Menu

Ogni “manovra” aggrava la crisi

 

 

*****

Tutti giù per terra
Galapagos

Non è solo il debito pubblico italiano a gettare l’Europa nel panico. Aumentano, infatti, i timori che l’economia reale faccia tilt, cioè cada in recessione. C’è il rischio che «le tensioni si intensifichino ancora in alcuni segmenti dei mercati finanziari» e questo rende probabile una «significativa revisione verso il basso» delle previsioni di crescita nell’area euro, è scritto nel Bollettino mensile della Bce pubblicato ieri. Secondo i banchieri di Francoforte, in questo quadro, dovrebbero attenuarsi anche le pressioni inflazionistiche. E, «il Pil dell’Eurozona dovrebbe registrare una crescita molto moderata in termini reali nella seconda metà di quest’anno, dopo la diminuzione allo 0,2 per cento rispetto al periodo precedente registrata nel secondo trimestre».
Ma non è solo la Bce a essere pessimista. Previsioni negative arrivano anche dalla Ue. O meglio, dalla Commissione europea secondo la quale nell’eurozona quest’anno la crescita del Pil sarà dell’1,5%, l’anno prossimo dello 0,5% e nel 2013 dell’1,3%. Nella Ue a 27 le percentuali sono simili: 1,6% quest’anno, 0,6% nel 2012 e 1,5% nel 2013. Rispetto alle precedenti previsioni tutti i dati sono stati rivisti al ribasso. Le nuove previsioni della Commissione europea segnalano come «la ripresa si sia fermata», ha dichiarato il commissario Olli Rehn nel presentale. Ma Rhen ha anche aggiunto di ritenere che in Europa «ci sia il rischio di una nuova recessione».
Ovviamente la revisione della Ue si è abbattuta anche sull’Italia la cui ripresa è bloccata. per quest’anno la Commissione stima una crescita del Pil dello 0,5% (0,7% le stime del governo), per il 2012 dello 0,1%, cioè saremo alla stagnazione (0,9% le stime del governo) e nel 2013 dello 0,7%. Nel terzo trimestre la crescita resterà «piatta» e si contrarrà leggermente nel quarto (-0,2% trimestre sui trimestre). Di più: a politiche invariate (cioè senza nuove manovra) l’Italia non raggiungerà il pareggio di bilancio nel 2013. La Commissione Ue prevede per quest’anno un deficit/Pil al 4%, nel 2012 al 2,3%, nel 2013 all’1,2%. Le previsioni-obiettivo del governo indicano invece rispettivamente 3,9%, 1,5% e 0,1%. Le stime si fondano sulla «piena attuazione» della clausola di salvaguardia sulle entrate previste dal «pacchetto» presentato dal governo in estate. Certo è che se l’Italia varerà nuove manovre corettive, forse sarà raggiunto il pareggio di bilancio nel 2013, ma il già modestissimo tasso di crescita si ridurrà ulteriormente. Anche perché – come si sostiene nel Rapporto – sull’andamento dell’economia italiana pesa l’aumento degli spread sui titoli di stato rispetto ai benchmark tedeschi. E se le condizioni finanziarie dovessero deteriorarsi ancora «le prospettive di crescita dell’Italia peggiorerebbero».
La Commissione europea, premesso che il rischio di una recessione «non è trascurabile», sostiene che i maggiori rischi di peggioramento delle attuali stime di crescita provengono dalle preoccupazioni per il debito sovrano, dalla fragilità del settore finanziario e dall’andamento del commercio mondiale. C’è la possibilità che si sviluppi un circolo vizioso a causa «di una dinamica di interazioni negative»: una crescita più bassa, cioè, si ripercuoterebbe negativamente sui debitori sovrani la cui debolezza pesa sulla situazione dell’industria finanziaria». Poi, per attenuare un po’ il pessimismo, la Ue afferma che se i rischi alle prospettive di crescita, indica la commissione, «sono fortemente proiettati verso il peggioramento», sono possibili anche scenari meno pessimisti: la fiducia potrebbe tornare a buoni livelli rispetto a quanto valutato, spingendo investimenti e consumi, la crescita globale potrebbe risultare più reattiva fornendo uno sbocco alle esportazioni europee, i prezzi dei prezzi delle materie prime potrebbe rafforzare redditi reali e consumi. Questo è uno scenario, comunque, alla quale oggi non si crede molto. I rischi per l’inflazione sono, invece, «largamente equilibrati».
Tornando all’Italia, tra gli impegni che la commissione europea ritiene fondamentale che assuma per rilanciare la crescita economica non ci sono soltanto misure per aumentare il grado di concorrenza e per procedere ulteriormente verso una riforma completa delle pensioni, ma anche misure per redistribuire il peso fiscale dal lavoro al consumo e alla proprietà immobiliare. Insomma, riduzione del cuneo fiscale sul lavoro (per aumentare i salari e consentire aumenti di competitività delle imprese) e una imposta patrimoniale. Anche sulla scorta di analisi e indicazioni di «policy» comunitarie, la Commissione non vedrebbe, però di buon occhio un’imposta patrimoniale fissa preferendo un intervento fiscale sulla proprietà immobiliare. L’imposta sul patrimonio, infatti, può essere una soluzione una tantum per ripristinare fiducia in situazioni di emergenza, ma se applicata per molto tempo può avere un effetto negativo sulla crescita. Secondo la Commissione, è da tempo evidente che la tassazione sul reddito è associata a una crescita più bassa mentre la tassazione su proprietà, consumi e «ambientale» hanno meno impatto sull’attività economica.

