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Il rigor mortis dell’Unione Europea

Difficile vedere barlumi di luce dal fondo della bara in cui l’economia europea è stata infilata dagli ideologi un po’ dementi che ne decidono le sorti (al seguito degli interessi di alcune multinazionali, del sistema finanziario e degli stati più forti).

L’inedia è così palese che anche compassati analisti usano ormai parole di fuoco per bocciare tutta la politica economia continentale, sia a ivello monetario (Bce), sia livello fiscale, ma soprattutto in fatto di investimenti. Qui di seguito vi proponiamo due articoli apparsi oggi – rispettivamente su L’Espresso e su IlSole24Ore – che non usano mezzi termini e non nascondono più la scarsa stima per i totem di Bruxelles o Francoforte (e di Berlino).

Potente e “cattivo” in primo luogo il pezzo con cui Pierluigi Ciocca stronca tutti, calcolando – come misura minima per dare un vero choc all’economia italiana – investimenti pubblici per almeno 40 miliardi di euro. Senza riguardi per i vincoli di Maastricht (decisi quando la crescita europea cresceva come minimo al ritmo del 3-4% annuo) e per i trattati successivi (Fiscal Compact, Six Pack, Two Pack, ecc).

Ma chi è Pierluigi Ciocca? Ex vicedirettore della Banca d’Italia, uno dei maggiori economisti italiani, esponente primario degli economisti di area Pci (cui apparteneva anche Pier Carlo Padoan). Insomma, uno dei pochi a sapere di cosa si sta parlando davvero.

Il suo giudizio sulla “legge di stabilità” è drastico: praticamente insignificante da ogni punto di vista, moderatamente recessiva o al massimo “neutrale”, incapace di risvegliare alcunché. Una manovra di mezze misure, che non sceglie alcuna direzione, che apre un conflitto “moderato” con la Commissione europea puntando ad ottenere margini di pochi miliardi in più o meno (un “rigore appena più flessibile”), invece di aprire uno scontro vero per mutare complessivamente – ma soprattutto drasticamente – l’indirizzo di politica economica continentale.

Il punto sollevato è dirimente: con le “spontanee forze del mercato e delle imprese” questa Europa non può risollevarsi; non ci riuscirà mai. Paradossalmente, ma non troppo, è la stessa idea proposta da Adriana Cerretelli sul confindustriale Sole24Ore. La vera contraddizione è che buona parte delle misure contenute della manovra del governo Renzi sono proprio quelle chieste da Confindustria. Ovvero da quella tipologia di impresa che non ha alcuna forza (ed idea, a pate qualche “isola felice”) per “competere” davvero, aumentando la produttività grazie a robusti investimenti; e che quindi punta – “sanfedisticamente” – solo sulla compressione delle retribuzioni e della tassazione per garantirsi comunque un margine di profitto. Un gioco a somma negativa, perché in questo modo riduce il proprio mercato potenziale (quello dei consumi delle famiglie e delle spese possibili per lo Stato), aggravando al tempo stesso la recessione.

Possiamo naturalmente discutere a lungo se queste proposte – classicamente keynesiane – siano possibili e/o attuabili nel contesto istituzionale europeo dato. Così come potremmo marxianamente contestare che il keynesismo possa far risollevare il modo di produzione capitalistico dalla crisi strutturale in cui è precipitato. Ma è indubbio che per dei governi schierati senza se e senza ma dal lato del capitale, questa “inedia” nell’affrontare recessione e deflazione è di fatto un suicidio non assistito. Cina e Stati Uniti – le due aree economicamente sullo stesso piano dell’Europa a 28 – hanno adottato politiche anche diverse tra loro, ma decisamente meno ottuse di quelle bruxelliane.

La cosa peggiore che possa capitare a dei rivoluzionari è di avere a che fare con capitalisti incapaci…

A voi l’articolo di Ciocca:

E quello di Adriana Cerretelli:

Recessione, Europa svegliati dal torpore

L’eurozona rischia la terza recessione nel breve spazio di cinque anni, accompagnata questa volta dalla deflazione. Nella migliore delle ipotesi l’economia nel prossimo biennio registrerà una crescita compresa tra lo 0,5% e l’1%, mentre gli Stati Uniti correranno a un ritmo superiore al 3%.

