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Italia, una zona franca per gli “investitori stranieri”?

Secondo i dati diffusi da S&P Capital IQ, le operazioni di fusioni e acquisizioni recentemente portate a termine da aziende e gruppi stranieri in Italia, sono state 198, per un valore di 53,9 miliardi di euro. A fare gola non sono solo i gioielli del made in Italy nella moda e nei settori di nicchia ma anche imprese manifatturiere destinate ad una futuro da contoterzisti nelle filiere multinazionali che hanno il “core business” fuori dai confini italiani. A questi vanno poi aggiunti gli investimenti nelle società quotate in Borsa, con i casi di Enel ed Eni in cui, ad esempio, la Banca Centrale di Pechino ha superato la soglia del 2%, oppure le acquisizioni di quote in banche e telecomunicazioni entrate nel mirino del fondo statunitense BlackRock (quello guidato da un computer).  In questo caso il più grande fondo d’investimento del mondo, detiene ormai quote vicine o superiori al 5% dentro Telecom, Unicredit, Intesa San Paolo e Mps. C’è da tremare all’idea di quali input o output riceverà nei prossimi mesi l’ordinatore elettronico del BlackRock.

Infine ci sono i flussi di acquisto dall’estero sui titoli di Stato anche con bassi rendimenti, che dovrebbero dimostrare il ritorno dell’interesse degli investitori stranieri per il mercato italiano. Sono stati il Sole 24 Ore di sabato 29 marzo e il Corriere della Sera di domenica 30 marzo, a decantare e documentare ampiamente lo scenario delle ultime operazioni e i fatti che dimostrano il “ritorno” degli investimenti stranieri sul mercato italiano. Esattamente il contrario di quanto lamentato (e la conferma di quanto auspicato) dai governi Monti, Letta e Renzi. “Siamo al 78° posto nella classifica Ocse per capacità di attrazione degli investimenti dall’estero. Una débâcle, contro la quale il governo sta correndo ai ripari: Destinazione Italia, la micro task force di tre consulenti istituita presso il ministero dello Sviluppo economico, sta mettendo a punto un piano per rendere attraente il nostro territorio agli occhi degli stranieri” si stracciava le vesti solo sette mesi fa il Corriere della Sera.

Cosa è successo nel frattempo? Delle due l’una: o ci hanno raccontato un sacco di frottole per convincere i lavoratori, i sindacati e la politica “ad abbassare le pretese” verso gli investitori stranieri, oppure vorrebbero portare anche questa improvvisa “controtendenza” nella dote “dell’Effetto Renzi” sulla fiducia internazionale verso il mercato italiano. Noi propendiamo per la prima ipotesi, sia perché i target dei cambiamenti sugli investimenti non sono mai così repentini, anzi richiedono un accurato monitoraggio delle condizioni e delle possibilità nelle quali investire i capitali, sia perché grattando sotto la cortina di balle raccontate per denunciare i lacci e lacciuoli sottolineati recentemente dal governatore della Banca d’Italia Visco, emergeva chiaramente come era diminuito il volume di investimenti solo perché le aziende straniere stavano comprando a prezzi da svendita e non di mercato le aziende italiane. L’abbassamento delle tutele e dei diritti dei lavoratori contenuti nel Jobs Act, il decreto sul lavoro del governo Renzi e magari nuove agevolazioni fiscali per le imprese, non potranno che incentivare l’arrivo di investitori stranieri che cominciano a pensare e vedere l’Italia come una sorta di “zona franca”, una grande maquiladora in cui fare ottimi affari.

I tre governi che si succeduti dal novembre 2011 a oggi (dopo la famosa lettera-diktat di Draghi e Trichet), hanno sempre perseguito il percorso del capitalismo mercantilista, quello che vede i sinonimi di crescita economica (cosa assai diverso dallo sviluppo) solo nell’aumento delle esportazioni, dell’attrazione degli investimenti esteri e nella riduzione dei salari diretti, indiretti e differiti, esattamente come nelle zone franche.

 

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