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Il Fmi difende Letta

Da quando la politica occidentale è stata messa ufficialmente da parte per lasciare il posto di comando assoluto all’economia (quindi, viste le evoluzioni, alla sola finanza), ogni outlook economico è diventato immediatamente un diktat politico.

 

La conferma in tempo reale attiva dal rapporto del Fondo Monetario Internazionale diffuso ieri. Oltre alle previsioni economiche in senso stretto, infatti, da lì arriva un appoggio diretto al governo Letta: «le tensioni all’interno della coalizione sono evidenti e rappresentano un rischio all’outlook economico».

 

Nessuna sorpresa, visto che a parlare è la terza gamba della Troika (insieme a Bce e Ue), il kombinat che sta dirigendo l’Italia (oltre a Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda, Cipro e chi capiterà a tiro) da un paio d’anni a questa parte.

 

Ma la “discesa in campo” della potenza sovranazionale chiarisce anche perché la disastrosa stagione berlusconiana sia arrivata al punto finale, tanto che ormai anche Giorgio Napolitano – il mediatore col Cavaliere oltre ogni logica costituzionale – sembra aver scaricato in mare l’ingombrante relitto.

 

Mentre tanto “popolo di sinistra” sta lì alla finestra ad attendere “l’arresto”, per poi magari correre a festeggiare in piazza sotto l’attenta regia degli uomini e dei media della “Troika”, sta maturando invece un bisogno autenticamente popolare di rompere la gabbia e “rovesciare il tavolo”.

 

Le ragioni sono rintracciabili, quasi in modo trasparente, nei resoconti di stampa. Vi suggeriamo di leggere questo, da IlSole24Ore, inframezzato dalla nostra “decodifica”, in corsivo.

 

 

Il Fmi: le tensioni sul Governo Letta sono un rischio per l’economia. Anche europea. Disoccupazione ai massimi dal Dopoguerra

 

 

Il governo di Enrico Letta «mantiene l’appoggio del parlamento» ma «le tensioni all’interno della coalizione sono evidenti e rappresentano un rischio all’outlook economico». Lo afferma il Fmi, nell’Article IV sull’Italia. «Il governo continua a portare avanti un’agenda di riforme ma si trova a far fronte a limiti politici». Un peggioramento della crisi economica in Italia avrebbe ricadute “marcate” in Europa e nel resto del mondo: «Dato il suo ruolo centrale negli scambi globali e nel sistema finanziario, un significativo shock potrebbe generare effetti regionali e globali maggiori di quanto suggerito dall’esposizione diretta».

 

Redazione. La benedizione della “stabilità politica” è esplicita, l’approvazione per il “programma di riforme” anche, la condanna dell’avventurismo berlusconiano felpata ma definitiva. Il resto è normale terrorismo psicologico, peraltro fondato su dati reali: l’Italia, pur in declino, rappresenta una pedina importante nello scacchiere degli scambi internazionali. Quindi un precipitare della sua crisi – a maggior ragione per motivi politici – avrebbe conseguenze ben più rilevanti, per il sistema nel suo complesso, di quelle giù inquietanti scatenate dalla crisi greca.

 

Disoccupazione ai massimi dal dopoguerra
In Italia il tasso di disoccupazione «è ai massimi del dopoguerra, al 12%, con la disoccupazione giovanile vicina al 40%». È quanto si legge nel rapporto Articolo IV del Fondo monetario internazionale, redatto al termine della missione in Italia. Guardando ai numeri, il tasso di disoccupazione dovrebbe crescere dal 10,7% dell’anno scorso al 12,5% nel 2013 e attestarsi al 12,4% l’anno prossimo. Il documento precisa che «l’economia sta mostrando segnali di stabilizzazione, ma la disoccupazione é ancora alta e i trend rimangono bassi».

