Salone dell’automobile di Francoforte Carlos Ghosn, presidente del gruppo Renault-Nissan in un’intervista all’Ansa. Una prudenza che sembra voler relegare la crisi su Marte. Per lo stesso Ghosn, infatti, «se si riuscisse a bloccare l’attuale volatilità finanziaria, il 2012 sarebbe un anno di crescita record per il mercato mondiale dell’auto», mentre in Europa, «nonostante tutto e qualunque cosa accada, il 2012 sarà senz’altro un anno mediocre». Per Ghosn l’unica ricetta per scongiurare «il rischio di degenerare in una crisi economica è utilizzare nel mondo la leva dell’esperienza, competenza e saggezza per interrompere questa volatilità. Anche perché in questo momento la mancanza di chiarezza rischia di generare molti danni».
Anche alcuni colleghi di Ghosn di General Motors e Ford presenti a Francoforte vedono (o fingono di vedere) cose positive per adesso, tant’è che prevedono per le loro filiali europee (Ford Europe e Opel) pareggi di bilancio o attivi a fine 2011. Salvo poi venire a sapere che Ford Europe ha tagliato nella sua fabbrica in Germania la produzione della Focus perché c’è meno richiesta sui mercati. Non si nasconde l’amministratore delegato del gruppo francese Psa (Peugeot-Citroen) Philippe Varin, che potrebbe decidere di chiudere una fabbrica in Francia per attutire – dice – i colpi della possibile recessione sui bilanci.

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Dino Collazzo
Fabbriche
A Termini scatta il corteo
Non solo in Sicilia e in Campania: il gruppo Psa potrebbe chiuderne una in Francia per la crisi SICILIA I lavoratori della Fiat chiedono risposte: ancora dubbi sul piano della Dr

Palermo si tinge di blu. Gli operai della Fiat di Termini Imerese hanno invaso il centro della città sfilando in corteo, dopo aver partecipato a un sit in davanti al palazzo della Regione. La decisione è stata presa da Fim, Fiom e Uilm per chiedere maggiori garanzie sui livelli occupazionali dello stabilimento siciliano e risposte più chiare sugli investimenti futuri, dopo la chiusura decretata dalla Fiat per il 31 dicembre prossimo.
I sindacati hanno chiesto un incontro con il presidente della regione, Raffaele Lombardo. «Non ce ne andremo fino a quando non incontreremo il governatore», hanno urlato i lavoratori che hanno rifiutato di parlare con l’assessore alle attività produttive Venturi e deciso di sfilare in corteo. «Riteniamo fondamentale – spiegano Giovanni Scavuzzo e Mimmo Di Matteo, segretario Fim Cisl e segretario provinciale Cisl Palermo – che il presidente Lombardo si faccia portavoce delle nostre istanze in un tavolo al ministero allo Sviluppo economico, nell’ambito del quale chiarire i punti oscuri di questo piano di riconversione. Ad esempio quali ammortizzatori sociali saranno previsti sin dal primo gennaio 2012 visto che l’entrata a regime del piano industriale della Dr Motor è prevista per il 2016».
Proprio Lombardo, ieri a Roma, ha incontrato il ministro Romani e l’ad di Invitalia Domenico Arcuri per discutere del cambio della guardia tra Fiat e Dr Motor. «Ho sentito per telefono Massimo Di Risio – ha detto Lombardo – che mi ha assicurato che si avvarrà, visto che produrrà autovetture, delle aziende dell’indotto». In previsione dovrebbe essere promosso un incontro con i sindacati dove verranno spiegati i dettagli della nuova produzione su Termini Imerese. «Siamo soddisfatti – ha continuato Lombardo – per avere garantito la ripartenza degli stabilimenti ex-Fiat». Per adesso però tutto è ancora incerto.
Il governo, attraverso un incentivo di 67 milioni di euro (a cui vanno aggiunti gli incentivi sull’occupazione e la formazione stanziati dalla Regione) volti a stimolare la ripresa della produzione, aveva già selezionato cinque aziende che si sarebbero sobbarcato il compito di riconvertire parte del polo industriale. Quella che maggiormente dovrà garantire il rilancio e la stabilità (almeno dal punto di vista della produzione) è la Dr Motor. Il gruppo Dr automobiles, che si limita ad assemblare pezzi di automobili della casa automobilistica cinese Chery, ha ribadito (o meglio specificato) che il piano industriale per Termini prevede il riassorbimento di 1.312 dipendenti, la costruzione di 4 modelli, per un volume di autovetture prodotte che dovrebbe arrivare a 60.000 unità a pieno regime (previsto per il 2016), e di conseguenza l’utilizzo dell’intero indotto.
Nulla di nuovo rispetto a quanto detto fino ad oggi. I sindacati infatti avevavo espresso dubbi non solo sulla reale capacità di produrre, ma anche sul completo reintegro di tutti i lavoratori siciliani. Oltre a Dr ad investire a Termini ci saranno anche altre quattro aziende (Lima Group, Biogen, Medstudios e Newcoop). A fare i calcoli si fa presto. Se Dr Motor garantisce un’occupazione di 1.312 occupati, e le restanti aziende arrivano a 338, su 2.200 dipendenti di tutto il polo industriale restano incerti 550 lavoratori.

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