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Ma la Bce sa cosa fare?

La gestione della crisi da parte della bance centrale sotto la presidenza Trichet non + stata esente da critiche e perplessità da parte di economisti e imprenditori di ogni livello. Il quotidiano di Confindustria dà ora corpo a queste per plessità in modo abbastanza netto. Indirettamente, è una richiesta di “discontinuità” inviata a Mario Draghi.

 

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La Bce non è convinta di se stessa

J. Bradford DeLong

Quando la Banca Centrale Europea ha annunciato il suo programma di acquisto di buoni del tesoro statali, ha fatto sapere ai mercati finanziari che detestava quest’idea, che non si impegnava completamente e che sarebbe tornata indietro appena possibile. In effetti, la Bce ha dichiarato di ritenere che la stabilizzazione dei prezzi dei titoli di Stato portata avanti da questa politica fosse soltanto temporanea.
È difficile pensare a un modo più controproducente di mettere in atto un programma di acquisto di bond. Mettendo in chiaro dall’inizio che non credeva nella propria politica, la Bce ha in pratica garantito il suo fallimento. Se così chiaramente non ha alcuna fiducia nei titoli che stava comprando, perché gli investitori dovrebbero pensarla in modo diverso?
La Bce continua a credere che la stabilità finanziaria non faccia parte della propria missione di base. Come ha spiegato il presidente uscente, Jean-Claude Trichet, la Bce ha «un solo ago sulla propria bussola, quella dell’inflazione». Il rifiuto della Bce di essere il prestatore di ultima istanza ha reso necessaria la creazione di un’istituzione surrogata, il Fondo europeo per la stabilità finanziaria (Efsf). Ma tutti nei mercati finanziari sanno che l’Efsf è troppo debole perché ricopra questo compito – e ha una struttura di governance difficile da avviare.
Forse la cosa più sorprendente circa la missione monocromatica di stabilità dei prezzi della Bce e la sua indifferenza totale per la stabilità finanziaria – e l’interesse ancora minore per il benessere dei lavoratori e per le imprese che mandano avanti l’economia – è il suo allontanamento radicale dalla tradizione delle banche centrali. Le banche centrali moderne sono nate dal collasso del boom del sistema di canali britannico all’inizio degli anni Venti del XIX secolo. Durante la crisi finanziaria e la recessione del 1825-1826, una banca centrale – quella d’Inghilterra – intervenne per proteggere la stabilità finanziaria nel momento in cui l’esuberanza irrazionale del boom si trasformò nel pessimismo e nei rimorsi della recessione.
Nel suo libro Lombard Street, Walter Bagehot ha citato Jeremiah Harman, il governatore della Banca d’Inghilterra durante la crisi degli anni 1825-1826: «Abbiamo dato a prestito… con tutti i mezzi possibili e in modalità mai adottate prima; abbiamo accettato azioni come garanzie, abbiamo comprato dei buoni del Tesoro, abbiamo dato anticipi sui buoni del Tesoro, non solo abbiamo scontato direttamente, ma abbiamo anche dato degli anticipi enormi sui depositi di cambiali, in breve, in ogni modo compatibile con la sicurezza della Banca, e siamo stati più che generosi in molti casi. Vedendo lo stato spaventoso in cui versava il pubblico, abbiamo dato tutta l’assistenza in nostro potere…».
Lo statuto della Banca d’Inghilterra non conferiva l’autorità legale necessaria a intraprendere queste operazioni per la stabilità finanziaria proprie di un prestatore di ultima istanza. Ma la Banca le fece comunque.
Una mezza generazione dopo, il parlamento britannico dibatté circa l’opportunità di modificare lo statuto della Banca in modo da darle esplicitamente i poteri propri a una fonte di credito di ultima istanza. La risposta fu no: garantire un potere esplicito avrebbe voluto dire minare la fiducia nella stabilità dei prezzi, poiché era già «difficile contenere l’emissione eccessiva, il deprezzamento e la frode». In effetti, garantire dei poteri espliciti di prestatore di ultima istanza alla Banca d’Inghilterra avrebbe voluto dire che «il millennio dei mercanti di carta sarebbe stato imminente».
Ma i leader del Parlamento erano anche convinti che l’assenza di un’autorità designata ad agire in quanto prestatore di ultima istanza non avrebbe impedito alla Banca d’Inghilterra di farlo nel momento del bisogno. Come scrisse il First Lord del Tesoro Sir Robert Peel: «Se fosse necessario assumere un’importante responsabilità, oso dire che saremmo disposti ad accettare questa responsabilità».
Le nostre istituzioni politiche ed economiche attuali sono basate sulla scommessa che un mercato decentralizzato fornisca un meccanismo di pianificazione sociale, di coordinazione e di allocazione del capitale migliore di qualsiasi altro siamo stati in grado di concepire finora. Ma fin dall’alba della rivoluzione industriale, parte di questo sistema è stata un’autorità finanziaria centrale capace di tenere in vita la fiducia nel fatto che i contratti saranno rispettati e le promesse mantenute. Svariate volte il ruolo di prestatore di ultima istanza è stato parte indispensabile di questa funzione. Questo è quanto la Bce sta buttando via oggi.
Bradford DeLong, ex assistente del Segretario
del Tesoro degli Stati Uniti,
è docente di Economia presso l’Università
della California a Berkeley
(Traduzione di Roberta Ziparo)

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