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Deficit dello Stato migliore, stato del paese comatoso

Le notizie economiche, come ormai avranno intuito i nostri lettori più affezionati, nascondono sempre qualche aspetto. Perché? Per il buon motivo che non sono mai “neutre” (o “tecniche”, come pretenderebbe l’ideologia dominante). Un dato da solo non dice nulla di definitivo, va sempre messo in relazione con altri e collegato ai precedenti (per questo ci si serve delle “serie storiche”). Il risultato, a quel punto, rivela che da un certo dato qualcuno ci ha guadagnato e qualcun altro ci ha perso.

È il caso dei dati sul deficit pubblico del paese. Che è migliorato, spiega l’Istat: nei primi 9 mesi del 2012 si è registrato infatti un rapporto tra indebitamento netto e Pil pari al 3,7%, con un miglioramento di 0,5 punti rispetto allo stesso periodo del 2011. Nel terzo trimestre, in particolare, il rapporto deficit/Pil é stato pari all’1,8%, 0,7 punti in meno rispetto a un anno prima, mentre l’avanzo primario é stato pari al 3% del Pil nel terzo trimestre (il dato migliore da fine 2008) e all’1,6% nei nove mesi.
Ma cos’è il deficit pubblico? E’ l’ammontare della spesa pubblica non coperta dalle entrate, ovvero quella situazione economica dei conti pubblici in cui, in un dato periodo, le uscite dello Stato superano le entrate. Il disavanzo è dunque un risparmio pubblico negativo

Insomma, un ritmo fosennato nella diminuzione, specie nell’ultima parte dell’anno, ma non ancora il raggiungimento del “pareggio di bilancio”, ovvero la parità tra entrate e uscite. La spiegazione del “miglioramento” è molto semplice e ognuno ha potuto misurarla nelle proprie tasche: nell’ultima parte dell’anno sono cresciute in modo esponenziale le entrate totali dello Stato (+3,4% sul tendenziale annuo), raggiungendo quindi un’incidenza rispetto al Pil del 45,7% (era al 43,5% nello stesso periodo del 2011). Il grosso è venuto ovviamente dall’Imu e dalle accise (in particolare sui prodotti energetici: gas, benzina, diesel, ecc).

Il combinato disposto tra tagli alla spesa pubblica e aumento delle entrate ha fatto sì che nel terzo trimestre 2012 il saldo primario dello Stato – l’indebitamento al netto degli interessi passivi (quelli che lo Stato paga per i titoli di debito pubblico) – è risultato positivo: addirittura 11,548 miliardi di euro. Peccato che gli interessi passivi, anche calcolando il calo dello spread e quindi dei rendimenti, sono cresciuti di 1,4 miliardi, arrivando a 18.384 nel trimestre considerato.

Tutti questi “miglioramenti” hanno un costo sociale, come sappiamo: escono più soldi dalle nostre tasche (mentre possiamo utilizzare sempre meno i servizi sociali).

Ma soprattutto non possiamo considerarli come una “medicina” amara ma transitoria. Il Fiscal Compact e l’obbligo al pareggio di bilancio, inserito addirittura in Costituzione, ci obbligheranno a subire la stessa cura – in misura forse ancora più pesante, come spiega qui Luciano Gallino – per almeno i prossimi venti anni. Ammessso e non concesso che i “tecnici” non abbiano sbagliato anche questi calcoli, oltre a quelli sugli “esodati”.

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