da “il manifesto”
*****
Di parere contrario, ovviamente, i “decisori” dell’Unione europea, che nel “risanamento” dei bilanci pubblici vedono invece la chiave per invertire la tendenza. In realtà, stanno pilotando il più grande trasferimento di ricchezza di tutta la Storia: dal lavoro alla finanza. Il che dovrebbe costituire un problema anche per gli imprenditori più intelligenti – non per la Marcegaglia, dunque – perché l’economia reale è completamente bypassata. L’unica cosa che ci guadagnano gli imprenditori è un lavoro senza diritti, licenziabile a piacere, ma sempre meno qualificato. In altre parole: consumatori poveri che non avranno abbastanza da comprare quel che producono.
da Il Sole 24 Ore

Il capo del fondo salva-stati, Regling: «Se Roma lo chiede, l’Efsf è pronto»

articoli di Beda Romano e Vittorio Da Rold

dal corrispondente Beda Romano

BRUXELLES – Il fondo di stabilità europeo è pronto ad aiutare l’Italia nel caso il Paese avesse urgentemente bisogno di un sostegno finanziario nei prossimi giorni. L’Efsf sta affrontando difficili negoziati con gli investitori finanziari per aumentare la sua potenza di fuoco il più velocemente possibile, ma può nel frattempo raccogliere denaro in brevissimo tempo emettendo titoli a breve scadenza sui mercati.
«Per attivarci – spiega Klaus Regling, il presidente dell’Efsf, in un’intervista a sei giornali europei tra cui Il Sole 24 Ore – abbiamo bisogno di una richiesta dello Stato membro e della decisione dell’Eurogruppo sulla base di chiare condizioni economiche. In questo momento stiamo lavorando su un potenziamento del fondo e non saremmo felici di usare i fondi che abbiamo, ma se necessario possiamo agire con grande rapidità».

Sui mercati è forte il timore che l’Italia possa avere bisogno del sostegno finanziario europeo. Il rendimento dei titoli obbligazionari a dieci anni è salito oltre il 7% mercoledì. Ieri oscillava sotto a questo livello. Molti osservatori temono che l’Efsf – nato per rassicurare i mercati finanziari ma che paradossalmente dipende dal denaro privato – non abbia una sufficiente force de frappe per aiutare un grande Paese come l’Italia.
In luglio, il Consiglio europeo aveva deciso di portare a 440 miliardi di euro la dotazione dell’Efsf, permettendo al fondo di acquistare titoli sul mercato primario e secondario, e offrire linee di credito precauzionali. «Da un punto di vista legale siamo autorizzati a operare sulla base delle decisioni di fine luglio», conferma Regling.
Attualmente l’Efsf ha a disposizione tra i 250 e i 300 miliardi di euro, tenuto conto del denaro impegnato o promesso alla Grecia, all’Irlanda e al Portogallo. In ottobre, il Consiglio europeo ha deciso di aumentare ulteriormente la potenza di fuoco del fondo portandola a 1.000 miliardi. Questa scelta è ancora tutta da mettere in pratica. Regling è stato in Cina nei giorni scorsi per sondare l’interesse cinese.

