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Il salario obbligato di Obama

Obama alza sostanzialmente il salari minimo (da 7,5 dollari l’ora a poco più di 10) e annuncia la creazione di un meccanismo di incizzazione dei salari. Insomma, la nostra antica e rimpianta “scala mobile”.

Scandalo dei conservatori più fessi, entusiamo dei “progressisti” – anche della “sinistra radicale” nostrana – e nessuna comprensione dei meccanismi che “costringono” il presidente Usa a muoversi su una strada di aumento dei salari monetari, creando così le condizioni per una ripresa dell’inflazione.

Non è una novità “di sinistra”, ma una soluzione già altre volte praticata per tirar fuori dall’enpasse un’economia matura inchiodata nella deflazione. È positiva per i lavoratori poveri statunitensi, naturalmente, ma è tutto meno che “anticapitalistica”. Anzi. È “keynesiana”, ma entro limiti molto precisi. Per esempio, non viene accompagnata da forti investimenti pubblici in settori capaci d creare occupazione di massa.

Il motivo per cui Obama agisce in controtendenza rispetto a quanto avviene nell’Unione Europea “tedeschizzata” è spiegato oggi con grande chiarezza da Stephen Roach su IlSole24Ore.

Intanto, non è per nulla vero che l’economia Usa sia “ripartita”. È vero, nel secondo semestre è cresciuta a un ritmo inconcepibile in Europa (tendenzialmente del 4% su base annua). Ma questo risultato è stato raggiunto grazie a una produzione destinata soprattutto a “ricostruire le scorte” di magazzino. Hanno infatti contribuito per il 38% all’innalzamento del Pil, pari insomma a quasi due terzi di quel 4% di aumento. Dai consumi, invece, poco o nulla: appena l’1,6%.

Il che è un bel problema, per un Pil (quello statunitense) che dipende al 69% dai consumi. Roach ricorda anche la particolare provenienza degli alti consumi yankee, consolidatasi in “normalità” prima dello scoppio dell Grande Depressione 2007-2013: l’aumento costante dei prezzi degli immobili, che consentiva ai normali lavoratori Usa di “impegnare” l’abitazione per avere reddito immediatamente spendibile. I bassi tassi di interesse e l’aumento dei prezzi immobiliari garantiva loro, infatti, di poter spendere nella certezza che a fine “mutuo” si sarebbero trovati un asset rivalutato.

Questo meccanismo unico al mondo garantiva l’espansione dei consumi anche in presenza di economia reale e quindi condizioni salariali stagnanti. Un operaio o un impiegato, insomma, non si preoccupava di chiedere aumenti salariali, tanto si finanziava “i capricci” usando la casa come un bancomat che non si svuotava mai.

La crisi finanziaria ha messo fine a questo giochino. E i consumi sono crollati. Ma non può davvero ripartire – spiega Roach – se non si riprende a consumare. Altrimenti è la “sindrome giapponese”. La riduzione dell’indebitamento privato delle famiglie è infatti rimasto altissimo (109% del reddito disponibile), ben al di sopra (35%) delle medie storiche di lungo periodo. Il tasso di risparmio non arriva al 5%, circa la metà della media storica.

Quindi le famiglie non possono indebitarsi per consumare, né erodere i risparmi, che restano scarsi. Per di più la disoccupazione reale – mascherata dagli “scoraggiati” che non cercano più lavoro (il tasso di occupazione è appena al 62.8%, anziché al 66 – viaggia intorno all’11%. Quindi?

Gli stimoli monetari della Federal Reserve hanno avuto un impatto limitatissimo su questo versante. Erfo a Obama non restava che una strada, senza addentrarsi nel revival del “new deal”. Alzare i salari e indicizzarli. Senza consumare, la portaerei Usa affonda. Una contraddizione da bulimici…

 l’articolo di Roach:

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