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Il volto europeo del capitalismo selvaggio in Italia

La notizia che un’azienda di servizi tedesca (la Dussman Service) abbia vinto la gara “europea” dell’appalto per le pulizie nelle scuole pugliesi, merita a nostro avviso qualche attenzione in più. E’ il segno che anche negli “interstizi” del sistema economico pre-esistente, comincia ad agire il processo di centralizzazione economica a livello europeo.

 In realtà l’incursione della multinazionale tedesca Dussman nel sistema degli appalti al massimo ribasso nei servizi non è una novità. Nel 2009 la Dussmann Service, fu la vincitrice della gara europea indetta da Trenitalia, il cui contratto di appalto sulla pulizia dei treni in alcune regioni per 3 milioni di euro, un appalto che prevedeva 24 cantieri, 76 assunzioni e 5 differenti tipologie di interventi e frequenze di pulizia.

L’arrivo di una multinazionale nella gestione di un servizio piuttosto marginale come la pulizia delle scuole, è dunque qualcosa di più di un semplice appalto vinto da una ditta piuttosto che un’altra. Chiaramente gli effetti si sono visti subito e non sono affatto diversi dalla filibusteria di aziende italiane che hanno prosperato nel mondo degli appalti con la logica del massimo ribasso. Riduzione di orari e dunque dei salari, maggiori carichi di lavoro, peggioramento della qualità dei servizi sono la caratteristica di questo mondo di ombre, ultraprecarietà e bassissimi salari nel mercato del lavoro.

Ma il fatto che una multinazionale tedesca entri in questo mondo, conferma che sta saltando un intero pezzo di quel blocco di interessi che era cresciuto e prosperato nei segmenti dell’economia italiana legati agli appalti pubblici. E’ l’epifenomeno della crisi e della sconfitta del blocco sociale berlusconiano (ma con ramificazioni anche nel mondo della Lega delle Cooperative) di fronte alla nuova centralizzazione economica a livello europeo.

In secondo luogo anche il fatto che in questo caso sia una multinazionale tedesca ad essersi presa un segmento così marginale come le pulizie nelle scuole, è la conferma che l’Italia sta diventando una zona da shopping per le aziende straniere. Le misure adottate dai governi Berlusconi, Monti, Letta sulla base dei diktat dell’Unione Europea e della Bce, hanno “impoverito” il paese e il valore dei suoi beni industriali, commerciali, immobiliari, consentendo così di far fare una vera e propria man bassa agli investitori stranieri che hanno disponibilità di capitali superiori. La stretta creditizia delle banche italiane che continuano a negare ogni finanziamento alle imprese e “al sistema” ha agito di concerto e complemento con questo saccheggio della ricchezza del paese.

Il governo e commentatori in mala fede continuano a lamentare la scarsità degli investimenti esteri in Italia. La realtà ci dice invece cose diverse. I flussi di investimenti diretti esteri in ingresso in Italia nel  2012 sono stati di 12,5 miliardi di euro, circa la metà del 2011 (24,7 miliardi) ma superiori a quelli del 2010 (9,2 mld). I flussi in ingresso nel primo trimestre 2013 sono stati di 1,3 miliardi (dati provvisori). Sulla base della provenienza geografica, oltre il 90% di tali flussi proveniva – nel 2011 – da paesi aderenti all’Unione Europea. Il 42% dei flussi di investimenti diretti esteri in ingresso in Italia nel 2011 è destinato al manifatturiero, il 39% ai servizi, il 5,3% alle costruzioni.

Secondo la Deustche Bank, a fine 2008 operavano in Italia 1.266 imprese a controllo tedesco. Complessivamente, esse occupavano 173 mila addetti e il loro giro d’affari era superiore ai 95 miliardi di euro. I dati della Bestandserhebung über Direktinvestitionen ci portano fino al 2010 dove le imprese controllate da aziende tedesche in Italia sono 1.249 con 180mila dipendenti e un fatturato sostanzialmente rimasto a 95,6 miliardi di euro. L’ambasciata italiana a Berlino riferisce che oggi queste imprese tedesche in Italia sono salite a oltre 1.400. Secondo un rapporto del blog “Investire”  del 13 novembre scorso, alcuni investitori tedeschi hanno iniziato a comprare le imprese del Nord. Si tratta delle piccole che hanno fatto la fortuna del Nord-Est, in particolare. Sarebbe il settore della produzione di macchine per il settore della plastica italiana, le aziende che sono entrate nel mirino degli industriali teutonici. Queste piccole aziende italianevalgono 4 miliardi, mentre le corrispettive aziende tedesche valgono 6 miliardi.

Dunque il mondo delle piccole e medie imprese italiane, del Nord e del Nordest soprattutto, e quello degli appalti nei servizi, anche quelli più marginali e meno “competitivi”, sono diventati degli espliciti “target” degli appetiti delle società tedesche. E’ un salto di qualità che fa la gioia dei seguaci del capitalismo mercantilista – che fondano il successo dell’economia solo sulle esportazioni e l’attrazione di investimenti esteri – ma che sta mutando profondamente il volto sociale, produttivo… e politico di un pezzo del capitalismo “made in Italy”, quello che aveva pensato di sopravvivere nel piccolo è bello o negli interstizi dei servizi pubblici. Il berlusconismo era questo ed è stato marginalizzato dalle priorità della gerarchizzazione europea e della frazione vincente della classe dominante. Ma per lavoratori e disoccupati questa non può essere affatto una consolazione. I vincenti sono ancora più spietati dei perdenti. La vicenda degli ex Lsu-Ata in Puglia lo conferma. Per combatterli servirà molto di più dei vecchi riti della rappresentazione del conflitto che abbiamo visto all’opera con il ventennio dell’antiberlusconismo.

 

 

 

 

 

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