L’avvertimento arriva dagli analisti di Standard & Poor’s. Ma è solo la prima delle docce fredde regalate dalla giornata di ieri. La Bce non vede altrettanto nero ma condivide l’analisi secondo cui la bilancia dei rischi pende verso il basso, che si parli di inflazione o di crescita, corretta all’1,2% (dall’1,5%) per l’anno prossimo. Grosso modo in linea (1,1%) con le ultime previsioni di Bruxelles che hanno dato una netta sforbiciata alle cifre di sei mesi fa, senza escludere nuove correzioni all’ingiù e riconoscendo candidamente che l’area euro è la zona del mondo che cresce meno di tutte.

In vista del G-20 che si riunisce domani a Brisbane, in Australia, si è fatto sentire anche l’Fmi parlando di crescita graduale ma squilibrata, con la Spagna in ripresa ma Italia, Germania e Francia, le tre maggiori economie dell’euro, in arretramento. Sullo sfondo, uno scenario dai rischi elevati: il calo dei prezzi fa lievitare i tassi reali minacciando uno sviluppo già debole e insieme la sostenibilità del debito.

Evidentemente né la politica monetaria sempre più accomodante della Bce di Mario Draghi, né la previsione di un prezzo del petrolio stabile intorno ai 90 dollari al barile, né la svalutazione dell’euro rispetto al dollaro, che sostiene l’export, sono stimoli sufficienti a scuotere l’eurozona dal torpore in cui è caduta e dal quale non riesce a uscire.

Ancora più delle cifre deprimenti che non cessano di susseguirsi giorno dopo giorno, allarma la beata indifferenza, meglio, la placida inedia con cui l’Europa vive le proprie disgrazie economiche come se non fossero le sue ma quelle di qualcun altro. Certo, si insiste di continuo e a ragione sulle riforme strutturali, che sono l’arma vincente per aumentare il potenziale di crescita. Peccato che richiedano tempo non solo per essere attuate ma anche e soprattutto per dare frutti.

Certo, si parla e straparla anche dell’ormai famosissimo piano Juncker da 300 miliardi in tre anni per dare una decisa spinta agli investimenti, soprattutto privati. La proposta arriverà prima di Natale. Poi però andrà discussa e negoziata dai ministri finanziari, approvata e chissà quando sarà pronta all’uso. Scetticismo eccessivo? Speriamo. Purtroppo di piani Ue per la crescita pieni di parole ma vuoti di risorse e alla fine incapaci di volare fuori dalla retorica se ne sono visti troppi.

Certo, anche il rigore diventa un po’ più flessibile ma sempre senza esagerare per non indurre i governi riluttanti a staccare la spina dimenticando gli impegni europei assunti.
I fatti e le cifre però hanno ampiamente dimostrato che si questo passo l’eurozona non va da nessuna parte: vivacchia, sopravvive ma non ritrova dinamismo, non si mette al passo con i suoi grandi concorrenti globali. Semplicemente li subisce. Anche la Germania, la superpotenza economica dell’eurozona, è in affanno con il fiato sempre più corto.
Fuori nel mondo globale la Cina stringe accordi con Russia, Giappone e SudCorea, sbriciola inimicizie secolari per farsi baricentro del nuovo potere economico e geo-strategico dell’Asia che contende la supremazia all’Occidente. Ma la stessa Cina non esita poi a stringere patti tecnologici con l’America di Barack Obama, da sempre attratta dalla frontiera del Pacifico, dalle sue complementarietà potenziali.

L’Europa invece appare del tutto assente dal grande gioco globale, addirittura incerta sulle promesse del Ttip, il grande accordo economico transatlantico che pure, attraverso una maggiore integrazione e complementarietà con l’economia Usa, potrebbe dare una sferzata salutare alle sue anemiche potenzialità di crescita.
Per il momento preferisce trastullarsi appagata dal suo vecchio mondo: non importa se è ormai un cantiere in fase di smobilitazione e di desertificazione industriale. Non importa se può permettersi soltanto uno stato sociale a pezzi e assediato da 26 milioni di disoccupati, una tragedia umana e insieme uno scandaloso sperpero di risorse. Non importa se le care regole di Maastricht sono nate e avevano un senso in un’altra Europa, quella che 30 anni fa correva al ritmo medio del 3-4% annuo…

Quella di oggi è fatta da un club di Paesi sfiduciati e stanchi di stare insieme. Che pensano di potersi concedere impunemente il lusso di flirtare con la recessione o di vivere a lungo con una crescita media sotto l’1% nel prossimo decennio. Senza accorgersi che, così, lentamente organizzano il proprio suicidio politico, economico e finanziario. Svegliati Europa, è ora di trovare il coraggio di cambiare strada. Altrimenti di questo passo, senza crescita, si rischia di morire risanati. A che pro?

 

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