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Italia “tossica”, può fa cadere l’Unione Europea

Oggi la Bce ha reso noto di aver effettuato un secondo acquisto di “covered bond” per quasi 5 miliardi di euro. La prima volra, qualche settimana fa, erano stati meno di due. Si conferma dunque che Francoforte ha intenzione di proseguire nell’annunciata strategia di ”immissione di liquidità” (quantitative easing) per ottenere diversi risultati convergenti: un calo del valore dell’euro nei confronti del dollaro (e dello yen, oltre che dello yuan cinese), un aumento controllato dell’inflazione per evitare i rischi di blocco totale della produzione nell’aurozona, e soprattutto un consolidamento dei bilanci delle principali banche europee, spesso “appesantite” da una massa di “prodotti derivati” incautamente emessi o acquistati, il cui valore di mercato sarebbe oggi alquanto triste.

Può funzionare questa strategia per “rilanciare la crescita” dell’eurozona? I dubbi sono molti. Ma un articolo del Wall Street Journal li precisa in modo quasi clinico: “L’Italia Tossica è il test cruciale del Qe“. Il titolo è anche cinico e depistante, in quanto è ormai noto che gli stress test della Bce sono andati male per alcune banche italiane “grazie” ai criteri decisamente sorprendenti usati. In pratica, sono stati considerati “più rischiosi” i prestiti concessi a famiglie e imprese rispetto agli “investimenti finanziari” fatti in fondi speculativi o titolo spazzatura. Con criteri opposti ci sarebbe stato invece un tracollo delle più grandi banche tedesche (e francesi), o un ancor più preoccupante mal comune nessun gaudio.

Comunque sia, ormai è fatta. L’Italia è sotto attacco dei capitali multinazionali, che hanno messo in moto grandi ondate migratorie verso altri lidi in attesa che i titoli (e i prezzi dei numerosi asset ancora appetibili) calino abbastanza da permettere pasti pantagruelici a prezzi stracciati.

Il Wsj individua altre debolezze “strutturali” italiche,che non potranno permettere un uso efficace della liquidità supplementare emessa dalla Bce. In primo luogo – udite! Udite! – la dimensione “medio-piccola” delle imprese nazionali, “a controllo familiare” (alla faccia del merito, dunque),per di più oberate di indebitamento sia a breve che a lungo termine.

Un paese che attraversa una fase ”velenosa”, con ”una debole crescita e un alto debito, pari al 135% del Pil”; che “negli anni prima della crisi è cresciuta ad una media di meno dell’1% l’anno“ e sta entrando nella “terza recessione in sei anni”. E che, infine, vede le “condizioni del credito che continuano a peggiorare”. Questa struttura imprenditoriale è una palla al piede di ogni velleità di “crescita”. Naturalmente Renzi è proprio a questo tipo di struttura, come oggi a Brescia, che affida invece il compito di “ripartire di slancio”, concedendo la distruzione della forza contrattuale della forza-lavoro e l’”illegittimità” della stessa rappresentanza sindacale. Un vero genio dell’economia globale…

Il Wsj è implacabile, nella sua duagnosi: “se il programma di Qe non riuscirà a salvare l’Italia, non potrà salvare l’Eurozona“. Servirebbe “richiede una rivoluzione culturale” nella classe imprenditoriale. Che equivale a sperare che una zappa vinca il Nobel per la matematica…

Per capirci. La prima “riforma strutturale” che secondo il Wsj è indispensabile per l’Italia e quella del… sistema finanziario. L’esempio è quello spagnolo, anche stavolta. Ma non sul fronte delle regole del mercato del lavoro, a quanto pare (anche se, naturalmente, la bibbia del neoliberismo non può certo dispiacersi di vedere il lavoro ridotto a concessione saltuaria). Fin quando le banche italiane avranno ”difficoltà nel far confluire il credito all’economia reale, a prescindere dall’ammontare di liquidità che la Bce metterà a disposizione”, il paese non ha alcuna possibilità di tornare a crescere.

La soluzione suggerita dal Wsj è drastica: liberarsi dei 320 miliardi (lordi) di sofferenze, pari al 16% degli impieghi. Questo richiederebbe eprò un sistema giudiziario civile rapido, efficiente, con norme chiare (oggi il recupero di “debiti ristrutturati” richiede in media sette anni) e Molti capitali per finanziare le imprese in gradi di svilupparsi, oltre a comprare le attività di cui le banche devono liberarsi.

Messa così, non c’è soluzione indolore per l’Italia; ovvero per le risorse ancora sotto controllo nazionale e ovviamente per l’universo dei lavoratori dipendenti di ogni ordine e grado, precari o “stabili”, apprendisti o pensionati.

Problema ulteriore, posto dal Wsj: se non c’è soluzione per l’Italia, non c’è soluzione neanche per l’Unione Europea e la sua moneta unica.

 

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