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Il modello tedesco ha un cuore di tenebra

Basta parlare male della Germania, sollecita Renzi , “sul lavoro è il nostro modello”. Ma se state per stappare lo champagne, pregustando un balzo salariale ai tanto decantati livelli tedeschi, conservate la bottiglia per migliori occasioni: quel “modello” ha un cuore di tenebra, fatto di precarietà e sfruttamento legalizzato…

Crediamo di essere informati su quanto accade in Europa, soprattutto per quanto riguarda le trasformazioni dei paesi più grandi. In realtà – e non per colpa nostra – molto ci sfugge di ciò che accade presso i nostri vicini.

In questo senso la Germania è un caso da manuale. Sul suo  “esempio di virtù”, il suo essere “locomotiva d’Europa”, magico mondo in cui deficit e Pil vivono in perfetto equilibrio (“come piselli in uno stesso baccello”, direbbero Stanlio e Ollio), sono state versate pagine di inchiostro. Ma da altre pagine, di grande attendibilità e autorevolezza, arriva un ritratto ben diverso dell’attuale modello tedesco: si tratta dello splendido e terribile libro-inchiestaGermania anni dieci. Faccia a faccia col mondo del lavoro”, pubblicato dalle Edizioni L’Orma,  che avrebbe dovuto deflagrare come una bomba di verità e che invece (ma guarda un po’…) circola soprattutto fra addetti ai lavori.

Eppure l’autore è Günter Wallraff, un vero mito del giornalismo investigativo noto anche in Italia per un’altra inchiesta bomba, quella Faccia da turco realizzata dal reporter nei passati anni Ottanta dopo aver vissuto travestito da turco nel suo stesso paese, di cui Wallraff  riuscì a mettere a nudo le fortissime diseguaglianze nonché le striscianti componenti razziste e naziste.

Giornalismo “estremo”, quello di Wallraff, vissuto nel corpo e sulla pelle. Se per “Faccia da turco” arrivò persino a fare da cavia umana per esperimenti medici  (giacché gli immigrati realmente si guadagnavano da vivere anche così) smettendo solo quando cominciò a sentirsi male, in “Germania anni dieciil reporter non esita a calarsi nell’inferno dello sfruttamento di oggi, lavorando senza sosta e senza condizioni di sicurezza nei capannoni infuocati dei fornitori della grande distribuzione, addentrandosi nel “meraviglioso mondo” degli schiavi alle catene delle caffetterie o sperimentando in prima persona come vengono stritolati i fattorini  dei corrieri espresso.

Il capitolo forse più agghiacciante di tutto il reportage riguarda il documentato processo di privatizzazione delle ferrovie tedesche, obiettivo perseguito senza remore ma con metodo ed efficienza tutta teutonica: manipolando dati, spiando i dipendenti, calunniando e mobbizzando i manager che vi si opponevano, distruggendo un’industria pubblica in buono stato e facendo carne di porco delle rappresentanze sindacali.

Proprio malconcio ne esce il tanto celebrato sindacato tedesco, che in Italia viene spacciato come modello di modernità e assennatezza; quello che co-gestisce insieme agli imprenditori garantendo – sempre secondo la vulgata – le migliori condizioni possibili. Ma dall’inchiesta di Wallraff, condotta sul campo delle condizioni reali e materiali dei lavoratori, quel sindacato che non pratica il conflitto mostra tutta l’inefficacia di un’arma ormai spuntata.

Oltremodo pesanti le condizioni dei tanti immigrati,  a cui la Germania deve molto del suo sviluppo passato e recente,  riservando agli stranieri i lavori più duri e meno garantiti. Con i recenti provvedimenti del governo Merkel anche la presenza dei cittadini UE sarà oggetto di restrizioni: la permanenza sul suolo tedesco in cerca di lavoro non potrà superare i 6 mesi.

Leggendo “Germania anni dieci” viene in mente un’altra importante inchiesta realizzata sotto copertura, quel “Una paga da fame” della giornalista Barbara Erenreich  che nei primi anni del 2000 mise in luce le durissime realtà di vita e di lavoro dei working poors americani.

Ma quelli erano gli Stati Uniti – pensavo leggendo il reportage di Erenreich –  l’Europa, e soprattutto quella del nord, ha scelto un altro modello, un altro welfare…E mi sbagliavo. O meglio, ero rimasta a quell’Europa uscita dal secondo dopoguerra (quella tanto ben descritta da Ken Loach nel suo “Spirit of 45”), dove il bene comune, la lotta contro la povertà e per una maggiore eguaglianza erano priorità politiche sospinte da un sentire comune – e a quei principi venne improntata anche la nostra Costituzione.

 

Invece l’Europa di oggi ha al suo centro un cuore di tenebra.

Leggete un po’ cosa scriveva Il Sole 24 ore  sui Mini job,  “lavoretti” istituzionalizzati da 500 euro al mese inventati proprio in Germania come misura anti disoccupazione ed subìti da oltre 8 milioni di persone, circa un quarto dei lavoratori dipendenti tedeschi. L’inventore dei mini-job, l’ex dirigente della Volkswagen Peter Harz, è lo stesso artefice di un’altra bella proposta per risolvere la disoccupazione nella UE, ovvero riallocare “temporaneamente i giovani senza lavoro in un altro paese europeo che li ospiti per l’addestramento e l’impiego” – così il lavoro li renderà tutti liberi…

Ma oggi che anche “locomotiva d’Europa” è in frenata, col Pil che ad agosto arretra dello 0,2% e la fiducia delle imprese tedesche in netto calo; ora che tutti i dati della disoccupazione e della crescita nei paesi UE dimostrano con evidenza il tragico fallimento delle politiche di austerità e dello stesso liberismo economico, ora in Italia Renzi ci “promette”  una bella riforma del lavoro che sarebbe ispirata al modello tedesco – il quale, non lo dimentichiamo, prevede anche un sussidio per tutti i senza lavoro ed altre forme di sostegno indiretto al reddito.

Alla fine dei mille giorni il diritto del lavoro sarà totalmente trasformato”, ha annunciato il premier. Ma l’autunno che si avvicina, passo dopo passo, potrebbe portar consiglio al Presidente:  d’autunno – scrisse Ungaretti – si sta come sugli alberi le foglie…

* da http://www.today.it/blog/cronache-marziane/

 

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