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La Ue comanda, Padoan e Renzi eseguono

Non abbiamo mai dubitato che i governi italiani recenti – da Monti in poi – giochino di sponda con l’Unione Europea per far passare politiche economiche feroci, ma con l’aria del “bravo padre di famiglia” preoccupato per il benessere dei propri figli.

In realtà la diciamo anche più brutalmente: il programma economico dei governi nazionali, specie di un Piigs malmesso come l’Italia, vengono scritti a Bruxelles dalla Troika (Ue, Fmi, Bce) e semplicemente applicati qui. Palazzo Chigi, per dirla tutta, conta ormai come il Campidoglio nel vecchio schema “nazionalistico”.

La riprova è arrivata nel botta-e-risposta, tra ieri e oggi, tra la Commissione Europea (il governo continentale, nello schema istituzionale attuale) e il ministro dell’economia della “provincia” Italia, Pier Carlo Padoan (non per caso recente capo-economista all’Ocse ed ex membro influente del Fondo Monetario Internazionale).

Ieri, il finlandese Olli Rehn – cerbero di fiducia di Bundesbank – aveva spiegato che “L’Italia ha fatto progressi verso il raggiungimento dell’obiettivo di medio termine” dei conti pubblici, ma nonostante questo “l’aggiustamento strutturale per il 2014 appare insufficiente”, soprattutto alla luce della “necessità di ridurre il debito ad un passo adeguato”. Insomma: avete fatto ancora molto poco, dovete tagliare di più e con molta più decisione.

L’Italia, secondo la Ue, ha “squilibri macroeconomici eccessivi” che richiedono uno “speciale monitoraggio”. Seguirà perciò un “rapporto all’Eurogruppo sulle riforme italiane” e a giugno verranno decisi “ulteriori passi”. Tra gli squilibri sottolineati con la matita blu: debito alto, scarsa competitività, aggiustamento strutturale insufficiente. A un anno dall’entrata in vigore del Fiscal Compact – che obbligherà a ridurre il debito pubblico del 5% l’anno per 20 anni – questo si traduce in tagli fatti con la motosega.

La Commissione Ue ha messo l’Italia assieme a Croazia e Slovenia (due nuovi arrivati nell’Eurozona che non hanno fatto in tempo a godere di nessuno dei vantaggi dell’euro “antecrisi”, ma solo i guasti della moneta unica “dopo la crisi”) nel gruppo dei paesi con squilibri considerati “eccessivi”.

“L’Italia deve affrontare il livello molto alto del debito e la debole competitività esterna, entrambi radicati nella protratta lenta crescita della produttività e richiedono politiche urgenti”, scrive la Commissione secondo cui “la necessità di azione decisiva per ridurre il rischio di effetti avversi sul funzionamento dell’economia italiana e della zona euro è particolarmente importante data la dimensione dell’economia italiana”. In particolare, prosegue l’analisi, “il debito elevato mette un grande peso sull’economia, in particolare nel contesto di cronica crescita debole e inflazione sommessa”. Quel che non viene detto è come si fa a ridurre il debito (in un periodo di “crescita debole” e “inflazione sommessa”) senza precipitare un paese nella deflazione senza via di uscita. Ogni taglio di spesa pubblica, infatti, ha come minimo un effetto “moltiplicatore” nella diminuzione del prodotto interno lordo (Pil), e quindi – aritmeticamente – sull’aumento del debito stesso (anche mentre cala in cifra assoluta) in proporzione al Pil (che cala più veocemente del debito). Basta guardare quel che è accaduto in sei anni di crisi, proprio in Italia: il Pil è calato di quasi il 10% – più che in altri paesi, Grecia esclusa – e il rapporto debito/Pil è salito al 133% nonostante i tagli alla spesa.

Ma alla Ue la realtà complessa non interessa, vede soltanto il debito da tagliare. E infatti aggiunge che resta “una sfida raggiungere e mantenere un avanzo primario molto alto – sopra la media storica – e una robusta crescita del pil per un periodo prolungato, entrambi però necessari a mettere il debito su un percorso discendente”. Si riconosce che l’Italia presenta insomma “un avanzo primario alto” (lo Stato incassa molto più di quanto spende, prima di pagare per gli interessi finanziari e gli obblighi europei), ma – beffardamente – non basta neanche questo “comportamento virtuoso”, che avvertiamo chiaramente attraverso l’alta tassazione.

“Nel 2013 – conclude infatti la Commissione – l’Italia ha fatto progressi verso il raggiungimento dell’obiettivo di medio termine (MTO), ma ciò nonostante l’aggiustamento strutturale per il 2014 appare insufficiente vista la necessità di ridurre il debito ad un passo adeguato”. Dati tali squilibri, “la Commissione compirà un monitoraggio specifico delle politiche raccomandate all’Italia dal Consiglio nell’ambito del Semestre europeo (l’esercizio di controllo dei bilanci nato dal rafforzamento della governance della zona euro, ndr), e farà regolari rapporti all’Eurogruppo e al Consiglio.

In sintesi: dovete svenarvi molto di più, ridurre i salari, aumentare la competitività, obbedire in tutto e per tutto.

E cosa risponde il “nostro” ministro Padoan?

“Monito severo ma nella direzione di quello che pensiamo noi. Mette in evidenza problemi strutturali che conosciamo da tempo, ci incita a far ripartire la crescita, quindi l’occupazione, ed in questo modo a correggere gli squilibri . Non nego che è più o meno quello che dicevo quando ero all’Ocse”.

Appunto. Il governo delle economie nazionali è da tempo completamente nelle mani di organismi ufficialmente “tecnici”, al riparo da qualsiasi influenza democraticamente espressa dagli abitanti dei vari paesi, ma perfettamente coerenti con gli input del capitale multinazionale.

Anche Renzi, naturalmente via Twitter, ha dato l’ok: “I numeri UE sull’Italia sono molto duri. Spero che sia chiaro perché noi dobbiamo cambiare verso. Ne parliamo il 12 marzo”. Segnatevi la data…

Una verifica? Chi non ha sentito, ieri, Sergio Marchionne cinguettare beato (noi siamo filogovernativi a prescindere…”. E tutti hanno capito, senza che lo aggiungesse (tanto ormai fanno tutto quel che diciamo noi”.

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Per maggiore chiarezza, l’intervista di Padoan al Sole24Ore.

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