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La posta in gioco in Kazakistan

L’Eni è presente in Kazakhstan sin dal 1992. Il primo aereo occidentale ad atterrare all’aeroporto di Alma Ati, quando questa era la capitale, fu proprio un aereo della flotta aziendale dell’Eni. (in copertina l’attuale presidente dell’Eni, Scaroni)
L’attività dell’Eni in Kazachistan si è concentrata nel giacimento di
Karachaganak, nella parte occidentale del paese, e nell’area contrattuale coperta dal North Caspian Sea PSA (Production Sharing Agreement) nell’offshore poco profondo del Mar Caspio settentrionale. L’Eni, insieme a British Gas, è cooperatore con una quota del 32,5% nel giacimento di petrolio, condensati e gas naturale di Karachaganak, che nel 2010 ha prodotto una media di 65 mila barili/giorno di liquidi e 6,7 milioni di metri cubi/giorno di gas naturale in quota Eni, per un totale di 108 mila boe/giorno.
Circa il 70% della produzione di liquidi, stabilizzata presso il Karachaganak Processing Complex (con capacità di circa 200 mila barili/giorno), è esportata sui mercati occidentali (ma non in Italia) via
pipeline: la quasi totalità attraverso il Caspian Pipeline Consortium (Eni 2%), collegato al giacimento da un raccordo della lunghezza di 635 chilometri, e il resto tramite la pipeline Atyrau-Samara.

Ma il “bersaglio grosso” dell’Eni in Kazachistan è un altro. Nell’ambito del North Caspian Sea PSA, in cui Eni partecipa con il 16,81%, nel luglio 2000 è infatti avvenuta una delle scoperte più importanti degli ultimi trent’anni. Si tratta del giacimento gigante di Kashagan, situato 80 km a sud-est di Atyrau (Kazakhstan), nel Mar Caspio settentrionale. Appartengono a quest’area offshore anche i campi di Kashagan South West, Kalamkas, Aktote e Kairan.

Si capisce che la posta in gioco sta salendo. Il governo del Kazakistan vuole aumentare la sua quota nell’estrazione del gas nel Karachaganak, uno dei più grandi giacimenti di idrocarburi dell’Asia. Si tratta di un immenso tesoro gestito dal Kpo, consorzio multinazionale di cui la società di stato italiana Eni, insieme all’inglese British Gas, è socio di maggioranza. Lo stato kazako punta ad una partecipazione del 10%, e negli ultimi anni ha aumentato il pressing per ottenerla. Il Kpo è stato accusato di aver aumentato i costi di estrazione tra il 2002 e il 2007 per un valore pari a 1,25 miliardi di dollari, di aver estratto illegalmente gas e petrolio per 708 milioni di dollari, di aver evaso più volte le tasse e di aver utilizzato permessi di lavoro irregolari. Il governo del presidente-padrone Nazarbayev ha introdotto una tassa sulle esportazioni di carburante pari a 20 dollari per tonnellata.
Il pressing kazaco sembra aver dato i suoi frutti e il 30 giugno scorso l’impianto del giacimento gigante di Kasahagan è stato inuguarato alla presenza del presidente-padrone Nazarbajev e del premier britannico Cameron. Dopo cinque anni di controversie, problemi, rinvii. Il Consorzio Ncspsa (North Caspian Sea Project Sharing Agreement) ha infatti celebrato il “completamento degli impianti necessari per la produzione iniziale, che segna l’inizio dello start-up degli impianti di produzione di Kashagan”. Nel “consorzio”, oltre a Eni e British Gas ci sono anche
Exxon, Shell, Total, la locale KazMunaiGas, la Inpex e la ConocoPhillips, con quote inferiori.

