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Gran Bretagna. La cornucopia della flessibilità del lavoro

Una ricerca del Chartered Institute of Personnel and Development (Cipd), rivela che i dati sull’occupazione diffusi annualmente in Gran Bretagna dall’ufficio nazionale di statistica sono fallati su un aspetto decisivo. Dalla ricerca risulta infatti che i lavoratori britannici con “contratti a zero ore” siano ormai quattro volte in più di quanto viene calcolato dalle statistiche ufficiali, ovvero almeno un milione, il 3,5% della manodopera totale. Nella statistica ufficiale il contratto a zero ore appare invece come full employment.

Nel paradiso ultraliberista della precarietà e della flessibilità del lavoro sono cresciuti notevolmente i contratti “zero hours”. Si tratta di impieghi che non garantiscono un minimo di lavoro, ma sono dettati solo dalla domanda delle imprese. In pratica il lavoratore attende di essere chiamato per impegni di qualche giorno o di qualche settimana, seguiti da pause variabilmente lunghe per poi, magari, ritornare al lavoro sull’onda di nuove richieste. I contratti ovviamente non prevedono copertura in caso di malattia o ferie, nonostante che le norme europee sul lavoro impongono ad esempio il riconoscimento delle ferie. Precarietà totale, dunque, ma abbondantemente utilizzata sia dal settore privato ma anche dal settore pubblico (incluso Buckingham Palace). “La realtà è che i dipendenti non hanno alternativa: si devono accontentare». È il caso di quelli di Sports Direct, colosso del retail sportivo che impiega 20mila persone, la quasi totalità, a “zero ore”. Una situazione denunciata dai sindacati, In Italia il contratto di lavoro intermittente, o “a chiamata”, tipico del modello anglosassone, è stato introdotto nell’ordinamento italiano con la Legge Biagi nel 2003. Può essere a tempo indeterminato o a termine: è un contratto con cui il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro, che ne utilizza la prestazione solo all’occorrenza. In Italia formalmente è vietata l’assunzione di lavoratori intermittenti per sostituire lavoratori in sciopero o coinvolti da una procedura di licenziamento collettivo. Ma i recenti casi nella logistica dimostrano che il crumiraggio attraverso i meccanismi introdotti nelle pieghe della Legge Biagi viene ampiamente applicato.

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