 

Red. Il Fmi sembra accettare l’impostazione “ottimistica” data dal governo nel Documento di economia e finanza, preparatorio della “Legge di stabilità” vera e propria. Non tiene dunque per il momento in nessun conto gli allarmi – fondati su dati certi, non su impressioni – lanciati da altri organismo sovranazionali. In particolare, la Commissione Europa (25 settembre) nel suo rapporto sulla competitività, registra che l’Italia ha perso il 20% della struttura produttiva, mentre l’Ocse ha previsto una crescita negativa per il 2013 dell’1,8%, contro i valori positivi dell’Europa e parte dei paesi di area Ocse. Ora, se un paese ha perso un quinto (un quinto!!) della sua struttura produttiva, e se il crollo degli investimenti delle imprese tra il 2012 e il 2013 è arrivato al 13,5%, appare letteralmente impossibile che possa “crescere” soltanto in virtù dei tagli alla spesa pubbli, alla precarizzazione contrattuale e ai salari bassi. E questo lo si può affermare con nettezza anche senza calcolare le svendite di parti consistenti del patrimonio industriale nazionale a colossi multinazionali, che possono dunque decidere di proseguire oppure no la produzione in questo paese.

 

«Servono ulteriori riforme»
Il Fmi ha accolto con favore il pacchetto di misure a favore della crescita e del mercato del lavoro, ma ha sottolineato che «servono ulteriori riforme per dare slancio alla produttività e aumentare il tasso di occupazione, soprattutto tra giovani e donne». Questo andrebbe fatto anche semplificando i contratti e riducendo le tasse sul lavoro.

 

Red. Ma i teorici del Fmi conoscono una sola teoria economica; e non importa se la realtà dà loro torto (“tanto peggio per i fatti”, avrebbe detto qualcuno). Ripropongono sempre la stessa ricetta, esattamente come un drogato che rincorre sempre la sua dose quotidiana che lo sta portando al creatore. “Semplificare” i contratti, in un paese che ha già 46 forme contrattuali precarie e un 30% circa di lavoro nero (il più “semplice” che si possa immaginare) è una barzelletta oppure un insulto all’intelligenza. Comunque un invito a introdurre lo schiavismo senza la proprietà degli schiavi (quindi senza l’obbligo di mantenerli in vita; un risparmio, indubbiamente!). Un dettaglio: la “riduzione delle tasse sul alvoro” non è una “ricetta di sinistra”. La consiglia anche il Fmi….

 

«Modesta ripresa»
L’economia italiana é stata in recessione per quasi due anni, sulla scia di «un drastico calo della domanda interna», che riflette aspre condizioni del credito, aggiustamenti fiscali e un calo della fiducia. «Una modesta ripresa é attesa a partire alla fine del 2013, sostenuta dalle esportazioni nette». È quanto si legge nel rapporto Articolo IV del Fondo monetario internazionale, redatto al termine della missione in Italia. Secondo l’istituto di Washington, dopo il calo degli anni precedenti, «la domanda interna dovrebbe riprendersi lentamente» alla luce dei venti contrari derivati dalle difficili condizioni del credito. Guardando ai numeri, il Pil italiano, dopo la contrazione del 2,4% del 2012, dovrebbe segnare un -1,8% quest’anno per tornare alla crescita (+0,7%) nel 2014. L’inflazione si dovrebbe attestare all’1,6% nel 2013 e all’1,3% nel 2014.

 

Red. Il Fondo registra che la recessione italiana è stata moltiplicata dal crollo della domanda interna, ovvero dalla riduzione dei consumi (la gente non spende i soldi che non ha). Ma se ne frega. La “ripresa” che vede – ottimisticamente, dato che i numeri attuali dicono il contrario – è quella trainata dalle esportazioni. Ovvero una “crescita senza redistribuzione interna”, che può consolidare i protafogli delle imprese e delle banche (che potrebbero veder ridurre alcune “sofferenze” verso le imprese), ma che non si traduce né in maggiore occupazione né in incremento dei consumi interni.

 

Il nodo Mps
Il piano di ristrutturazione del Monte dei Paschi é un potenziale pericolo per tutto il sistema bancario del Paese data la stazza dell’istituto senese, afferma il Fmi. «L’attuazione dell’ambizioso piano di ristrutturazione é critica per la banca stessa e il sistema nel suo complesso». I problemi della banca scrivono gli ispettori del Fondo derivano dalla governance e dal fallimento del vecchio management.

 

Red. La prova del nove: la preoccupazione principale è tutta per le banche. Anche per una che, importante ma non decisiva, non occupa più i primi posti nella classifica nazionale del settore.

 

 

 

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