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Problemi seri in cabina di comando…

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Antonio Tricarico CANNES
AL VERTICE Cina, Brasile, Russia e India chiedono di avere più poteri nell’organizzazione
«I nostri soldi vadano al Fmi»

CANNES
La scelta del palazzo del cinema sulla croisette di Cannes non potrebbe essere più adatta. Oggi, nel pieno del turbine della tempesta finanziaria nell’area euro, si apre il vertice dei capi di Stato e di governo delle venti economie più influenti del Pianeta. Con il presidente francese Nicolas Sarkozy padrone di casa, e già proiettato nella corsa elettorale della primavera del 2012, il circo del G20 fronteggia la prova del nove.
Dalla sua nascita nel novembre 2008, proprio in seguito al tracollo della Lehamn Brothers, per rilanciare l’economia mondiale si sono succeduti cinque incontri al massimo livello. Eppure adesso siamo sull’orlo di una nuova recessione globale, non si sono adottate misure incisive per regolare la finanza internazionale e soprattutto affrontare le cause che hanno generato le crisi.
A differenza dei summit precedenti, l’agenda prevista a inizio anno da Sarkozy è stata stravolta in modo profondo dagli avvenimenti degli ultimi giorni in Europa. Difficilmente si andrà oltre l’annuncio di misure poco rilevanti sulla definizione di un nuovo sistema monetario internazionale, sul problema della volatilità dei prezzi e della speculazione nei mercati delle commodity, nonché sulla risoluzione strutturale degli squilibri economici mondiali. Senza ricordare che l’agenda di Doha dei negoziati commerciali internazionali è ormai lettera morta, mentre il nuovo piano di azione per lo sviluppo dei più poveri passa in secondo piano. Quella che doveva essere la nuova agenda della riforma del sistema internazionale torna ad essere un’affannosa gestione dell’emergenza della crisi europea, di fronte alla quale il G20 sembra essere impotente ed è improbabile che i membri non europei del club avanzeranno proposte risolutive.
Prima di arrivare a Cannes, Barack Obama ha messo in chiaro che il problema della crisi in Grecia e in Italia è europeo e va risolto dagli europei. D’altronde da Washington non hanno più nulla da offrire in «cash». Allo stesso tempo, questa volta il cavallo di battaglia americano della rivalutazione del renminbi cinese non potrà essere brandito con forza, dal momento che negli ultimi mesi anche il Giappone e la Svizzera sono intervenuti sui tassi di cambio delle proprie divise per limitarne un apprezzamento rischioso. Insomma, Obama non oserà mosse azzardate, né potrà siglare patti troppo compromettenti, anche in vista della sua difficile rielezione tra un anno.
Sul fronte dei paesi emergenti, i cosiddetti Bric, sta emergendo un ricompattamento sulla posizione da tenere sulla crisi europea. Dopo aver sondato nell’ultimo mese la possibilità di un intervento bilaterale in sostegno all’Europa, Cina e Brasile hanno prudentemente reindirizzato il tiro sulla richiesta che i propri fondi vadano al Fondo monetario internazionale, trovando il sostegno di Russia e India.
Per gli emergenti il passare per le stanze di Washington oggi offre maggiori opportunità che in passato, sia per definire le condizioni da collegare a questi aiuti riducendo anche i rischi di perdite, sia per forzare una riforma autentica della governance dell’istituzione, acquisendo più potere di voto. La primavera scorsa l’arroganza europea aveva imposto ancora una volta un europeo alla guida del Fondo, arginando così l’avanzata dei Bric sulla scena politica mondiale, ma la nomina di Christine Lagarde potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro.
Ieri anche il presidente della Banca mondiale si è associato al coro di voci che chiedono che gli emergenti trasferiscano nuove risorse finanziarie alle istituzioni finanziarie internazionali. Ma per questo ci sarà un prezzo da pagare. La Cina, alle prese con una ripresa dell’inflazione interna e la crescita di fenomeri speculativi, chiederà che si smetta con le pressioni – per altro inefficaci – per la rivalutazione del renminbi e i brasiliani pretenderanno che il Fondo giochi un ruolo più forte proprio nell’armonizzazione dei tassi di cambio. A Cannes si riparlerà di diritti speciali di prelievo – la moneta di riserva virtuale gestita dall’Fmi – e di allargamento a nuove divise del paniere di riferimento di questa moneta, ma i tempi non sono ancora maturi per veri cambiamenti. I venti personaggi del G20 sono ancora in cerca di un autore, che difficilmente comparirà a Cannes.
*Crbm
da “il manifesto” del 3 novembre
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Anna Maria Merlo PARIGI
•Vigilia di fuoco del G20. Sarkozy e Merkel infuriati con Papandreou e il suo referendum anti-Ue
Ultimatum alla Grecia
La Ue vuole un sì al piano dal parlamento greco, prima del referendum. E avanza ipotesi di «sospensione» di Atene dall’euro Il ritorno della Grecia a pieno titolo nell’euro non potrebbe avvenire prima del 2020

