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Occupazione a picco, “ripresa” invisibile

 

I dati dell’Istat scandiscono con precisione l’aggravarsi della crisi sociale di questo paese. A cominciare dall’occupazione, la cui caduta non conosce soste. Oggi l’istituto che era stato (male) diretto dal neoministro Giovannini ha reso noti i numeri sia per quanto riguarda il secondo trimestre di quest’anno (contenente il raffronto con lo stesso periodo dell’anno precedente(, sia i dati mensili relativi a luglio.

Nel secondo trimestre 2013 si accentua la diminuzione su base annua del numero di occupati (-2,5%, pari a -585.000 unità), soprattutto nel Mezzogiorno (-5,4%, pari a -335.000 unità). La riduzione degli uomini (-3,0%, pari a -401.000 unità) si associa a quella delle donne (-1,9%, pari a -184.000 unità). Al persistente calo degli occupati più giovani e dei 35-49enni (rispettivamente -532.000 e -267.000 unità) continua a contrapporsi la crescita degli occupati con almeno 50 anni (+214.000 unità).

Un quadro disperante che chiarisce anche alcune dinamiche produttive: a seconda delle “prestazioni” richieste alla forza lavoro, infatti, le imprese tendono a mantenere dipendenti anche “anziani” ma competenti. Insomma, al di fuori della semplice fatica ripetitiva, quel poco di impresa che ancora resta in questo paese deve forzatamente fare i conti con l’esperienza. Tanto, sul piano salariale e normativo, non c’è più quasi differenza tra lavoratori “maturi” o giovani alla prima occupazione.

 

Prosegue la riduzione tendenziale dell’occupazione italiana (-581.000 unità), mentre si arresta la crescita di quella straniera (-4.000 unità). In confronto al secondo trimestre 2012, tuttavia, il tasso di occupazione degli stranieri segnala una riduzione di 3,5 punti percentuali a fronte di un calo di 1,2 punti di quello degli italiani.

Anche in questo caso il dato è illuminante: i migranti, usati per abbassare i livelli salariali e rompere le “rigidità” normative (su turni, orari, flessibilità, ecc) nella crisi ritornano ad essere puro “esercito salariale di riserva”; dunque sacrificabile per primo. Data la struttura prevalentemente piccola o piccolissima dell’impresa italiana, infatti, il “padroncino” tende a tener conto dei vari condizionamenti sociali e locali; per cui, in certe condizioni, è più “accettabile” buttar fuori un migrante piuttosto che un vicino di casa, un paesano, uno che “ci si conosce da bambini”.

 

Nell’industria in senso stretto prosegue la flessione dell’occupazione, con una discesa tendenziale del 2,4% (-111.000 unità), cui si associa la più marcata contrazione di occupati nelle costruzioni (-12,7%, pari a -230.000 unità). Per il secondo trimestre consecutivo, e a ritmi più sostenuti, l’occupazione si riduce anche nel terziario (-1,0%, pari a -154.000 unità).

Come si vede, la crisi investe sia pure in modo differente tutti i macrosettori. E se per l’edilizia – dato il blocco sostanziale del mercato immobiliare – la cosa era quasi scontata, per il “terziario” (su cui in tanti avevano fantasticato per spiegare come si stesse passando da una società industriale al “lavoro cognitivo”) si tratta di una conferma negativa, sia pure su dimensioni molto minori. Banalmente, l’Italia non è tra i paesi che si possono permettere di smantellare la propria struttura industriale (com’è stato fatto e si sta continuando a fare) e impegnare la popolazione in età da lavoro in “servizi”. Per il semplice motivo che molti di questi “servizi” non sono esportabili…

 

Non si arresta il calo degli occupati a tempo pieno (-3,4%, pari a -644.000 unità rispetto al secondo trimestre 2012), che in quasi metà dei casi riguarda i dipendenti a tempo indeterminato (-2,5%, pari a -312.000 unità). Gli occupati a tempo parziale aumentano in misura minore rispetto al recente passato (1,5%, pari a +59.000 unità); peraltro la crescita riguarda esclusivamente il part time involontario.

La precarietà non aumenta l’occupazione. Lo si sapeva anche prima, ma ai padroni piaceva tanto e i governo degli ultimi venti anni – tutti – gliene hanno data più di quanto potessero usarne. Il risultato è penoso: l’occupazione “stabile” diminuisce a velocità crescente, ma quella precaria con va meglio. Il problema della “competitività” del sistema-paese, come si può capire, non può davvero essere risolto dalla “diminuzione del costo del lavoro”. Occorrono prodotti “innteressanti” da esportare, certo (il fanoso – e in vendita – “made in Italy”), ma soprattutto prodotti che si possano vendere sul mercato nazionale. E qui il sistema italiano è entrato in un loop negativo: la riduzione del costo del lavoro e la precarietà hanno contribuito a contrarre il mercato interno, mentre le esportazioni dipendono in larga parte dalle connessioni con l’industria tedesca. Meno gente al lavoro, pagata peggio, uguale ameno vendite e riduzione di produzione e occupazione; quindi ancora meno salari e meno mercato interno. Una caduta in vite.

 

Per il secondo trimestre consecutivo, e con maggiore intensità, cala il lavoro a termine (-7,2%, pari a -177.000 unità), cui si accompagna la nuova diminuzione dei collaboratori (-7,0%, pari a -32.000 unità).

 

Il numero dei disoccupati, pari a 3.075.000, è in ulteriore aumento su base tendenziale-annuale (13,7%, pari a +370.000 unità). L’incremento, diffuso su tutto il territorio nazionale, interessa in oltre la metà dei casi le persone con almeno 35 anni. Il 55,7% dei disoccupati cerca lavoro da un anno o più.

 

Il tasso di disoccupazione trimestrale è pari al 12,0%, in crescita di 1,5 punti percentuali rispetto a un anno prima; per gli uomini l’indicatore passa dal 9,8% all’attuale 11,5%; per le donne dall’11,4% al 12,8%. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni sale al 37,3% (+3,4 punti percentuali), con un picco del 51,0% per le giovani donne del Mezzogiorno.

 

Dopo sette trimestri di discesa, torna ad aumentare il numero di inattivi 15-64 anni (+1,2%, pari a 172.000 unità), a motivo sia di quanti cercano lavoro non attivamente sia di quanti non cercano e non sono disponibili a lavorare. L’aumento in più di nove casi su dieci riguarda gli uomini, e coinvolge soprattutto i giovani di 15-34 anni.

I due rapporti completi dell’Istat:

pdfOccupati_e_disoccupati_mensili_-_30_ago_2013_-_Testo_integrale.pdf657.71 KB

zipOccupati_e_disoccupati_trimestrali_-_30_ago_2013_-_2013_II_Serie_storiche.zip47.56 KB

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