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Fiat. Una condanna in tribunale, un’altra sul mercato

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Francesco Piccioni
MODELLO POMIGLIANO
Le motivazioni della sentenza dividono ancora

Una sentenza double face, come del resto è la legislazione italiana in materia di lavoro. Il giudice del Tribunale di Torino ha despositato ieri, direttamente nelle mani delle parti, le motivazioni della sentenza con cui aveva ammesso la legittimità degli accordi noti come «modello Pomigliano» e al tempo stesso condannato la Fiat per comportamento antisindacale, avendo questa escluso la Fiom tra le rappresentanze ammesse in azienda.
La prima parte richiederebbe una lunga spiegazione di tipo storico e giuridico, riducibile al fatto che per la Costituzione l’attività sindacale è libera, ma non è mai stata regolata da una legge che consentisse di stabilire a quali condizioni un accordo contrattuale è valido. Si è andati avanti per oltre 60 anni in base al «mutuo riconoscimento tra le parti» (imprese e diversi sindacati dei lavoratori), in base a una scelta esplicita e assai poco lungimirante del sindacato e del Pci d’allora (quando i «rapporti di forza» premiavano di gran lunga la Cgil come unico sindacato «vero»). Certo, per tenere il tutto era fondamentale preservare l’«unità sindacale», in modo da non consentire accordi «separati» e di comodo.
Ma un assetto così è giuridicamente fragilissmo. È bastato che una singola azienda – non a caso la più importante della manifattura – rompesse quel «patto silenzioso» per far cadere tutta l’impalcatura. Non esiste nessuna legge che obblighi un’impresa ad applicare certi contratti (e molte piccolissime imprese in effetti non lo fanno), ma solo una «convenzione sociale» che a questo punto Fiat ha infranto. Ponendo tra l’altro in grandissimo imbarazzo Confindustria, associazione «sindacale» delle imprese che a questo punto non avrebbe più un ruolo da svolgere. Come anchele confederazioni sindacali.
Il giudice Vincenzo Ciocchetti, nella parte che «premia» Fiat, ha riconosciuto questa realtà di fatto: «il contratto sottoscritto il 29 dicembre 2010 è senza dubbio idoneo a definire e regolare i rapporti di lavoro di tutti i dipendenti che operano alle dipendenze di fabbrica Italia Pomigliano». Indipendentemente dal fatto che la Fiom o altri sindacati lo riconoscano.
Ma, sul lato opposto, quando si verificano «lacerazioni dell’unità sindacale» – magari creata ad hoc dall’azienda e/o dal governo – «è senza dubbio preciso dovere del datore di lavoro rispettare le scelte» dei diversi soggetti, «senza schierarsi in favore di alcuni di essi». Il diritto fa un po’ fatica a riconoscere la realtà sindacale attuale, ma comunque il senso è chiaro. La Fiom ha diritto a mantenre i propri rappresentanti in azienda, firmi o no quell’accordo. Perché «la ratio dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori è quello di elidere unicamente una rappresentanza presunta», ovvero un «sindacato virtuale» con esistenza giuridica, ma non rappresentativo dei lavoratori. E la Fiom è addirittura il sindacato maggioritario.
Ma alla Fiom non può andar bene il fatto che «l’accordo di Pomigliano sia valido come sostitutivo del contratto nazionale». Per Maurizio Landini e Giorgio Airaudo (segretario generale Fiom e segretario con delega per l’auto), «l’obiettivo della Fiat di escludere la Fiom, i suoi delegati e i lavoratori che dissentono è fallito. Manteniamo un diverso parere in riferimento alla violazione dell’art. 2112 sul trasferimento d’impresa. Su questo punto confermiamo l’intenzione di procedere con cause individuali e ci riserviamo, sentito il nostro collegio di legali, di impugnare questa parte della sentenza». Sulle vere ragioni Fiat, del resto, parlano le chiusure di stabilimenti come Termini Imerese e dell’Irisbus.

da “il manifesto” del 16 settembre 2011
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Fiom: «No alla uscita dalla Confindustria»