PARIGI
Ultimatum sotto forma di road map alla Grecia. La Ue chiede un voto di approvazione del piano di salvataggio al parlamento greco prima del referendum, mentre si studia l’ipotesi di una «sospensione» di Atene dall’euro; che resterebbe moneta corrente (come succede in Kosovo o in Montenegro), ma il paese sarebbe dichiarato in fallimento perché verrebbero sospesi tutti gli aiuti comunitari. La patata bollente greca passerebbe quindi sotto la sola giurisdizione del Fmi, unica istituzione che potrebbe aprire delle linee di credito. Il ritorno della Grecia a pieno titolo nell’euro non potrebbe avvenire prima del 2020. Nel frattempo, la popolazione pagherà caro, con il crollo dei salari e di tutto il welfare. Georges Papandreou, con il suo referendum, ha rovinato il piano di Nicolas Sarkozy di presentarsi come il salvatore dell’euro al G20 di Cannes, che il presidente francese presiede oggi e domani. Quindi nessuno sconto: Sarkozy passa sopra la questione della democrazia e della sovranità in Europa.
Ieri sera, dopo la cena con il presidente cinese Hu Jintao, Sarkozy, che ha condannato «una decisione unilaterale», ha presentato in tarda serata un ultimatum al primo ministro greco, dopo aver messo a punto nel pomeriggio il programma di richieste assieme alla cancelliera tedesca Angela Merkel, la direttrice del Fmi Christine Lagarde e i vertici europei (Van Rompuy per il Consiglio, Barroso per la Commissione, Juncker per l’Eurogruppo e Draghi per la Bce). Prima di tutto, Ue e Fmi impongono una domanda chiara – «volete, sì o no, uscire dall’euro?» – se Papandreu insiste sul referendum (e l’ipotesi passa al parlamento di Atene). In secondo luogo, il referendum dovrà aver luogo il più presto possibile, a dicembre e non a gennaio, ipotesi che Papandreu ha già accettato. Poi si passa alle minacce: Grecia «sospesa» dall’euro, mentre è ormai in forse il versamento della sesta tranche di 8 miliardi di euro del primo piano di aiuti, deciso nel maggio 2010, e che avrebbe dovuto essere versata già a settembre, poi rimandata all’inizio di novembre e adesso in stand by. Per non parlare della settima tranche di 5 miliardi, che la troika (Ue, Bce e Fmi) avrebbe dovuto valutare a dicembre. Al ministero delle finanze francese fanno sapere, perfidi, che la Grecia senza questi soldi sarà in «cessazione di pagamento», cioè in fallimento, da dicembre. In altri termini, non avrà più i soldi neppure per pagare i funzionari pubblici. Il Fmi è stato finora molto più reticente della Ue a versare la sesta tranche, che slitta a causa dei paletti messi dall’istituzione di Washington (5,8 miliardi sono per la Ue, ma 2,2 per il Fmi). Sarkozy insiste: abbiamo dato 100 miliardi alla Grecia, ne abbiamo promessi altri 100 più 30 oltre all’impegno di cancellare il 50% del debito (altri 100 miliardi), e i greci ci voltano le spalle. Il referendum diventa così sospensivo di tutti i nuovi accordi.
Sarkozy è furioso per il crollo della sua immagine internazionale di salvatore. Angela Merkel ha insistito sullo sgarbo di Papandreou di non essere stata informata della mossa del referendum. Merkel ha «preso atto», ma «avrebbe preferito essere informata, a nome della cooperazione europea». Ma Papandreou smentisce: la Grecia ha informato i partner sull’ipotesi referendum, afferma, senza precisare la data dell’annuncio. Merkel, ironica, ha affermato ieri a Berlino, in occasione di un incontro con il primo ministro turco Erdogan, di «apprezzare tutti, turchi e greci, quando si mostrano ragionevoli», una battuta che non deve essere stata molto apprezzata ad Atene. Il suo portavoce, Steffen Seibert, ha un po’ attenuato la durezza dei commenti, auspicando che «il tempo che resta prima del referendum non deve essere perso, né per la Grecia né per l’euro» e assicurando Atene che «può contare sulla solidarietà europea», evidentemente «se fa grossi sforzi». In Francia, il primo ministro François Fillon, che accusa il governo greco di aver «mentito», ammette però che «in democrazia rivolgersi al popolo è sempre legittimo».
Intanto, alla vigilia del G20, proseguono sia il programma di ricapitalizzazione delle banche che il negoziato sul rafforzamento del Fondo europeo di stabilità finanziaria, che dovrebbe evitare il contagio greco. Ma le banche tedesche hanno già fatto sapere che, con il referendum, l’ipotesi della svalutazione del 50% del debito greco sfuma. Daniel Cohn-Bendit e i Verdi dell’europarlamento hanno chiesto un piano Marshall per la Grecia.

