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La posta in gioco sui fondi europei. Tanti ma gestiti male

E’ arrivato subito e brutale lo stop della Commissione Europea all’ipotesi del governo Renzi di utilizzare i fondi strutturali dell’Ue per anticipare il taglio del cuneo fiscale per le imprese italiane, prima che siano pienamente disponibili i soldi ottenuti con i tagli dalla “spending review”. Questa ipotesi era stata solo ventilata dal ministro dell’economia Padoan in un’intervista al Sole 24 Ore due giorni fa. Ma la portavoce del commissario Ue alle Politiche regionali, Johannes Hahn, ha replicato immediatamente che “Le risorse della politica di coesione devono essere utilizzate per finanziare nuovi progetti che hanno vocazione a contribuire allo sviluppo. Pertanto non possono essere usate per coprire riduzione di imposte, come quella di un potenziale taglio del cuneo fiscale, cioè la differenza fra le imposte sul lavoro e il costo del lavoro, come suggerito da alcuni”.

“All’Italia, come a qualsiasi altro Stato membro dell’Unione – ha proseguito la portavoce, Shirin Wheeler – stiamo quindi dicendo che le regole dei Fondi Ue permettono di finanziare con risorse nazionali, prima che i programmi del periodo 2014-2020 siano adottati dalla Commissione, progetti concreti per offrire, ad esempio, aiuti per le start up o per l’espansione produttiva e occupazionale dell’industria manifatturiera, oppure operazioni per ridurre la dispersione scolastica. Progetti che mirano a questi obiettivi sono considerati una priorità della politica dell’Ue”, ha continuato la portavoce. Ma, ha aggiunto, “Questi progetti dovranno in ogni caso essere sottoposti a una verifica a posteriori di coerenza con le regole dei Fondi con criteri di selezione e con la strategia dei programmi. Solo quando sarà trovato un accordo sulla strategia e sui programmi, la Commissione potrà rimborsare quei progetti con risorse comunitarie”, ha concluso Wheeler.

In sostanza, si può anticipare con fondi nazionali il finanziamento di progetti che rientrano negli accordi con la Commissione, anche prima che siano definitivamente approvati, per poi rimborsare le risorse anticipate quando arriveranno i co-finanziamenti comunitari a seguito dell’adozione dei programmi. Ma è chiaro che i Fondi Ue non potranno in nessun caso finanziare, neanche come anticipo da rimborsare successivamente, operazioni come la riduzione del cuneo fiscale.

Ma come stanno le cose a questo punto? Possibile che un paese in recessione come il nostro paghi all’Unione Europea più di tanto riceve e quello che riceve neanche può utilizzarlo sulla base di un calendario di priorità? L’Italia ha già inviato nel novembre scorso una bozza dell’Accordo di partenariato per l’impiego dei Fondi Ue, al quale la Commissione risponderà con le sue osservazioni la prossima settimana. La proposta definitiva di accordo dovrà pervenire a Bruxelles entro il 22 aprile, e tre mesi dopo dovranno essere sottoposti all’Esecutivo Ue tutti i programmi operativi regionali. Quanto ai fondi non utilizzati nel precedente periodo di programmazione 2007-2013, la Commissione ha avvertito che “non ci sono più margini di manovra” per nuove modifiche, dopo che sono già state approvate due successive riprogrammazioni, una con il ministro Fabrizio Barca (governo Monti) e l’altra, recentemente, con il ministro Carlo Trigilia (governo Letta). “Si tratta di denaro che è già stato impegnato in programmi e contratti”, hanno affermato fonti della Commissione Europea.

Il tema delle politiche e dei fondi europei è recentemente entrato a far parte degli annunci del governo in materia di politica economica. La ragione sta nella crescente penuria di fondi pubblici utilizzabili dalle amministrazioni e nel conseguente aumento delle aspettative che si produce intorno alla possibile destinazioni di questi fondi. Per i prossimi sette anni, che vanno dal 2014 al 2020, sono previsti in Italia oltre 100 miliardi di euro tra Fondi europei, cofinanziamento nazionale e regionale ai quali l’Italia dovrà aggiungerne altrettanti, che costituiscono indubbiamente una somma rilevante. “È evidente del resto la volontà della UE di governare dal centro le modalità di utilizzo di tale spesa, irreggimentando tutti i diversi attori chiamati alla gestione dei Fondi, governi e singoli ministeri, regioni e grandi città, ad uniformarsi all’interno di un unico sistema di vincoli” sostiene la Usb in uno studio realizzato alcune settimane fa e al centro di una affollatissima assemblea pubblica a Roma.

Pur trattandosi di fondi pubblici che l’Italia riceve in virtù di una contribuzione annuale del nostro paese alle casse della Comunità Europea, la loro destinazione finale è prevalentemente di natura privatistica e viene accaparrata in grandissima parte da imprese e da enti non a carattere pubblico.

Certo la storia dei fondi comunitari nel nostro paese è stata segnata negativamente da alcuni tratti peculiari della nostra P.A. locale e nazionale tra cui vale la pena sottolineare: l’assoluta incapacità di gestione, protratta fino ad oggi, cioè la scarsissima o vergognosa capacità di spesa del nostro paese, l’assenza di comunicazione e partecipazione delle comunità locale e la mancanza di trasparenza e controllo pubblico dei processi di attuazione dei fondi.
 

Chi si imbatte nella questione dei Fondi europei in Italia si trova perciò a dover affrontare contemporaneamente due gravi difficoltà: quella della “filosofia” dominante che presiede al complicato codice linguistico dei fondi, una filosofia improntata alla logica di impresa, e quella della mala gestione tutta italica dei fondi stessi, che ne ha reso opaca l’informazione pubblica e inefficiente la spesa. In un apposita pagina web aparta nelle scorse settimane, l’Usb ha affermato che “Con questo sito intendiamo svolgere innanzitutto un servizio, mettendo a disposizione i documenti più rilevanti e di interesse generale. L’obiettivo è anche quello di fornire i codici di interpretazione di un linguaggio spesso involuto, che apparentemente sembra proporre concetti condivisibili, ma che spesso nasconde finalità molto diverse da quelle dell’interesse collettivo. Aggiornando il sito con articoli di stampa e contributi redazionali speriamo di favorire la crescita di un punto di vista “critico” che alimenti conflitti e forme di autorganizzazione sociale e sindacale capaci di rivendicare una gestione “dal basso” di risorse che sono nostre. Perchè i fondi europei appartengono alla collettività, sono soldi nostri, dei lavoratori e dei cittadini, ed è ora che tornino sotto il nostro controllo.

 


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