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Jp Morgan, la bomba atomica sotto il tavolo

Si tratta di Jp Morgan Chase, la seconda più grande banca d’affari del pianeta – dopo Goldman Sachs – già salita a dubbi onori della cronaca alcuni giorni fa per una perdita di oltre due miliardi del suo ufficio di Londra.

Ora la cifra semrba decisamente più elevata: tra i 100 e i 150 miliardi. E, come dialettica insegna, la quantità diventa qualità. Le perdite – in gergo tecnico definite “titoli tossici”, ovvero si assai incerto valore, forse anche semplice spazzatura – sarebbe state accumulate nel settore più oscuro e pricoloso della finanza internazionale: i derivati.

Si chiamano così perché si tratta di titoli la cui “garanzia sottostante” è costituita da altri titoli, a loro volta garantiti da altri titoli finanziari oppure titoli di debito in qualche misura legati a “cose” (tipicamente: mutui immobiliari). Una catena di S. Antonio in cui la “tossicità”, come un virus, si diffonde certamente, ma senza permettere di sapere fin dove può essere arrivata.

Vedremo domani la reazione dei mercati alla notizia. Jp Morgan è un colosso molto più grandi di Lehmann Brothers, il cui improvviso crollo, nel settembre 2008, segnò l’inizio della fase più acuta della crisi esplosa l’anno precedente con la bolla dei mutui subprime.

Il Sole 24 Ore propone un articolo molto “freddo”, dalle cui righe traspare però una preoccupazione incalcolabile. Come gli effetti sistemici di un niente affatto impossibile tracollo anche di Jp Morgan.

In JP Morgan spuntano 100 miliardi di titoli a rischio: nel mirino del mercato arriva il portafoglio Abs

NEW YORK – Jamie Dimon sapeva e aveva anzi approvato le rischiose strategie della sua banca, Jp Morgan. E quel rischio minaccia di rivelarsi sempre più vasto e ramificato: accanto alle fallite scommesse nei derivati sul credito la divisione sotto accusa, il Chief Investment Office (Cio), avrebbe accumulato un portafoglio di cento, forse 150 miliardi di dollari in titoli che potrebbero rivelarsi «tossici», dagli Abs, Asset backed securities, a prodotti strutturati, ovvero investimenti simili a quelli che nel 2008 scossero il sistema finanziario.

L’esposizione è stata portata alla luce dal Financial Times, che ha citato fonti di trading. La banca sarebbe stata in particolare il più grande compratore di titoli garantiti da mutui in Europa negli ultimi tre anni e aveva fatto man bassa di complesse securities legate al debito sui mercati internazionali. Il Cio, in tutto, secondo quanto emerso in precedenza, gestiva un gigantesco portafoglio da quasi mezzo miliardo.
Il ruolo di Dimon nelle controverse attività, più diretto di quanto finora parso, è stato dimostrato dal Wall Street Journal. Il chief executive, secondo fonti bancarie, aveva dato il proprio via libera ai principi generali delle scommesse poi messe in atto anzitutto dall’ufficio di Londra del Cio. Anche se in seguito è rimasto scioccato dalla scoperta delle perdite e dei rischi che aveva sottovalutato.

Il Journal cita un vertice interno del 30 aprile durante il quale a Dimon fu presentato il resoconto delle perdite, che potrebbero superare i cinque miliardi. La sua reazione fu di incredulità: chiese di vedere subito tutte le posizioni. In seguito, durante riunioni formali come davanti a un bicchiere di vodka, avrebbe confessato ad altri dirigenti il rimorso per gli errori commessi. «Non mi sono accorto di qualcosa di grosso», ha ammesso anche alla moglie. Parlando al Journal, Dimon ha detto di aver imparato una lezione: «Mai compiacersi dei successi passati».

Dimon aveva approvato le linee guida delle operazioni ma, con un insolito laissez faire, non ne aveva verificato esecuzione o dettagli, delegati a una divisione di cui si fidava ciecamente e che lo aveva ammaliato garantendo ingenti profitti negli anni scorsi. Il Chief investment office era guidato da Ina Drew e Dimon iniziamente avrebbe anche resistito alle pressioni per un suo allontanamento, poi avvenuto. Altre divisioni della banca erano al contrario sottoposte a controlli molto più rigorosi da parte dell’amministratore delegato.

JP Morgan dovrà presto rispondere dei sospetti di aver minimizzato o nascosto le perdite al mercato. Dimon ha fatto sapere ieri di aver accettato l’invito a testimoniare al Senato in giugno. Il dibattito sull’entità delle perdite e sui tempi della loro comunicazione alla Sec è stato per giorni oggetto di intenso dibattito nella banca. Dimon il 27 aprile ritardò l’invio alla Sec di documenti trimestrali spiegando che doveva comprendere meglio l’impatto delle scommesse andate male.

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