Intanto, nel caso ci fosse bisogno di denaro urgentemente, l’Efsf può emettere titoli a breve termine per raccogliere denaro velocemente sui mercati. «Sono titoli che possono essere venduti rapidamente, anche con ammontare sostanzioso – precisa Christophe Frankel, vice presidente dell’Efsf -. Abbiamo in programma la prima emissione entro fine anno, ma se necessario possiamo anticiparla».
A differenza del mercato obbligazionario, il mercato monetario – nel quale vengono trattati i titoli a breve scadenza – è particolarmente liquido, capace di assorbire rapidamente emissioni anche generose. L’Efsf non ha precisato quanti titoli di questo tipo vorrà emettere nelle prossime settimane perché dipenderà dalle necessità. Secondo Frankel queste obbligazioni rappresentano per l’Efsf «un cuscinetto di liquidità».
Nella sua conversazione di ieri, Regling, un ex direttore generale per gli affari economici della Commissione, ha ammesso che la recente emissione di titoli decennali da parte dell’Efsf ha registrato un calo d’interesse: «La percentuale di investitori asiatici rispetto all’ultima emissione di giugno è diminuita dal 40 al 23%. È chiaro che l’instabilità politica delle ultime settimane in Grecia o in Italia ha scoraggiato alcuni investitori».

L’economista tedesco ha accolto positivamente la nomina dell’ex banchiere centrale Lucas Papademos alla guida del Governo greco: «Spero che anche in Italia l’attuale incertezza verrà risolta rapidamente». Proprio l’instabilità politica potrebbe complicare il lavoro dell’Efsf nell’attirare investitori stranieri. L’obiettivo è di completare il potenziamento entro fine novembre, almeno per quanto riguarda le sue linee generali.
Due le opzioni: da un lato il fondo potrà assicurare almeno parzialmente le nuove emissioni obbligazionarie; dall’altro vuole creare un fondo di co-investimento che attirerà denaro pubblico e privato da usare per acquistare titoli sul mercato. Questa settimana la Russia, che è tra i Paesi candidati a investire nell’Efsf, ha detto che per ora non intende farlo perché «non capisce» il funzionamento del fondo.
Peraltro, da un punto di vista tecnico, l’Efsf non intende raccogliere soldi, ma piuttosto aprire linee di credito che verrebbero attivate solo nel caso di effettiva necessità. «Non vi aspettate che vi saranno qualche miliardo di euro nel cassetto in dicembre, pronti ad essere usati per il nostro nuovo strumento – ha detto Regling -. Ciò non è necessario. Ma mi aspetto che ci sarà abbastanza denaro a disposizione per coprire le necessità».

 

*****

Stiglitz: è in crisi l’euro non solo L’Italia

«È l’euro in crisi, non solo l’Italia. Non ne uscirete da questa situazione se non troverete una maggiore integrazione fiscale a livello europeo, come avviene negli Stati Uniti dove il governo centrale di Washington interviene nei vari stati dell’Unione dove ci sono dei problemi temporanei, in California ad esempio piuttosto che nell’Oregon».
Joseph Stiglitz, 68 anni, ex capo economista della Banca mondiale e professore alla Columbia University, sposta il focus dall’Italia all’eurozona nel suo complesso. «Il patto di stabilità non ha funzionato perché la Spagna lo ha rispettato ma questo non ha impedito alle agenzie internazionali di ridurne il rating perché hanno capito che Madrid non poteva fare quello che aveva promesso senza crescita».