La Fiom dice no all’accordo con la Sevel (gruppo Fiat) di Atessa (Chieti) e si prepara alla mobilitazione. Da oggi inizieranno assemblee per discutere sul rischio che il gruppo esca dalla Confindustria Abruzzo e non sono esclusi possibili scioperi. I segretari regionale e provinciale, Nicola Di Matteo e Marco Di Rocco, hanno spiegato che Fiat uscirebbe da Confindustria per avere una maggiore possibilità di stipulare contratti aziendali e non sottostare a eventuali contrattazioni collettive. «Il nostro no è stato molto sofferto – ha detto Di Matteo – C’erano dei punti positivi, come l’incremento occupazione in zona, ma altri erano inaccettabili». Nell’incontro, tenutosi con tutte parti sociali, si è discusso di incremento della produzione dei furgoni Ducato ma soprattutto dei premi 2011 legati alla presenza in fabbrica, lasciando però fuori le fasce deboli, i malati e anche le donne incinte. «Di fatto – continua Di Matteo – il contratto nazionale non conta e viene annullato». A configurare la possibilità di un’eventuale fuoriuscita, non solo a livello locale, c’è anche la lettera che l’ad Fiat Sergio Marchionne ha inviato alla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia il 30 giugno scorso. Nella quale annunciava l’abbandono da parte di Fiat e Fiat Industrial del «sistema confederale a partire dal primo gennaio 2012 nel caso in cui, entro l’anno 2011, non si fossero realizzati ulteriori passi a garanzia dell’esigibilità necessaria per gli accordi raggiunti a Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco». C’è da tenere conto, dall’altro lato, che il recente articolo 8 approvato insieme alla manovra dovrebbe soddisfare questa richiesta. La Fiom ha poi espresso preoccupazione anche per l’eventualità che Fiat possa disimpegnarsi dal progetto «Campus tecnologico automotive». «In questo modo continuerà a sganciarsi dal territorio – ha detto Marco Di Rocco – Non sappiamo cosa avverà nel 2019 quando cesserà l’accordo con la francese Psa».
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Dino Collazzo
TERMINI IMERESE Il piano post-Fiat resta incerto
È corteo permanente Martedì tavolo con la Dr

Sciopero a oltranza. Non si arrendono e non hanno certo intenzione di desistere da nessun tipo di iniziativa gli operai della Fiat di Termini Imerese. Continuano la loro protesta cercando di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica su quello che è il destino di una parte rilevante dell’industria siciliana.
Dopo l’assemblea, svoltasi all’alba davanti ai cancelli dello stabilimento, i lavoratori hanno deciso una nuova giornata di protesta per chiedere a gran voce garanzie su quello che sarà il nuovo piano occupazionale dopo che Fiat a fine anno lascierà la Sicilia. Momenti di tensione hanno caratterizzato le proteste delle tute blu. Blocchi stradali e ferroviari, cassonetti della spazzatura, carrelli e pedane di legno bruciati lungo la statale 113. «Questi gesti – dice il segretario provinciale della Fiom di Palermo Roberto Mastrosimone – danno l’idea dello stato di esasperazione che vivono gli operai. Servono risposte concrete, e fino a che non ce le daranno continueremo a scioperare».
Intanto per martedì prossimo è previsto un incontro tra il governatore Raffaele Lombardo, la Dr Motor e i sindacati. Il tema sarà l’occupazione. Non solo per gli operai della Fiat ma anche per quel che riguarda l’intero indotto. In una nota infatti la Dr Motor ha assicurato l’utilizzo dell’intero polo: «Il piano prevede il riassorbimento di 1.312 dipendenti, è prevista la costruzione di 4 modelli ed un volume di 60.000 unità annue a pieno regime e che l’attuale processo produttivo dello stabilimento di Termini Imerese resterà invariato: lastratura, verniciatura e assemblaggio».
Tutto questo però non convince i sindacati che hanno chiesto maggiori dettagli. In particolare occorre capire cosa ne sarà di quei lavoratori che rischiano di rimanere a casa dal 31 dicembre: visto che tra la Dr Motor e le altre aziende(Lima Group, Biogen, Medstudios e Newcoop), selezionate dal ministero dello Sviluppo per investire a Termini, non è previsto il ricollocamento di tutti e 2.200 (circa 550 resterebbero fuori). Di trovare soluzioni o proposte credibili, prima di andare via, alla Fiat sembra interessi poco. Forse (il condizionale è d’obbligo) sarebbe il caso che questa volta il governo non faccesse concessioni (come l’articolo 8) e portasse anche il Lingotto a sedersi intorno a un tavolo per trovare soluzioni per il futuro.

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Nel mese di agosto Fiat Group Automobiles ha immatricolato in Europa (27 Paesi Ue + Efta) 45.585 nuove vetture, segnando un calo del 7,6% rispetto alle 49.324 unità di un anno fa. A luglio le vendite europee del gruppo torinese avevano invece subito una flessione del 9,9%, attestandosi a 75.365 unità contro le 83.612 di luglio 2010. Lo comunica l’Acea, l’associazione che riunisce i costruttori di auto in Europa.

