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Il “fiscal cliff” americano non fa più tanta paura

La prima spiegazione per tanta apparente calma risiede nel fatto che il “termine ultimo” (lo scorso 31 dicembre) è già stato superato; con un rinvio all’italiana. Ora è scaduto anche il nuovo termine, senza che repubbliani e democratici (ovvero Obama e il governo) trovassero un accordo su quali tagli effettuare alla spesa pubblica (85 miliardi solo nel 2013) e su quante tasse far pagare ai cittadini; ma anche a chi farle pagare.

Una seconda ragione è anch’essa temporale. Prima che gli effetti del “sequester” si facciano sentire, in modo sicuramente negativo, passeranno alcuni mesi. Perciò anche le borse se la prendono calma.

Una terza ragione concerne l’entità dell’impatto dei tagli sul Pil. A quanto pare, dalle ultime stime del Fondo monetario internazionale, sarebbe limitato a un -0,5%. Niente di irrecuperabile, in fondo, con altri mezzi.

Barack Obama ha convocato le parti alla Casa Bianca oggi, per tentare un compromesso dell’ultima ora. Ma non tira una buona aria. Mentre l’economia globale rischia di incendiarsi tra debolezze e europee e incertezze Usa, soprattutto i repubblicani statunitensi sembrano preoccupati di capitalizzare elettoralmente la difesa a spada tratta dei super-ricchi di casa propria. Lassù, infatti, già si pensa alle lezioni di mezzo termine, tra un anno e mezzo, e gli orfani della famiglia Bush contano di vincere qualche seggio in più se riescono a mettere Obama tra i principali imputati di un’economia in declino e del peggioraento delle condizioni di vita dei cittadini. Sembra una follia, ma anche l’Italia – vista da fuori – non scherza.

Sta di fatto che l’idea “democratica” – «I repubblicani cederanno alle prime proteste dell’opinione pubblica, sono loro che sono voluti arrivare a questo, il presidente aveva proposto una soluzione molto equa e ragionevole» – non sembra trovare riscontro empirico. Obama puntava infatti sugli interessi del complesso militare-industriale – notoriamente “intimo” dei falchi repubblicani – che avrebbe dovuto subire il peso di drastici tagli nel settore della difesa: quasi 43 miliardi di dollari nei prossimi sette mesi. Ma piuttosto che far pagare più tasse a chi guadagna più di 300.000 o 500.000 dollari l’anno i repubblicani sembrano pronti allo scontro totale.

Obama aveva in realtà proposto un mix di aumenti delle imposte e di tagli alla spesa, senza escludere affatto riduzioni consistenti alla spesa sociale; ma un po’ più forti sarebbero stati i tagli al Pentagono. I repubblicani dichiarano di volere soltanto tagli alla spesa pubblica, quasi tutti concentrati nel settore sociale, “misure cosmetiche” in quello della difesa e soprattutto nessun aumento delle tasse.

Ma perché nemmeno le imprese si preoccupano? In fondo i tagli alla spesa si traducono in meno ordinativi da parte dello Stato…

Qui entrano in campo ragioni “ideologiche” e altre molto pratiche. Le prime riguardano la passione tutta anglosassone per lo slogan “meno stato nell’economia”. Le seconde, invece, sono assai più brutali. molti lavoratori, sia pubblici che privati, perderanno il posto nei prossimi mesi; almeno 3-400.000. E dovranno accetttare qualsiasi proposta verrà fatta loro. Quindi potranno essere abbassati i salari senza tanti problemi, favorendo – così pensano – la “competitività” di merci servizi made in Usa.
Ma se tutti, in tutto l’Occidente avanzato, riducono i salari, chi diavolo mai comprerà tutto quel che viene prodotto a costi più bassi?

Le borse europee, dunque, suborodorando che lo stallo Usa sia un po’ dovuto a pazzia, oggi sono in deciso calo…

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