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Blocco dei contratti. False smentite e vere conferme

La reazione dei sindacati dei dipendenti pubblici aveva spinto il ministero dell’economia a smentire che nelle pieghe del Def fosse previsto un blocco salariale da qui al 2020, dopo altri sei anni già trascorsi senza aumenti contrattuali. Alla fine, prendendo a parametro il “tasso di inflazione ottimale” indiciato dalla Bce (il 2% annuo) si avrebbe dunque un taglio secco degi stipendi publici di quasi il 30%. Niente male, come “deflazione salariale”.

Ieri la “smentita”, dunque, che in realtà è una conferma piena. Com’è possibile smentire e confermare nello stesso documento? In buona parte con una faccia di bronzo di dimensioni colossali, in parte confidando nella pigrizia dei lettori delle note ministeriali (in genere giornalisti che si accontentano degli abstract).

Il trucco usato è molto semplice: il Def è un documento di “indirizzo programmatico”, indica gli obiettivi macro e non definisce provvedimenti legislativi specifici (come quello richiesto da un “blocco della contrattazione”). Quindi non ci può essere un dispositivo che impedisca il rinnovo dei contratti.

Ma lo stesso Def indica obiettivi di riduzione complessiva della spesa pubblica per stipendi nell’ordine di 4-5 miliardi l’anno, da qui al 2020. Quindi è inevitabile che questo obiettivo richieda il mancato turnover dei dipendenti che raggiungono l’età pensionabile nonostante la riforma Fornero (sostituiti solo in parte con personale più giovane eprecario, alcuni dei quali da “stabilizzare”, ma con uno stipendio ovviamente inferiore a quello degli anzani che se ne vanno), nonché il blocco salariale per tutti.

Solo che le relative norme di legge saranno scritte nella “legge di stabilità”, la ex “finanziaria”. Ovvero nell’esito finale del percorso che parte – in primavera – dal Def e si conclude a Natale, dopo le correzioni indicate dall’Unione Europea.

Lo spiega chiaramente IlSole24Ore, organo di Confindustria, che proprio non ci sta a farsi dare dell'”incompetente” in materia di conti.

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Contratti Pa, il Mef replica alle polemiche: nel Def nessuna ipotesi di blocco al 2020

Nel Def 2014 «non è contenuto, e non potrebbe esserlo, alcun riferimento a ipotesi di blocco di contrattazione nel settore pubblico. Le notizie in merito apparse sulla stampa non hanno alcun fondamento». Una nota del Mef diffusa nel pomeriggio, tesa a smentire l’idea circolata negli ultimi giorni di un blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici fino al 2020, ribadisce da un lato la natura di provvedimento di indirizzo del Documento di Economia e finanza. E, allo stesso tempo, conferma che la possibilità è concreta, ma dovrebbe essere prevista dalla legge di Stabilità. Un tweet del sottosegretario alla Pa Angelo Rughetti replica alle polemiche degli ultimi giorni esprimendo lo stesso concetto: «Il blocco dei contratti al 2020 non esiste. Prassi Def non prevede stanziamento per i rinnovi contrattuali».

Rinnovi contrattuali finanziati solo dalla legge di Stabilità
Le previsioni contenute nel Def, ricorda infatti in maniera estesa la nota ministeriale, «sono elaborate sulla base della legislazione vigente che determina la spesa per redditi da lavoro delle amministrazioni pubbliche, e quindi costruite tenendo conto solo degli effetti economici conseguenti da leggi e norme già in vigore». Secondo la normativa contabile italiana, «il finanziamento delle risorse per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego è effettuato con la legge di stabilità. Non esistendo ancora la norma che provvede allo stanziamento delle risorse per il rinnovo dei trienni contrattuali 2015-2017 e 2018-2020, non è tecnicamente possibile considerare i corrispondenti importi nello scenario di previsione a legislazione vigente», ad eccezione dell’indennità di vacanza contrattuale, erogata automaticamente. «Del rinnovo dei contratti del pubblico impiego – conclude il comunicato – si tiene, invece, conto nella previsione “a politiche invariate” contenuta anch’essa nel Def», una stima che «ha valore meramente indicativo e non rappresenta, in alcun modo, un vincolo alla determinazione delle risorse né alle politiche retributive della Pubblica amministrazione».

Il blocco è in vista, ma per regolarlo serve una legge
Insomma, il Def si limita fornire la prospettiva, la tendenza, riassunta nel paragrafo “Ristrutturazione della pubblica amministrazione”, titolo che sintetizza le azioni strategiche che il Governo conta di mettere in cantiere entro il mese di maggio, per ottenere un’ulteriore limatura della spesa per il pubblico impiego. Quest’anno l’obbiettivo è di scendere di 2-3 miliardi (circa lo 0,2% del Pil), dopo che nel 2013 la massa salariale complessiva s’era fermata a 164 miliardi di euro (il 10,5% del prodotto interno). In particolare l’anno scorso, i redditi da lavoro dipendente, per effetto delle misure di blocco delle assunzioni e del permanere del blocco dei rinnovi contrattuali, hanno segnato una riduzione dello 0,7 per cento rispetto al 2012 (-4,8 per cento sul 2010). La discesa, si legge nel Def, proseguirà anche negli anni a venire con gradino di 4-5 miliardi l’anno, fino ad arrivare a una spesa sul Pil che oscillerà tra il 9,4 e il 9,1% tra il 2017 e il 2018. Ed è all’interno di queste linee tendenziali di spesa che dovrà muoversi il piano di riforma cui lavora il ministro della Pa Marianna Madia insieme con il collega Pier Carlo Padoan. Ed è tra queste norme, una volta approvate, in particolare dalla prossima legge di Stabilità, che rientrerà in concreto il blocco degli stipendi della Pa “anticipato” dai numeri del Def 2014.

 

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