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Galapagos
diario DELLA CRISI
Le borse tirano il fiato Germania: tassi bassi, ma più disoccupati

E’ stata, quella di ieri, una giornata di pausa su tutte le principali piazze finanziarie. O meglio: c’è stato un po’ di recupero che, però, non ha colmato che in piccola parte il «buco» di martedì. A Piazzaffari, per fare un solo esempio, l’indice Mib (che raggruppa le 40 maggiori società ha messo a segno un buon rialzo del 2,31%, che tuttavia è appena un terzo delle perdite (6,80%) del giorno prima. Di più: ancora una volta i mercati hanno avuto un comportamento caratterizzato da una forte volatilità: forti guadagni all’apertura; poi una brusca inversione di tendenza con gli indici tornati a variazioni negative; poi una nuova risalita con chiusura in attivo. Le variazioni negli andamenti sono state influenzate dalla diffusione di dati macroeconomici a conferma che le borse sono sensibili all’andamento dell’economia reale.
Il primo dato che in mattinata ha provocato una inversione di tendenza è arrivato dalla Germania: in ottobre il tasso di disoccupazione destagionalizzato è salito al 7%, lo 0,1% in più rispetto a settembre e i senza lavoro sono aumentati di 10 mila unità. Apparentemente poco roba: il problema è che il tasso di disoccupazione è superiore a quanto previsto dagli analisti secondo i quali l’occupazione nel mese sarebbe dovuta aumentare.E’ bastato questo annuncio per gettare le borse nel panico: vi hanno letto la conferma che la locomotiva tedesca sta rallentando e la frenata rischia di trasmettersi agli altri paesi. Altro dato che preoccupa è il livello troppo basso dei tassi di interesse in Germania: il rendimento dei Bund a 5 anni è sceso all’1%. Sotto il livello, cioè, dell’inflazione presente e di quella attesa. Insomma, comprare Bund apparentemente non è un buon affare: se questi rendimenti saranno confermati c’è il rischio che allo scadere dei Bund si avranno indietro meno soldi di quelli investiti. Ovviamente in termini reali, cioè depurati dall’inflazione. Ma la corsa ai Bund di questi tempi è inarrestabile: è l’altra faccia della fuga dai buoni del tesoro degli altri paesi che rendono molto di più, ma con forti rischi. Con il paradosso che più il rendimento dei Bund scende, più deve salire quello offerto dagli altri stati.
Altra informazione negativa è arrivata dall’Indice della fiducia globale dei consumatori online calcolato dalla Nielsen su 56 mercati: nel terzo trimestre è sceso a quota 88, un punto in meno del trimestre precedente. Anche in questo caso non si tratta di una variazione enorme, ma occorre tenere conto che l’indice è in caduta da 7 trimestri, quasi due anni. «Il terzo trimestre è stato difficile per le economie mondiali e per i mercati finanziari, con dati sulla disoccupazione negli Stati Uniti fermi e un peggioramento della crisi del debito nella zona euro», ha affermato Venkatesh Bala, Chief Economist presso il Cambridge Group. L’atteggiamento di sfiducia, ha ancora osservato, «è in crescita tra i consumatori, più della metà ritiene infatti di essere attualmente in una fase di recessione, quattro punti percentuali in più rispetto al trimestre precedente e sette punti in più dall’inizio dell’anno». E non è finita. Secondo Bala il risultato di questa situazione «è il continuo contenimento delle spese discrezionali, che si prevede continuerà nel prossimo anno».
Anche la Federal Reserve statunitense non nutre eccessiva fiducia sull’evoluzione della congiuntura e la preoccupazione l’ha spinta a proseguire nell’allegra gestione dei tassi e nell’acquisto di titoli spazzatura. Al contrario di altre notizie, però, questa è stata giudicata una buona notizia dai mercati, contribuendo alla risalita degli indici di borsa.

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