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Scandalo Carige. La crisi, l’identità, la “questione morale”

Si interroga una Liguria scossa dal crollo del “gran capo” di CARIGE, Berneschi, arrestato con l’accusa di incredibili malversazioni, anche a fini personali. 

Malversazioni che pare abbiamo costruito attorno al più grande istituto di credito della Liguria un grande scandalo.

 Una situazione che sembra, per certi versi, più grave di quella – già recentemente esplosa in modo clamoroso – al Monte dei Paschi di Siena.

Una “questione morale” coperta da anni attraverso una strategia “del coinvolgimento di tutti” che ha portato a una distribuzione diseguale delle risorse, con il rischio adesso di confondere gli episodi più gravi con quelli secondari, al punto da non far capire a quanto ammonti il vero “buco” tra Banca e Fondazione: si parla di 934 milioni di euro di deficit per la sola Fondazione.

Era il ramo assicurazioni quello verso il quale erano dirottati i fondi e creato l’enorme deficit: una distrazione ver a e propria di risorse che alla fine venivano orientate sui patrimoni personali dei protagonisti.

Il “coinvolgimento di tutti” però garantiva briciole e silenzio generalizzato.

Tanto è vero che un patto di sindacato composto da Coop Liguria, Coopsette, Gavio e Bonsignore sosteneva Berneschi e il suo vice Alessandro Scajola, fratello dell’ex-ministro attualmente agli arresti.

S’interroga Gad Lerner, in un suo articolo apparso oggi su Repubblica e titolato significativamente “E la cupola dei banchieri svuotò la cassaforte di Genova”, sull’esistenza proprio di una “cupola degli affari” “garantita da un tacito patto territoriale fra Claudio Scajola, plenipotenziario del Ponente Ligure anche attraverso le reti delle Camere di Commercio, e il presidente di sinistra della Regione Claudio Burlando, senza dimenticare le necessità dell’arcivescovo, Bertone o Bagnasco che fosse” e pone su questo un punto interrogativo, cominciando a rispondersi con un: ” troppo facile”, avanzando di seguito la teoria di una spartizione della fetta più grande della torta da parte di un gruppo di imprenditori raccolto attorno al “cerchio magico” di Berneschi.

In particolare viene chiamato in causa l’ex-presidente della Fondazione Carige, l’industriale dolciario Flavio Repetto che finanziava anche la romana casa di produzione cinematografica e televisiva romana  Lux di proprietà della famiglia Bernabei: ed è per l’interessamento proprio verso quest’attività che sono arrivati guai grossi per l’ex-segretario di stato Tarcisio Bertone, già cardinale arcivescovo della Superba.

Un intreccio, dunque, tra finanza cattolica, politica d’altro bordo, cooperative: il frutto di quella politica del “coinvolgimento di tutti” che aveva trasformato la Carige in una sorta di “camera di compensazione” nella gestione di un potere molto articolato, dal quale “la cupola” di Berneschi trovava il suo alimento.

In una regione come la Liguria nella quale fra l’altro il livello di infiltrazione mafiosa nell’economia reale è sempre stato giudicato molto alto e, negli ultimi tempi, in sicura crescita.

Fin qui, però, si è soltanto tentato di descrivere un meccanismo.

Se si procede nell’analisi in maniera più approfondita è il caso di vedere come stanno sul serio le questioni dell’economia di Genova e della Liguria.

Esaurita la fase dello scambio tra aree ex-industriali e speculazione edilizia che aveva caratterizzato il primo grande scandalo di “Tangentopoli” ( quello legato nel 1983 al nome di Alberto Teardo) è terminato anche ,con una serie impressionante di incompiute ,il periodo della costruzione delle grandi infrastrutture destinate a cambiare il volto della Città e della Regione: dalla Gronda, al Terzo Valico al raddoppio della Ferrovia tra Finale e Andora .Tutti fallimenti della gestione Burlando che, nel frattempo, non ha saputo far altro che riempire di cemento i porticcioli, a Ponente come a Levante.

Quella dei porti turistici è stata una politica emblematizzata dal clamoroso fallimento della società che avrebbe dovuto completare il porto di Imperia, proprio la città del già supercitato Scajola.

Intanto il territorio restava devastato, senza alcuna salvaguardia e l’elenco delle alluvioni che nel corso di questi anni hanno causato disastri immani a causa dell’incuria , è lungo un chilometro: Genova città, Cinqueterre, estremo Ponente ed estremo Levante.

Così come, dalla vicenda Tirreno Power di Vado Ligure e all’area di Cornigliano il rapporto tra lavoro e ambiente presenta risvolti del tutto drammatici, la bonifica delle aree di ACNA e Stoppani appare ancora di là da venire e, via via tutti i settori produttivi sono andati in crisi: è di oggi la questione della Piaggio di Sestri Ponente, è durissima la lotta per mantenere in piedi Fincantieri .Anche il famoso high-tech mostra la corda: si parla di esuberi in Esaote (e ci sono già stati scioperi), Ericsson appena insediata nella sede degli Erzelli ha cominciato a licenziare e per quel che riguarda Ansaldo, Finmeccanica pare coltiva sempre al di là delle apparenze progetti di dismissione, la vicenda Ferrania appare ormai del tutto senza prospettiva.

Un quadro che sembra eufemistico giudicare “difficile” in una Genova e in una Liguria dal tasso di anzianità molto alto e afflitta da una fortissima disoccupazione.

Nessuno, a Genova come a Savona e nel resto dell’area centrale ha investito su di un’inversione di rotta e sull’intervento nelle attività produttive. I forzieri della grassa borghesia già mercantile e commerciale ormai composta soltanto da rentier sono rimasti ricolmi di denaro.

Il massimo ente bancario della Regione (non dimentichiamo che si trova nella sua orbita anche la Cassa di Risparmio di Savona) ha sviluppato, in una maniera molto particolare (se le indagini che hanno portato all’arresto di Berneschi ma non solo, confermeranno ciò che sta emergendo) il meccanismo dilagante della più  negativa finanziarizzazione dell’economia.

Si è distrutta l’industria, terziarizzato il territorio (devastandolo), coperto di cemento ogni spazio disponibile, lasciata via libera ai grandi inquinatori (prima fra tutte Sorgenia di De Benedetti) in un intreccio perverso che oggi sta venendo clamorosamente a galla.

Una regione privata di identità, ridotta a un ruolo del tutto marginale sul piano politico, economico, sociale.

Certo: ci sono gli affari personali di Berneschi, ma le responsabilità politiche come potranno essere accertate e colpite?

Un interrogativo grande come una casa in una Regione dove le sole presenza di una qualche “combattività sociale” sono ormai soltanto quelle delle Unioni dei Senza Lavoro e di nuclei operai sempre più sparuti e ridotti sulla difensiva.

Una regione di pensionati e di giovani disoccupati nella quale il potere, politico ed economica, sembra proprio essere stato ristretto all’interno di una convivenza all’interno del vertice di una Banca, attraverso la quale si elargivano elemosine a tutti e si tratteneva per pochi grandi fortune.

Una triste storia per quella che fu uno dei vertici del “triangolo industriale”, punto di riferimento dello sviluppo economico, industriale, sociale, politico nel periodo della grande fatica della ricostruzione dalle macerie della guerra.

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