Nei primi otto mesi dell’anno il gruppo Fiat ha immatricolato in Europa 667.096 unità, in calo del 12,5% rispetto alle 762.312 dello stesso periodo di un anno fa. Nei primi sette mesi, invece, la flessione delle vendite era stata del 12,8% a 621.511 unità (erano 712.988 nei primi sette mesi del 2010). Rispetto ai singoli marchi del gruppo, Fiat ad agosto ha ceduto in Europa l’11,9% a 32.823 unità, mentre in luglio il calo del brand è stato del 15,3% a 52.781 unità. Nei primi otto mesi Fiat ha immatricolato 481.826 nuove vetture (-18,2%), mentre nei sette mesi erano state 449.003 (-18,6%). Lancia/Chrysler ha venduto ad agosto 4.908 unità, segnando un incremento del 13,4%. A luglio invece il progresso si era fermato a +1,2% a fronte di 9.187 immatricolazioni. Negli otto mesi il brand Lancia/Chrysler ha venduto in Europa 69.618 nuove vetture, in ribasso del 13,4% rispetto allo stesso periodo di un anno fa, mentre nei sette mesi il calo era stato del 14,9% a 64.710 unità. Alfa Romeo ha ceduto ad agosto in Europa l’1,8% attestandosi a 5.919 unità, mentre a luglio le vendite del brand avevano segnato un rialzo del 6,4% a 10.291 unità. In progresso anche il consuntivo dei otto mesi (+37,7% a 94.625 unità) e dei sette mesi (+41,5% a 88.706 unità). Continua il boom del marchio Jeep che ad agosto ha registrato un incremento del 134,4% a 1.613 unità e a luglio del 140,6% a 2.413 unità. Negli otto mesi, il rialzo messo a segno da Jeep è del 46% a 14.729 unità e nei sette mesi del 39,5% a 13.116 unità.

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da Il Sole 24 Ore

Fiat-Chrysler, stop dei sindacati Usa

 FRANCOFORTE. Dal nostro inviato
La luna di miele tra Sergio Marchionne e Bob King, capo dei sindacati Usa dell’auto, è finita. Due ore prima della scadenza del contratto di lavoro della Chrysler il manager italo-canadese, amministratore delegato dell’azienda americana e della Fiat, ha inviato a King una dura lettera in cui in sostanza gli attribuisce la responsabilità dello stallo dei negoziati per il rinnovo. «Sono tornato dal Salone di Francoforte appositamente per concludere l’intesa – scrive Marchionne – ma mi dicono che lei aveva altri impegni. Eppure sapeva da tempo di questa scadenza. Lo scorso weekend ci eravamo accordati per chiudere e firmare l’intesa entro oggi». Gli “altri impegni” di King erano i negoziati con General Motors, il maggior costruttore mondiale, il cui contratto è scaduto anch’esso alla mezzanotte di mercoledì. Ecco perché il potente sindacalista ha deciso di sedersi a fianco dei colleghi di Gm. Lo riconosce nella sua lettera lo stesso Marchionne, quando scrive «so che siamo il più piccolo dei costruttori qui a Detroit, ma non per questo siamo il meno rilevante. E non sono meno rilevanti i nostri lavoratori».
La stampa americana sottolineava ieri però che lo stesso King si è a un certo punto di vista messo in difficoltà da solo, scegliendo di negoziare con i tre costruttori in parallelo.
«La lettera di Marchionne prelude a problemi nei negoziati o è solo uno sfogo alla Sergio, ovvero il manager imperiale sempre in viaggio che se la prende perché King non ha mollato tutto per andarlo a ricevere al suo arrivo da Francoforte?», si chiede Tom Walsh, commentatore del Detroit Free Press. Walsh ricorda cita Steven Rattner, ex capo della task force del presidente Obama per il salvataggio del settore auto, il quale nel suo libro “Overhaul” afferma che in vari episodi Marchionne ha preso a parolacce i suoi sottoposti o i leader sindacali. Di questi tempi il supermanager è sotto pressione ancor più del solito, tra il deterioramento della congiuntura in Europa (e forse in Brasile) e l’esigenza di firmare con la Uaw un contratto che non pregiudichi la ritrovata competitività di Chrysler; anche a Francoforte il suo umore più nervoso del solito era chiaramente percepibile. C’è il rischio di una rottura prolungata con la Uaw? In realtà la firma in tempi brevi è nell’interesse di entrambe le parti, e fino alla scadenza di mercoledì sera le trattative erano andate quasi al passo con quelli di Gm, con contatti fra le due delegazioni sindacali.
I colloqui tra General Motors e i sindacati sono ripresi ieri mattina, ora americana. Nella sua lettera a King, Marchionne dice di «essere disposto a prorogare di una settimana l’attuale contratto Chrysler per definire tutti i punti aperti» ma avverte che «tornerà negli Usa solo la settimana prossima». Il manager è in effetti ripartito già nella notte di mercoledì per l’Italia, dove ieri ha partecipato a Modena a una riunione nello stabilimento della Cnh (controllata da Fiat Industrial). Quando tornerà negli Usa lunedì, le due delegazioni dovrebbero aver riannodato i contatti; e forse per allora Gm avrà firmato a sua volta il contratto; a quel punto Chrysler potrebbe seguire a ruota, non necessariamente sulla stessa falsariga.
Nel caso in cui una delle due o entrambe non raggiungano l’intesa, la Uaw non può proclamare scioperi fino al 2015: è una delle concessioni fatte due anni fa nell’ambito dei piani di salvataggio di Gm e Chrysler. La controversia dovrà quindi essere risolta con un arbitrato. Diverso il caso della Ford, unica delle Big Three dell’auto a non aver portato i libri in tribunale nel 2009: qui la Uaw potrebbe scioperare. L’azienda aveva peraltro già concordato con il sindacato una proroga contrattuale e, probabilmente, firmerà dopo le due rivali. Il rinnovo contrattuale interessa complessivamente 112mila lavoratori, ma influirà poi anche sui contratti delle aziende dell’indotto.