«Le entrate in Spagna erano precipitate, le spese pubbliche aumentate e come è avvenuto in Grecia gli obiettivi di bilancio, senza crescita, sono stati mancati».
Stiglitz punta a stimolare la crescita e avverte che «l’austerità da sola è la miglior ricetta per il suicidio di un paese». Poi bacchetta affettuosamente Tony Blair, l’ex premier britannico, presente anch’esso al World Forum Business di Milano, dicendogli, mentre l’ex primo ministro si ferma a salutarlo cordialmente, che è «troppo ottimista» sulla crisi. Blair, baby pensionato precoce, sorride, ascolta e ammette che puntare tutto solo sul «controllo del deficit non basta più, ci vuole una nuova visione per la crescita».
Quando durerà la crisi? «Se intendiamo il ritorno ai livelli occupazionali pre-crisi, cioè a quelli del 2007 allora dovremo attendere il 2017, dieci anni», spiega Stiglitz avvertendo che è una stima rosea e che è molto difficile fare previsioni di questo tipo.

«I francesi, che temono di perdere la tripla A del loro debito sovrano, hanno capito la gravità della crisi europea e vogliono puntare su una maggiore integrazione fiscale europea mentre i tedeschi frenano e invece dovrebbero spendere di più perché anche un surplus eccessivo come ha dimostrato Alan Greenspan in America può diventare anch’esso un problema», spiega l’economista ospite d’onore a un evento organizzato da SAS, società di software e servizi di Business Analytics.
E gli Stati Uniti? «Non abbiamo una situazione fiscale così difficile come quella italiana ma abbiamo un deficit nell’istruzione e nelle infrastrutture preoccupante». «Oggi negli Stati Uniti ci sono migliaia di impiegati pubblici in meno rispetto all’inizio della crisi e questo è un elemento su cui riflettere perché gli investimenti nel settore pubblico sono un driver dell’economia americana».

C’è inoltre un grave problema di fiducia nelle istituzioni e il movimento di Occupy Wall Street, che ora si è esteso a 70 città americane e non solo a New York, è lì a dimostrare un inquietudine sempre maggiore nell’opinione pubblica che crede che “l’amministrazione non abbia fatto abbastanza”. «C’è un problema di mancanza di fiducia verso il settore finanziario mentre la politica viene accusata di non aver fatto abbastanza. Ogni giorno si scopre una nuovo scandalo finanziario sulle pagine del New York Times dove i protagonisti promettono di non farlo più e poi si scopre che hanno fatto le stesse promesse, senza mai mantenerle, sei mesi prima».

«Quando il sindaco repubblicano di New York, Michael Bloomberg, ha minacciato di usare la forza contro Occupy Wall Street la maggioranza dei newyorchesi si sono opposti e i sindacati della polizia si sono schierati con i manifestanti», spiega Stiglitz che si accalora sulla questione che sarà il tema dominante della prossima campagna elettorale.
«Alcune città americane hanno vietato l’uso dei megafoni durante le manifestazioni di protesta di Occupy Wall Street – continua il professore di economia che è stato nei mesi scorsi a Tunisi, al Cairo, Atene e a Madrid per capire il movimento dei giovani indignati e la Primavera araba – per cui si arriva alla conclusione che abbianmo una democrazia iper-regolamentata e un settore finanzario sotto-regolamentato».
C’è uno stato di insoddisfazione generale dei giovani e della gente comune negli Stati Uniti a cui occorre rispondere. «Basti pensare che in America il reddito medio delle persone rispetto a quello del 1968 si è ridotto del 25%, cioè abbiamo assistito a tre decenni di stagnazione», spiega Stiglitz. Che così spiega il fenomeno dell’indebitamento della classe media e la mancaza di risparmio delle famiglie negli Usa : «Zero risparmio, è stata la regola americana per anni».

Ma ha ancora un senso parlare di Pil come elemento per comprendere la situazione di un paese? Non è un sistema rozzo e approssimativo? «Ho partecipato alla commissione voluta dal presidente francese Nicolas Sarkozy sulla revisione dell’indice di crescita e abbiamo fatto numerose proposte come quella di introdurre un indice delle diseguaglianze (Inequality index) o della sostenibilità economica. Ci stiamo lavorando».
«Intanto sono soddisfatto che la povertà nel mondo si è ridotta sensibilmente in Cina, in seguito a una riforma varata nel 1979 e in India stanno cominciando a ottenere buoni risultati mentre è l’Africa che continua a mancare all’appello», conclude Stiglitz invitando tutti a sostenere gli sforzi in questa direzione. Il lavoro da fare è ancora molto lungo.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *