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Ilva-Riva. Il governo esita anche sul commissariamento

Pare che persino questo governo di servizio per le imprese e le banche si stia rendendo conto che con l’Ilva bisogna inventarsi qualcosa di diverso, fuori dallo schema ideologico logoro del “ci pensa il mercato”. Non basta infatti dichiarare un impianto – come quello di Taranto – di “interesse straegico nazionale” se poi tuto quello che lo Stato fa si limita a mandare la polizia se c’è conflitto sindacale o con la popolazione residente. Tanto più se, come in questo caso, sia “la famiglia” dei proprietari che i vertici aziendali sono arrestati, indagati, latitanti; e ciò nonostante “ordinano” la chiusura di impianti e la “messa in libertà” di migliaia di lavoratori, se la magistratura sequestra parte dei loro beni finanziari derivati dalla “commissione di reati”.

 

Per carità, non che Letta e Zanonato (ministro per le attività produttive, quello che dovrebbe inventarsi qualcosa) pensino di espropriare i Riva e di nazionalizzare – come sarebbe invece logico – una delle poche industrie strategiche rimaste in questo paese. Ma un “commissariamento” più esteso di quello fin qui timidamente messo in atto sembra ormai alle porte. Naturalmente nella piena ambiguità, con “commissari” nominati con un braccio da quelo stesso Stato che con un altro (la magistratura) è “costretto” a perseguire i proprietari.

 

Riportano infatti le agenzie che “il governo sta studiando una soluzione che consenta al gruppo Riva di riprendere la produzione nei suoi impianti, interrotta ieri a seguito del sequestro di beni per 1 miliardo, scongiurando così il rischio che 1.400 persone messe in libertà rimangano senza lavoro”. La soluzione sarebbe nella pubblica presa di possesso dello stesso gruppo Riva, ripetiamo, in modo da evitare “l’inquinamento delle prove”, la “commissione di nuovi reati” e soprattutto impedire il blocco della produzione per pura ritorsione e ricatto. E invece no: “Il governo sta cercando soluzioni perché, compatibilmente con il sequestro, l’azienda prosegua l’attività produttiva”, ha detto il sottosegretario allo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, che sta seguendo il dossier con il ministro Flavio Zanonato.

 

L’altro ieri Riva Acciaio, società della famiglia Riva, aveva comunicato la cessazione di tutte le attività a seguito del sequestro preventivo di beni per complessivi 8,1 miliardi ordinato dalla magistratura nell’ambito dell’inchiesta per disastro ambientale presso le acciaierie Ilva di Taranto, di proprietà dei Riva, dei quali finora la Guardia di Finanza ha sequestrato 2,2 miliardi.

 

Oltre 1 miliardo è stato requisito martedì tra beni mobili e immobili, titoli bancari e azioni di proprietà di 13 società collegate alla holding Riva Fire. I dipendenti messi in libertà ieri sono occupati negli impianti di Verona, Caronno Pertusella (Varese), Lesegno (Cuneo), Malegno, Sellero, Cerveno (Brescia) e Annone Brianza (Lecco) e Riva Energia e Muzzana Trasporti.

 

Al momento l’unica cosa certa è che l’esecutivo ha garantito ai sindacati i fondi per mettere i lavoratori in cassa integrazione straordinaria e che lunedì il ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato, riceverà l’azienda. Lo schema, fin qui, è quello solito: l’imprenditore privato svuota le casse aziendali per riempire le proprie, poi, quando l’azienda si ferma i i dipendenti rischiano di finire sul lastrico, interviene lo Stato; ma soltanto per mettere i fondi necessari a finanziare gli ammortizzatori sociali. Insiomma: profitti privati e aumento della spesa pubblica, che verrà poi fatta pagare ad altri lavoratori in termini di tagli al welfare o nuove tasse indirette (accisa, Iva, tariffe, ecc).

 

Allo studio, anche se in ambienti ministeriali viene definita “difficilmente percorribile”, anche l’ipotesi di commissariamento degli impianti, suggerita ieri dalla Fiom. I siti sequestrati non sono infatti direttamente coinvolti nell’inchiesta per disastro ambientale (come l’Ilva di Taranto), né sono falliti. Insomma: bisognerebbe attendere che anche qui intervenga la magistartura prima di sostituire almeno l’amministrazione ordinaria degli stabilimenti da parte di una proprietà in odor di “delinquenza”. Come sono gentili, con i padroni…

 

Riva Acciaio continua a dire che la chiusura non è stata una scelta ma una decisione imposta dal sequestro e ribadisce in una nota “il proprio massimo impegno a collaborare”.

 

“La prima ipotesi [allo studio] è vedere se è possibile gestire l’azienda indipendentemente dal sequestro. La seconda è se sia invece necessario un nostro provvedimento che, salvaguardando le decisioni del giudice, consenta la ripresa dell’attività. Il commissariamento fa parte della seconda ipotesi”, ha riferito Zanonato al termine di una riunione a Palazzo Chigi alla quale era collegato telefonicamente il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante (un ex prefetto, mica un manager qualsiasi).

 

Ieri in una intervista a Repubblica il ministro ha spiegato che mentre per l’Ilva di Taranto il commissariamento trovava “la sua giustificazione nel disastro ambientale provocato dallo stabilimento siderurgico e dunque dalla necessità di utilizzare le risorse per rispettare i vincoli del risanamento ambientale prescritti dall’Aia, l’autorizzazione integrata ambientale. Quest’ultimo è oggettivamente un caso diverso”.

 

Il governo, con un decreto, ha commissariato l’Ilva togliendo ai Riva, per un periodo compreso tra uno e tre anni, la gestione, affidata a Enrico Bondi.

 

Tre componenti della famiglia Riva sotto inchiesta sono stati scarcerati in attesa della chiusura delle indagini e della richiesta di processo da parte della procura.

 

Preoccupata Federmeccanica per l’impato sul settore: “E’ un momento in cui il prezzo dell’acciaio tende ad aumentare. Se ci si mette anche una carenza di forniture nazionali si rischia di dare un colpo sulla ripresa che stiamo vagheggiando”.

 

L’Ilva di Taranto impiega, compreso l’indotto circa 12.000 persone. In totale il gruppo Riva nel occupa oltre 20.000.

 

Tutti numeri e rischi che giustificherebbero ampiamente, anche da un punto di vista capitalistico puro, il sequestro e la nazionalizzazione di tutto il gruppo.

 

 

 

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