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Anche sulla sorveglianza bancaria Berlino “piegata” dalla Bce

La «sorveglianza» in stile Draghi piegherà Berlino

.Francesco Piccioni

La Germania si avvia a perdere un’altra partita chiave. Lo scontro con la Bce sul «bazooka» anti-spread si è appena chiuso con la spaccatura della stessa Bundesbank e già si profila un esito altrettanto indesiderato in materia di «sorveglianza bancaria» unificata.
Il testo presentato ieri dal commissario europeo Michel Barnier prevede infatti un ruolo «centrale» per la Bce su tutte le 6.000 banche operanti nell’Unione. È noto che Merkel e tutto il parlamento, oltre i «falchi» di «Buba», sono assolutamente contrari a perdere il controllo delle casse di risparmio o in cooperativa tedesche, che come dappertutto garantiscono una certa «osmosi» tra notabilato politico e imprenditori locali.
Ma i commissari hanno avuto gioco facile nel forzare la mano, spiegando che un sistema a doppio livello (una trentina di «banche sistemiche» vigilate dalla Bce e tutte le altre da autorità nazionali) sarebbe altamente «instabile», perché i capitali correrebbero là dove si percepisce una «protezione» maggiore. Difficile dunque che Berlino possa opporre obiezioni serie, di principio o funzionali. Restano quelle di sapore «leghista» («vogliono portarci via i nostri soldi per darli a quegli sfaticati del Sud Europa»), che hanno spazio nei giornali tedeschi, e non solo quelli popolari.
Nel merito, la proposta prevede uno «sdoppiamento» della stessa Bce – con tanto di «nuove assunzioni» per far fronte all’esplosione del carico di lavoro – per separare i compiti di politica monetaria da quelli di vigilanza. L’aumento dei costi di gestione sarà finanziato con un prelievo sulle banche vigilate. L’unico «controllo democratico», in un contesto di democrazia evanescente, resta la «responsabilità» della Bce di fronte al Parlamento e all’Eurogruppo; cui dovrà presentare rapporti annuali, restando a disposizione per convocazioni anche fuori agenda. Non proprio un controllo ferreo, insomma.
La questione spinosa, e all’apparenza ancora irrisolta, è quella delle «garanzie» per i depositi di conto corrente in caso di fallimento, nonché dei «fondi di risoluzione» per far fronte a crack improvvisi. Anche se saranno comunque creditori e debitori a farsi carico delle ristrutturazioni, prima di arrivare a chiedere aiuto esterno. Il principio più logico è quella della «mutualizzazione», mettendo in comune i fondi nazionali. Ma qui le disparità di potenza – e di capacità contributiva – tra i vari paesi solleva molte, molte, resistenze tra i paesi più ricchi. La Ue dovrà probabilmente arrivare a qualche formula di compromesso con la Germania, in cambio però dell’accettazione del principio «mutualistico», anche se la sua applicazione potrebbe slittare a lungo nel tempo.
Ma intanto si parte già a gennaio con l’assunzione della sorveglianza sulle banche che hanno chiesto o ricevuto in passato aiuti pubblici. A luglio sarà la volta delle grandi banche di dimensioni «sistemiche»; da gennaio 2014, infine, il trasferimento di poteri si completerà anche per quanto riguarda gli istituti a carattere territoriale. Su questo le precisazioni sono numerose e puntigliose. In questo campo le «autorità nazionali» manterranno un ruolo «centrale», ma non spetterà più a loro la decisione «su tutte le funzioni relative alla stabilità finanziaria di un istituto. Dovranno «assistere» la Bce, attuandone le decisioni «sotto» la supervisione dei tecnici di Mario Draghi.
Un passaggio di poteri senza cui parlare di «unione bancaria» sarebbe ridicolo. E che, come ha tenuto a sottolineare Barnier, «è una decisione politica, non un atto tecnico». Se deve davvero nascere la federazione degli «Stati uniti d’Europa», anche Berlino deve cedere sovranità. Non solo Atene, Madrid o Roma.

da “il manifesto”

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