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Telecom, il governo nella gabbia degli accordi Ue

 Il caso della vendita – a due soldi – di Telecom a Telefonica ha fatto toccare con mano fino a che punto sia arrivata la distruzione del patrimonio industriale del paese, costruito in gran parte con soldi pubblici – ovvero “nostri” . visto che i “prenditori” nazionali privati difficilmente sganciano soldi loro.

Ai tanti problemi di tipo industriale e infrastrutturale (Telecom possiede e gestisce l’unica rete di telefonia fissa che può esistere in un qualsiasi paese), il Copasir e i servizi segreti si sono finalmente accorti che esiste anche quello della “sicurezza nazionlae”. Gran parte delle comunicazioni interne agli apparati dello Stato viaggiano infatti su rete fissa, in forma “protetta”, criptata, ecc. Ma se il possesso e la gestione passano a un’azienda di un altro paese, per quanto facente anch’esso parte della Unione Europea, c’è il fondatissimo rischio che queste comunicazioni interne siano intercettate e decriptate da quelli che comunque restano dei “competitor” sul mercato globale. Per non dire delle più “normali” intercettazioni telefoniche, ordinate dalla magistratura o decise in proprio dai “servizi”, attualmente gestite da un ramo di Telecom in stretto collegamento con il ministero della giustizia e i servizi stessi.

Un pasticcio immondo, e anche pericoloso.

Per mettervi in qualche modo mano, dopo aver stupidamente detto che “non ci possiamo fare niente, è un’azienda privata” (dimenticando di possedere una golden share azionaria), il governo sta  pensando di l’attuale normativa sull’Opa (offerta pubblica di acquisto) lasciando agli statuti delle singole aziende la facoltà di fissare una soglia inferiore all’attuale 30% per far scattare l’obbligo di una Opa.

Lo ha annunciato il sottosegretario al Tesoro, Alberto Giorgetti, nel corso di un’audizione in Senato sulla vicenda Telecom Italia.”Le società potrebbero essere autorizzate a definire in via statutaria una soglia inferiororae a quella stabilita per legge”, ha detto Giorgetti. La spagnola Telefonica ha stretto un accordo con gli altri soci per assumere la maggioranza di Telco, la holding che controlla Telecom con il 22,4% del capitale.

Giorgetti spiega che “a livello normativo potrebbe essere determinata una soglia minima per non ingessare completamente il mercato del controllo, mentre non sarebbe consentito alle società di modificare verso l’alto la soglia del 30%. Questo è lo strumento principale a cui si sta lavorando”. Ma si tratta probabilmente della classica toppa pegiore del buco.

Il ministero del Tesoro, infatti, non ritiene per nulla “desiderabile” la sostituzione di una soglia fissa con una soglia di fatto, cioè basata sul controllo effettivo e non sul capitale detenuto. Ogni decisione assunta dall’autorità di vigilanza sarebbe impugnabile e “l’accertamento del controllo sarebbe rimesso al giudice amministrativo”. Insomma: si aprirebbe la via a contenziosi lunghissimi, costosi e paralizzanti, con sempre possibili ripercussioni sull’efficienza del servizio. Anche senza guardare ai “problemi di sicurezza”.

Il Senato accoglie con favore l’annuncio del governo e prepara “un atto di indirizzo”, ha spiegato Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria. Lo stesso Mucchetti era stato nei giorni scorsi uno dei critici più severi dell’operazione e dell’atteggiamento menefreghista del presidente del consiglio.

IL GOVERNO ESTENDE POTERI SPECIALI ALLA RETE

Prudenza massima anche sull’ipotesi . ricorrente in tutti i casi di crisi industriale – di far intervenire la Cassa depositi e prestiti (che gestisce i rispami dei conti correnti postali) per rilevare almeno in parte Telecom. La prudenza del governo deriva dal fatto che la Cdp è fuori dal perimetro della pubblica amministrazione e, per restarci, deve operare come un’impresa privata orientata al profitto. L’Unione europea potrebbe imporre all’Italia di consolidare nel bilancio pubblico le attività e le passività della Cdp se l’intervento sulla rete fosse condotto senza una chiara logica economica. Un “rischio” che spiega con chiarezza come il governo economico effettivo non stia più nelle mani del governo nazionale, provocando al tempo stessso il dissesto sistematico della struttura produttiva nei suoi pilastri fondanti.

Come spesso accade, là dove non si può fare operativamente granché, si fa una legge. Il primo passo del governo consisterebbe dunque nel far rientrare la rete telefonica fra gli “asset strategici” per i quali sono previsti poteri speciali (golden power). Lo strumento prescelto, anche per questioni di tempo, è il decreto della presidenza della Repubblica (Dpr) che sarà oggi  all’ordine del giorno dell’esecutivo.

“Gli attivi di rilevanza strategica nel settore delle comunicazioni sono individuati nelle reti e negli impianti utilizzati per la fornitura dell’accesso agli utenti finali dei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale”, spiega la bozza del provvedimento.Sono inclusi tra gli asset strategici i collegamenti di polizia, carabinieri e guardia di finanza e la “rete di accesso alla rete telefonica pubblica in postazione fissa anche nel caso di connessioni stabilite mediante servizi di accesso disaggregato all’ingrosso, condiviso o wrl, in rame e fibra”. Come si vede, ci si preoccupa esplusivamente della “sicurezza” degli apparati militari di controllo, mentre i “cittadini” non vengono neppure menzionati. Ma perché il governo non utilizza appieno – come fanno tutti gli altri paesi della Ue in casi simili – la golden share azionaria (una quota delle azioni che consente di bloccare o far marciare determinate operazioni)?

L’Italia ha infatti da tempo ristretto l’ambito di applicazione di quella che una volta si chiamava golden share su pressione della Commissione europea. Insomma, la Ue ha “convinto” i passati governi a demolire un potere di contrasto verso lo shopping di imprese italiane con risvolti per l’appunto “strategici”. E ora se ne vedono gli effetti.

La bozza di Dpr oggi in discussione prevede che i poteri speciali del governo non si applichino alle operazioni infragruppo “riguardanti fusioni, scissioni, incorporazioni” o cessioni. Tuttavia, i limiti ai golden power non valgono “in presenza di elementi informativi circa la minaccia di un grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti”. Per mantenere un po’ di industria, insomma, non è rimasto che invocare le ragioni della “sicurezza”. Quanto può andare avanti un paese così?

 

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