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Crolla tutto, forse anche la faccia tosta di Renzi

Il giorno dopo il “grande crollo” delle borse europee tutti sono corsi a cercare una spiegazione tranquillizzante.Anche se queste non servono a risollevare le borse continentali: Milano perde un altro mezzo punto, alle 11, dopo i 4,4 di ieri; Madrid quasi un punto intero.

Il più sfacciato ci sembra Plateroti, su IlSole24Ore, organo di Confindustria, che chiama in causa la “paura delle banche di essere soffocate da un eccesso di regolazione”; o più prosaicamente da “requisiti di capitale” (riserve a fronte di possibilissime difficoltà) più alte delle attuali. Sfacciato perché certamente dovrebbe ricordare che la crisi finanziaria che ci andiamo trascinando dal 2007 ha avuto come miccia detonante proprio la “libertà assoluta” delle grandi banche d’affari, che l’avevano usata pre creare un “sistema finanziario ombra”, popolato di fantasmi di dubbia reputazione chiamati “prodotti derivati”, Abs, Cds, ecc; oppur per promuovere il mercato immobiliare concedemdo mutui “ninja” (not income, not job, not asset).

Il tutto, per non dimenticare mai, sull’onda della grande truffa permessa da Bill Clinton, che aveva abolito alla fine degli anni ’90 il Glass-Steagall Act del 1936, che divideva in modo assoluto le “banche d’affari” – speculative, azzardose, irresponsabili – dai normali istituti di credito a imprese e famiglie. Rotta la diga. speculazione e disastri a gogò…

Ma a cosa è dovuto il crollo di ieri? Al di là dei fattori contingenti, a diversi fattori certi: a) l’economia Usa è ferma tanto quanto quella europea; b) le banche private europee – a cominciare da quelle greche, italiane, francesi, ma soprattutto tedesche – sono piene di spazzatura invendibile e i controlli della vigilanza Bce potrebbero farne saltare più d’una; c) l’eurozona – in realtà quasi soltanto la Germania –  vanta un surplus commerciale di quasi 400 miliardi annui, ma l’Unioe Europea si rifiuta -Il ancora grazie alla Germania – di “stimolare” la crescita, realizzando invece poitiche di austerità c he deprimono il mercato globale (oltre a massacrare le popolazioni continentali; di cui però i mercati internazionali se ne fregano); d) quindi gli Stati Uniti, che stavano preparando il completamento del “tapering” (diminuzione progressiva delle iniezioni di liquidità nel sistema finanziario) con la risalita dei tassi di interesse, si ritrovano obbligati a immaginare un quarto “quantitative easing” per non correre il rischio di ritrovarsi con un dollaro “forte”, ossia un ostacolo alla crescita delle sportazioni; e) quest’ultima decisione ufficializza la strisciante “guerra delle monete” in corso da qualche anno, con Usa, Europa e Giappone in gara per chi indebolisce di più e meglio la propria valuta.

Ecco: una guerra delle monete – che prepara e anticipa conflittualità anche più radicali, come si sta vedendo in Ucraina e di nuovo nei Balcani teoricamente ormai “europeizzati” – è l’ultimo dei fenomeni che possono “eassicurare” gli investitori globali. Che reagiscono e reagiranno a loro modo (fuggendo dai paesi rischiosi, come Grecia, Italia, Spagna, per “rifugiarsi” in quelli più solidi (Germania, Usa… Cina).

Così lo spread dei titoli italiani rispetto a quelli tedeschi sta per riguadagnare i 200 punti (era sceso a 130, pochi giorni fa, “grazie” al massacro sociale promesso da Renzi, tra tagli alla spesa e jobs act), compromettendo pesantemente i conti già truccati posti a base della “manovra da 26 miliardi” presentata ieri all’Unione Europea, e che difficilmente uscirà indenne dall'”esame” guidato da quel pazzo di Jyrki Katainen.

La previsione è facile, vista l’inaudita sortita di Jens Weidmann, presidente di Bundesbak (la banca centrale tedesca), che è arrivatoa  definire Italia e Francia “i ‘bambini problematici’ dell’eurozona”. Per capirne la gravità, i trattati europei prevedono “l’Indipendenza” della banca centrale dai governi; ma, simmetricamente, anche l’obbligo per i banchieri centrali di astenersi da qualunque intervento “politico” nei confronti dei governi stessi. Dovrebbero insomma, come i magistrati, “parlare attraverso gli atti” e stare zitti sul resto.

Situazione difficile, dunque; stallo senza vie d’uscita a breve. E fuga dei capitali.

Chi rischia di più in questo frangente è proprio il piccolo truffatore messo a capo del governo italiano: lo spread farà aumentare il costo del “servizio sul debito pubblico”, in termini di miliardi. La probabile “correzione” della legge di stabilità imposta dalla Ue lo costringerà a ridurre quelle voci della manovra pensate per “comprare consenso alla maniera democristiana” (critica proveniente da La Stampa, non certo un giornale “comunista”) e affondare di più il bisturi sul piano dei tagli. Il tutto proprio mentre gli enti locali – cui vengono sottratti altri 8 miliardi – si vendono obbligati a compensare i minori trasferimenti dallo stato centrale con aumenti della tassazione decentrata.

Ma si tratta in fondo di piccole cose, davanti all’ingrossarsi della piena che minaccia di travolgere anche gli animali più robusti.

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