I ritardi nell’avvio dell’investimento del secolo – ll giacimento gigante di Kashagan – si sono dunque sbloccati un mese dopo l’affaire Ablyazov. E sì che le vicende pregresse avevano già avuto qualche problema di carattere giudiziario. L’ipotesi di corruzione tramite tangenti pagate dall’Eni a varie entità kazache, aveva avuto un seguito in Italia, dove la Procura di Milano ha chiesto di predisporre il commissariamento dell’Agip KCO – divisione operativa di ENI in Kazakhstan – o in alternativa di impedire alla società di negoziare nuovi trattati. Secondo quanto emerso da un’inchiesta, l’ENI avrebbe versato circa 20 milioni di dollari nelle tasche dei funzionari kazaki e del genero di Nazarbayev, determinanti per il via libera del giacimento di Kashagan.

A questo punto però è interessante andare a vedere cosa scrive l’ambasciata italiana in Kazachistan, in particolare vi chiediamo di fare attenzione alle ultime dieci parole. “L’interesse tra Roma e Astana esiste, ed è forte. Per l’Italia il Kazakhstan rappresenta una fonte sicura per l’approvvigionamento di risorse energetiche e un’occasione di sviluppo per le piccole e medie imprese. Per il Kazakhstan l’Italia è un importante acquirente delle proprie risorse, un possibile sponsor per la sua inclusione nel mercato europeo e un partner che non interviene nelle questioni di politica interna”. In sostanza l’Italia è un partner che non pone alcun problema agli affari interni del paese e che è interessato solo a realizzare buoni e rilevanti businness.

Se è vero che il giacimento di Kashagan dopo tanti problemi, ritardi, tangenti da versare etc. si è sbloccato il 30 giugno, la coincidenza temporale con il blitz in Italia contro Ablyazov appare quasi ovvia. Un “favore” chiesto dalle autorità kazache alla vigilia dell’avvio dell’affare del secolo, non poteva rimanere inascoltato. Si è mossa l’Eni facendo pressione sui suoi contatti particolari negli apparati dello Stato? La fretta e il silenzio con cui si è svolta la pasticciata operazione di polizia contro i familiari di Ablyzov, lasciano intravedere piuttosto chiaramente tutti gli errori e le forzature di una azione che doveva andare per le spicce, chiudere il problema e consentire di riscuotere la cambiale con le autorità kazache. Anche la presenza del premier britannico Cameron all’inaugurazione dell’impianto di Kashagan il 30 giugno, sembra corrispondere con la recente messa alla porta di Ablyazov dalla Gran Bretagna dove pure aveva ottenuto asilo politico. Insomma, l’elicottero atterrato nella villa in Sardegna dove il presidente-padrone Nazarbaiev era in vacanza ai primi di luglio, non è affatto detto che avesse a bordo Berlusconi. Tanto per dirne una, l’ultimo incontro tra Prodi e Nazarbayev risale al 23 maggio, nella capitale kazaca Astana, una settimana prima del blitz che ha portato all’espulsione della moglie e della figlia del dissidente kazako.
Come è noto, sui corridoi l’approvvigionamento energetico tra le repubbliche asiatiche dell’ex Urss e il mercato europeo, è in corso dai primi anni Novanta uno scontro epocale tra le grandi potenze. Uno scontro che ancora adesso incombe sui mega corridoi come il South Stream (voluto dalla Russia) in competizione con il Nabucco (voluto dagli Usa). Una cosa è certa le sorti di un oligarca caduto come Ablyazov, – che appare difficile dipingere come un “dissidente” – non sono il problema principale. Sul contesto di questa vicenda c’è ancora parecchio da scavare.

Qui di seguito una serie di articoli usciti su Contropiano utili per avere una idea della posta in gioco. Buona lettura

Energia non olet
Gli amerikani in Italia
Il prossimo conflitto scoppierà sulle rotte di gas e petrolio

Seep. La guerra dei gasdotti
L’Unione Europea si inserisce nella nuova geografia delle fonti energetiche
Nabucco contro South Stream. Guerra sui corridoi energetici

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