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G20. Si apre con poche idee e molta preoccupazione

È questo il messaggio che potrebbe emergere dal comunicato finale del meeting, nel quale verrebbero evidenziati la lenta messa in pratica delle misure europee contro la crisi e la stretta fiscale da 600 miliardi di dollari pronta a scattare automaticamente negli Usa a gennaio in assenza di un accordo politico sul debito.
Preoccupano anche i bassi livelli di crescita in alcune economie emergenti e possibili shock nel mercato delle materie prime. Sullo sfondo, resta vivo il dramma della Grecia, con le potenze mondiali intenzionate a mettere l’Europa sotto pressione per gestire il debito insostenibile di Atene.
Ma al meeting dei ministri delle Finanze e dei governatori delle 20 maggiori economie mondiali, che comincia oggi in Messico, l’Europa potrebbe rispondere ricordando ai partner le loro responsabilità, a partire proprio dalla minaccia del ‘fiscal cliff’ degli Usa. Il premier ellenico, Dimitris Samaras, lancia l’allarme: «dobbiamo salvare il Paese dalla catastrofe, se uscissimo dall’euro niente avrebbe più senso». Un appello che arriva alla vigilia di due passaggi cruciali, l’approvazione del bilancio 2013 e il voto, mercoledì, su un nuovo pacchetto di austerity.
A Samaras fa eco il ministro delle Finanze Yiannis Stournaras, che ha ricordato come le prossime due settimane siano decisive: «non c’è più spazio per errori». Appelli che rimbalzano sull’agenda del G20, dove l’Europa – in particolare il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble – rischia di trovarsi ancora una volta sotto pressione dai partner globali, preoccupati per lo stallo sulla Grecia.
Una fonte del G20 riferisce al Wall Street Journal che «il Fondo monetario internazionale sta chiedendo all’Europa misure concrete per tagliare il debito greco. Vogliamo sapere cosa gli europei intendano fare, prima che la situazione vada fuori controllo ancora una volta». La proposta di una svalutazione del debito greco fra i 30 e i 50 miliardi di euro non piace nè alla Germania (che ha le elezioni il prossimo anno) nè alla Banca centrale europea, che vi vede un pericoloso precedente.
Intanto spunta un piano, riportato dallo Spiegel, che prevedrebbe 12 opzioni per tagliare il fardello di Atene, dal taglio dei tassi sui prestiti alla Grecia al trasferimento al governo greco degli utili che le banche centrali incassano sui titoli ellenici in portafoglio, fino a uno schema di garanzie europee sui titoli e i beni statali per facilitare le dismissioni.
Un ventaglio così ampio da far pensare che l’Eurozona sia ancora in alto mare su come affrontare la situazione, mentre anche la Spagna, altra Spada di Damocle sui mercati, continua a rinviare la richiesta d’aiuto. La Spagna – ha detto oggi a Città del Messico il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria – ha «fatto i compiti» per prepararsi al salvataggio, l’Europa deve essere pronta a intervenire. Anche se emerge un’indagine interna della Bce sulla possibilità che i titoli di Stato spagnoli possano essere gestiti troppo «generosamente» quando utilizzati come garanzie in scambio di prestiti.
Molti, però, dubitano che al G20, fra oggi e domani, si prospettino soluzioni, viste anche le assenze del segretario Usa al Tesoro, Tim Geithner, del presidente della Bce Mario Draghi e del ministro delle Finanze francese Pierre Moscovici. Difficile anche che dai Venti emerga una presa di posizione sul ‘fiscal cliff’, la stretta fiscale da 600 miliardi di dollari pronta a scattare automaticamente a gennaio negli Usa, aprendo a una recessione potenziale, in assenza di una svolta politica. A soli due giorni dalle elezioni, alla Casa Bianca si pensa a tutt’altro.
Anche la situazione del Giappone, con il rischio di una nuova recessione, preoccupa, così come le resistenze di Europa e Usa all’adozione delle regole bancarie di Basilea 3. Lo stallo su Grecia e Spagna, poi, non fa che rendere più difficile il tentativo di aumentare le quote dei ‘Brics’ nel Fmi, collegato al potenziamento del fondo nel suo ruolo anti-crisi. I tecnici, gli ‘sherpa’, hanno molto da lavorare, e il rischio è che non si vada oltre i dettagli tecnici.
Ma in linea generale comincia a preoccupare la scelta, soprattutto europea, di gestire la crisi pigiando eslusivamente sui tagli di spesa e l’aumento del prelievo fiscale nei paesi in crisi. Nel corso delle prime riunioni del G20 «c’è stato un richiamo generale sul moltiplicatore fiscale, che sembra più ampio di quanto sembrasse in passato». Per i non addetti ai lavori: l’accenno al “moltiplicatore” significa che le conseguenze delle scelte su tagli e prelievo sono molto più ampie e impreviste di quanto suggerivano le teorie monetariste e ultra-liberiste. In una certa misura appare persino paradossale che si nomini il “moltiplicatore”, uno degli elementi centrali delle (cancellate) politiche keynesiane. Tanto più che per Keynes questo “moltiplicatore” doveva agire in positivo (più spesa pubblica, più crescita del Pil), mentre ora i geni dell’economia liberista lo vanno scoprendo in negativo (meno spesa pubblica, più recessione).
Lo ha detto un funzionario del G20 che ha preso parte agli incontri, spiegando che i colloqui hanno evidenziato che «mettere tutto il peso degli aggiustamenti fiscali sui Paesi in deficit provoca spinte recessive» e che «alcuni Paesi sono più problematici di altri, e forse questi ultimi non devono fare gli aggiustamenti di bilancio con la stessa forza». Su questo tema, spiega la fonte, «la discussione è ancora aperta».

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