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La crisi italiana va molto peggio del previsto

Nel primo trimestre del 2013 il prodotto interno lordo (PIL) è diminuito dello 0,6% rispetto al trimestre precedente e del 2,4% nei confronti del primo trimestre del 2012. E’ il ventesimo calo consecutivo, un altro “record” di cui è difficile menar vanto.

La stima preliminare diffusa il 15 maggio 2013 scorso aveva rilevato una diminuzione congiunturale dello 0,5% e un calo tendenziale del 2,3%. La variazione acquisita del PIL per il 2013 è pari a -1,6%.

Non c’è dunque alcun “miglioramento”, nessuna “luce in fondo al tunnel”, come era andato dicendo più volte quel tale Mario Monti che qualcuno aveva pensato bene di issare alla poltrona di premier.

Rispetto al trimestre precedente, relaziona l’Istat, tutti i principali aggregati della domanda sono diminuiti. I consumi finali nazionali e gli investimenti fissi lordi sono diminuiti, rispettivamente, dello 0,3% e del 3,3%, mentre le esportazioni hanno subito un calo dell’1,9%. Le importazioni hanno registrato una flessione dell’1,6%.

Ed è assolutamente evidente che senza una crescita degli investimenti – non importa se pubblici o privati – nessuna “crescita” è mai possibile; in nessun sistema economico.

Da sottolineare, comunque, che anche le esportazioni sono crollate. Tutrte le misure messe in campo, a cominciare dalla “riforma del mercato del lavoro” targata Monti-Fornero, erano state pensate per migliorare almeno questa voce; abbassando il costo del lavoro (attraverso la precarietà contrattuale), e aumentando l’intensità del lavoro pro capite, pensavano di aumentare la “competitività” della produzione nazionale rispetto a quella dei paesi concorrenti. Un ragionamento “arretrato”, che vede passare la via del recupero di produttività attraverso l’aumento dell’estrazione del plusvalore relativo, ma che sembrava possedere astrattamente un senso; feroce nei confronti dei lavoratori italiani, ma almeno “razionale”.
Niente. Coem più volte ci è capitato di scrivere, la via della “competitività” passa ormai a livello globale per altre strade. Su questa via “povera”, del puro sfruttamento intensivo del lavoro, ci sono valanghe di paesi “emergenti” – con miliardi di lavoratori già in attività – che possono fare molto “meglio” (ovvero lavorare altrettanto ed essere pagati molto meno).

La conferma diretta viene dai dati sulla produzione industriale in aprile. L’indice destagionalizzato  è diminuito dello 0,3% rispetto a marzo. Nella media del trimestre febbraio-aprile l’indice ha registrato una flessione dell’1,0% rispetto al trimestre precedente, già molto deficitario.

La diminuzione complessiva rispetto allo stesso mese dell’anno precedente è del 4,6%.

Gli indici corretti per gli effetti di calendario registrano, ad aprile 2013, diminuzioni tendenziali in tutti i comparti. Calano in modo significativo i beni di consumo (-5,8%, che dipendono direttamente dalla debolezza della domanda interna) e, in misura minore, i beni strumentali e i beni intermedi (-4,5% per entrambi, che risentono invece della dinamica degli investimenti).
Segna un calo più contenuto l’energia (-2,3%).

Nel confronto tendenziale, ad aprile 2013 gli unici settori in crescita sono quelli della fabbricazione di computer, prodotti di elettronica ed ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi (+10,0%), della produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (+3,6%) e della fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (+1,4%).

Di segno negativo, invece, tutti gli altri comparti. Il settore che, in termini tendenziali, registra in aprile la più ampia variazione negativa è quello dell’attività estrattiva (-14,8%).

Il rapporto Istat completo sui conti economici:

E quello sulla produzione industriale: pdfProduzione_industriale_-_10_giu_2013_-_Testo_integrale.pdf330.56 KB

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