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La deflazione ora spaventa anche Draghi

A forza di negare che la deflazione fosse un rischio vero, la Bce si è accorta di starci completamente dentro. Vero è che il presidente italiano di Francoforte lo sapeva benissimo, e che la sua azione è stata frenata in ogni occasione dal peso negativo di Bundesbank, ma ora i tempi per agire si fanno stretti. Ammesso e non concesso che non sia già troppo tardi.

Stamattina, in ogni caso, aprendo a Francoforte il Congresso europeo dei banchieri, Mario Draghi ha spiegato che l’Eurotower “userà tutti gli strumenti a sua disposizione per riportare l’inflazione verso il target”. Citando esplicitamente l’acquisto di titoli di stato, argomento tabù per Jens Weidmann e Wolfgang Schaeuble. Un passo avanti verso la “mutualizzazione” del debito a livello europeo, che dovrebbe alleggerire la speculazione sui titoli di stato dei paesi periferici (come Italia, Spagna, e ora di nuovo ancora la Grecia) e farla magari aumentare un poco nei confronti di quelli tedeschi.

Naturalmente, con encomiabile “cortomiranza”, le borse globali hanno subito festeggiato. Per loro il significato del discorso di Draghi non tocca affatti problemi macro, ma unicamente la “liquidità” che potrà essere investita in borsa. Dio confonde coloro che vuol perdere….

«Se la traiettoria attuale della politica monetaria non dovesse rivelarsi sufficientemente efficace a raggiungere questo obiettivo o se dovessero materializzarsi ulteriori rischi sull’inflazione, aumenteremo la pressione e allargheremo i canali tramite i quali interveniamo alterando ritmo, mole e composizione dei nostri acquisti». Un’afferazione rafforzata dall’azione che proprio oggi la Bce va svolgendo sui mercati, con ordini di acquisto per titoli garantiti da mutui o altre attività chiamati asset backed securities. Titoli privati, certamente (il che non sembra disturbare i “rigoristi” teutonici), ma tutti sanno che l’euro potrà tenere – forse – soltanto se l’operazione sarà estesa anche ai bond pubblici dei Piigs.

Lo spazio rimasto alla Bce per tentare di “stimolare” l’economia continentale con la sola politica monetaria è del resto assai stretto. Federal Reserve statunitenze e Boj giapponese procedono da anni nella stessa direzione, contribuendo in modo significativo alla svalutazione competitiva delle rispettive monete nei confronti anche dell’euro. Se la Bce farà altrettanto, insomma, potrà recuperare qualche margine, ma non invertire sostanzialmente la tendenza. Anche perché il dollaro è moneta che svolge contemporanemante molte funzioni: scambio interno, riserva per banche centrali differenti e unità di misura per molte merci globali di prima necessità (dal petrolio in giù). Stampare dollari, insomma, garantisce vantaggi molto più alti che non fare la stessa cosa con gli yen o l’euro. Tanto è vero che l’identica politica monetaria ha aiutato la crescita negli Stati Uniti mentre ha fallito l’obiettivo in Giappone.

In ogni caso, però, il quantitative easing aiuta a contrastare la deflazione, favorendo l’aumento dei prezzi. Processo socialmente pericoloso, però, perché – se  non accompagnato da analoghi aumenti salariali – può far esplodere situazioni sociali già critiche. E non sembra che l’unione Europea stia meditando di concedere qualche significativo aumento salariale. Anzi…

Il “bazooka” di Draghi, insomma, può fare cilecca se non verrà accompagnato da investimenti produttivi e dinamiche salariali meno oppressive. Lo sa anche lui, naturalmente, tanto da mostrarsi sempre preoccupato perché “la liquidità non riesce a trasmettersi all’aconomia reale”.

 

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