LA VICENDA

Termine scaduto
Alla mezza notte di mercoledì è scaduto il contratto di lavoro della Chrysler. Sergio Marchionne ha scritto a Bob King, il potente capo del sindacato Uaw, attribuendogli in sostanza le responsabilità dello stallo dei negoziati per il rinnovo e degli accordi già presi tra le parti la settimana scorsa per firmare nei tempi prestabiliti.
Le cause
King in effetti è impegnato con i negoziati con Gm, il maggior produttore mondiale, il cui contratto è scaduto anch’esso alla mezzanotte di mercoledì.
I tempi
Marchionne è disposto a concedere un’altra settimana e tornerà negli Usa lunedì. Allora le due delegazioni dovrebbero aver riannodato i contatti. Gm potrebbe aver già firmato il contratto e Chrysler potrebbe seguire sulla falsariga.

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Fiat: Airaudo (Fiom), sindacati Chrysler hanno fatto il loro mestiere

Milano, 15 set – “In tutto il mondo il sindacato fa il suo mestiere nonostante i diversi contesti giuridici e culturali. Innanzi tutto quello di dare lo stesso salario per lo stesso lavoro, contrattando ed evitando ultimatum. Marchionne non dovrebbe stupirsi e dovrebbe smetterla di contrapporre sindacati buoni e sindacati cattivi”. Cosi’ ha commentato Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom, la mancata conclusione del nuovo accordo con i sindacati sui contratti dei dipendenti della Chrysler. Marchionne, a.d. di Fiat e Chrysler, ha inviato una dura lettera a Bob King, leader del sindacato americano Uaw (United Auto Workers) deplorando la mancata intesa.

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«Gli oltre 2.200 lavoratori della Fiat e dell’indotto di Termini Imerese sono in sciopero per il quarto giorno consecutivo contro la mancata convocazione da parte del Governo dell’incontro sul futuro dello stabilimento siciliano.È intollerabile che, a Termini Imerese come all’Irisbus di Grottaminarda (Avellino), le lavoratrici e i lavoratori siano costretti a lotte durissime e a pesanti sacrifici per ottenere quanto in un Paese civile dovrebbe essere scontato: un negoziato sul loro futuro». Lo afferma in una nota il Segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini. «È ormai evidente che il Progetto Fabbrica Italia è una scatola vuota che la Fiat usa per annunciare la chiusura degli stabilimenti (Cnh di Imola, Irisbus di Grottaminarda e Termini Imerese) e ricattare i lavoratori per peggiorarne le condizioni e negarne i diritti. Nel frattempo migliaia di lavoratori continuano a sopravvivere con salari fortemente tagliati dalla Cassa integrazione», continua Landini. «Il Governo, che sinora ha solo assecondato i disegni e le volontà della Fiat, deve rispondere alla protesta che -alla Irisbus come a Termini Imerese- rivendica soluzioni vere che garantiscano l’occupazione e lo sviluppo», conclude Landini.

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