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La “crescita”? Chiacchiere senza basi reali

 

Se qualcuno del governo vi dice ancora di “vedere la luce in fondo al tunnel” consigliategli di cambiare pusher.

La crisi produttiva italiana appare infatti – dai dati Istat – una discesa agli inferi senza nemmeno le fermate ai singoli piani. I numero resi noti stamattina sono peggiori delle attese, figuriamoci della dichiarazioni ottiministiche di Letta e qualche altro ministro.

Nel secondo trimestre del 2013 il prodotto interno lordo (PIL), “corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato”, è diminuito dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e del 2,1% nei confronti del secondo trimestre del 2012.

La stima preliminare diffusa il 6 agosto 2013 scorso aveva rilevato una diminuzione congiunturale dello 0,2% e una diminuzione tendenziale del 2,0%. Come si diceva sopra: peggiore delle attese, dunque, espresse solo un mese fa dalla stessa Istat, con le identiche metodiche. Da dove veniva dunque l'”ottimismo” sbandierato dai saccomanni, Letta il Giovane e compagnia cantando?

 

La variazione negativa acquisita per il 2013 è già ora (primi sei mesi) pari a -1,8%. Se non ci sarà una – a questo punto altamente improbabile – inversione di tendenza nel secondo trimestre il bilancio finale potrebbe essere ancora più negativo.

 

Rispetto al trimestre precendente, i principali aggregati della domanda interna (consumi finali nazionali delle famiglie e investimenti fissi lordi) sono diminuiti entrambi dello 0,3%, mentre le esportazioni sono aumentate dell’1,2%. Le importazioni hanno registrato una flessione dello 0,3%. Sono gli effetti della ricerca della “competitività” solo sul costo del lavoro (nonché dei diritti e del welfare): migliora la capacità di esportare (produrre costa un po’ meno) ma crolla la domanda interna (chi lavora o è in pensione ha meno soldi da spendere, anche per i consumi di prima necessità).

 

La domanda nazionale al netto delle scorte ha sottratto 0,3 punti percentuali alla crescita del PIL. Ed anche il contributo dei consumi delle famiglie è stato di -0,3 punti percentuali, mentre quello degli investimenti fissi lordi e della spesa della Pubblica Amministrazione è stato nullo. La variazione delle scorte ha contribuito negativamente per 0,4 punti percentuali alla variazione del PIL, mentre l’apporto della domanda estera netta è stato positivo per 0,4 punti percentuali.

 

“Il valore aggiunto ha registrato variazioni congiunturali negative del 2,2% nell’agricoltura, dello 0,9% nelle costruzioni, dello 0,3% nei servizi e dello 0,1% nell’industria in senso stretto. In termini tendenziali, è diminuito del 6,9% nelle costruzioni, del 2,6% nell’agricoltura, del 2,5% nell’industria in senso stretto e dell’1,2% nei servizi”.  Non c’è insomma un solo comparto dell’economia nazionale che faccia registrare un andamento “positivo”. Nemmeno dopodue anni di recessione contnua.

Il rapporto Istat completo:

Le serie storiche: xlsconto20132.xls74.5 KB

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