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Fondi pensione privati, il tormento invece dell’estasi

* A partire da una segnalazione dei compagni di Senza Soste, che naturalmente ringraziamo.

Capire i movimenti dell’economia in un sistema globalizzato è abbastanza complicato, ma non impossibile. Con qualche dato, e magari qualche ammissione da parte di analisti non del tutto allineati, si riesce perfino a spiegare l’atteggiamento altrimenti assurdo della Germania.

È fin troppo noto, infatti, che la Germania è assolutamente contraria a investimenti pubblici nelle economie in difficoltà, alle politiche monetarie “espansive” ipotizzate dalla Bce, all’allentamento delle misure di austerità. Verificato che questo atteggiamento “austero” sta ammazzando tutta l’Europa e ora si introverte anche all’interno del sistema economico tedesco, l’insistenza di Weidmann e Merkel appare davvero e solo “ideologica”.

Grattando sotto l’ideologia, però, esce fuori qualche interesse reale. Non dell’intero sistema economico, magari, ma di alcuni settori certamente sì.

Per esempio, sulla Frankfurther Allgemeine Zeitung, un economista euroscettico e vicino alla Afd come Hans-Werner Sinn mette in guardia il suo governo e Bundesbank, illustrando i rischi cui stanno andando incontro i fondi pensione privati tedeschi. Può sembrare strano, visto che erano stati presentati all’universo mondo come il toccasana contro il possibile collasso del sistema pensionistico pubblico, ma nessuna soluzione – in regime capitalistico – può essere considerata duratura; tantomeno eterna.

Accade che la politica dei bassi tassi di interesse praticati da tutte le principali banche centrali del mondo stia deprimendo in modo intollerabile i rendimenti dei fondi pensione. La ragione è semplice: se il prezzo dei titoli pubblici sale, il rendimento scende, e gli investitori istituzionali che debbono obbligatoriamente mantenere un “profilo di rischio” prudente – e i fondi pensione sono i re incontrastati di questa categoria, con solo piccole percentuali di investimento nei titoli azionari – vedono praticamente azzerate le percentuali di guadagno annuo. E questo spiega in parte l’ostilità di Bundesbank per le politiche scelte da Mario Draghi.

Se poi – come in tutto l’occidente sviluppato – il progressivo ritiro dal lavoro della generazione dei baby boomers (i nati negli anni ’50-’60, quelli del boom) provoca un aumento esponenziale dei pensionati cui restituire un assegno mensile e una riduzione drastica del numero dei nuovi entranti sul mercato del lavoro, ecco che le cifre in uscita dai fondi cominciano a superare nettamente quelle in entrata.

È lo stesso problema sofferto dai sistemi pensionistici pubblici e non c’è magia che possa permettere ai “privati” di ottenere performance radicalmente migliori.

Se però i rendimenti dei titoli di stato delle diverse nazioni europee sono molto meno “appiattiti” intorno allo zero, ecco che si creano dei margini di guadagno superiori. Comprare un Btp italiano e o un titolo greco o spagnolo quando lo spread supera i 300-500 punti garantisce rendimenti molto interessanti. In pratica, i paesi Piigs pagano parte delle pensioni private tedesche con gli interessi annuali sul debito pubblico nazionale (un peso da 80 miliardi l’anno, per l’Italia). Vero è che non tutta questa cifra prende la via del Brennero, ma il player principale in questo mercato – il market mover – ha come capitale Berlino (oltre che naturalmente Washington, visto che i colossi globali del comparto sono statunitensi).

Anche questo però non basta. Un’altra fonte di guadagno può essere rappresentata dalle oscillazioni sul valore di cambio delle monete (anche l’investimento monetario rientra nel “profilo di rischio prudente”). Ma anche qui la stabilità dei cambi è nemica dei rendimenti. L’instabilità può rendere molto di più, se si ha la forza per poterlo fare.

L’offensiva internazionale contro la Russia sulla questione ucraina, sanzioni comprese, e soprattutto il crollo del prezzo del petrolio, hanno provocato – tra le molte conseguenze – la rapida svalutazione del rublo. Investitori che possono muovere decine di miliardi con un gesto sanno certamente come approfittare della situazione; magari vendendo rubli prima che la crisi sia esplosa e ricomprandoli quando il valore è crollato, in modo da poterli vendere di nuovo a fine crisi, quando la situazione viene infine “normalizzata” sancendo l’avvenuto e massiccio trasferimento di valore da un’area all’altra.

Ma anche questa è una soluzione contingente, non “sistemica”, mentre la crisi dei fondi pensione lo è. Qui acquista un senso perverso la politica di austerità che – strozzando le condizioni di riproduzione in tutto il continente – fa crollare i salari e la produzione soprattutto nei paesi deboli, creando al tempo stesso una domanda di lavoro (disoccupati a milioni) disposta a trasferirsi dove invece la produzione ancora tira. In Germania, per esempio.

Ecco che improvvisamente trovano una spiegazione “sistemica” anche le agenzie di lavoro private che vanno percorrendo il Sud d’Europa per selezionare i giovani da spedire oltralpe. Altro che “miracoli del modello tedesco”…

Può essere questa una soluzione definitiva al problema tedesco? L’euroscetticismo di Hans-Werner Sinn interviene proprio su questo punto, sfornando calcoli ben argomentati ma un tantinello drammatici: “Entro i prossimi 20 anni avremo sette milioni e mezzo di pensionati pensionati in più e otto milioni e mezzo di persone in età lavorativa in meno. Per compensare questo gap con l’immigrazione, sarebbero necessari 32 milioni di persone. Non si può neanche immaginare”. La Germania diventerebbe un altro paese.

Certo, si può benissimo sognare che un processo di melting pot così vasto e così rapido (20 anni è meno di una generazione) possa verificarsi in modo tutto sommato fluido e senza troppi problemi di integrazione; si possono sventolare gli ideali europeisti con centinaia di spot governativi in televisione (vengono proiettati anche in Germania, mica solo dalla Rai), si possono anche spendere un po’ di soldi per la mediazione culturale… Ma l’immaginazione non basta. La crescita di Afd (partito tedesco euroscettico fondato da un ex presidente degli industriali) e soprattutto della destra xenofoba e razzista sta lì a ricordarci in che modo la realtà sociale si “adatta” a certi cambiamenti.

Inutile dire che la soluzione proposta dall’ultraliberista Sinn è… abolire il limite legale dell’età pensionabile. Nemmeno i 67 anni della riforma – ancora solo ipotizzata dalla Merkel – sembrano insomma sufficienti. L’unico modo di rendere “sostenibile” il sistema pensionistico privato è quello di abolire le pensioni, costringendo le persone a lavorare fino al momento della morte o quasi (inutile dire che si morirebbe molto prima di quanto non avvenga ora, perché il fisico umano non si adatta al capitalismo con la stessa velocità con cui questo evolve). Non proprio un programma “popolare” per lavoratori e pensionati tedeschi…

Quello cui stiamo assistendo, dunque, non è un banale duello nazionalistico tra paesi forti “ciucciarisorse” e paesi deboli vampirizzati; né tantomeno un “scontro generazionale” tra vecchi che campano di rendita e giovani costretti a lavorare per un tozzo di pane; né a un’”invasione” di immigrati dovuta a fattori esterni. Tutto si tiene o non si tiene più. La crisi – entrata nel suo ottavo anno consecutivo – non trova soluzioni ma ogni tentativo di trovarla si traduce in una torsione feroce dei modelli sociali nazionali fin qui esistiti.

Si può sperare che l’insieme non esploda. Ma, da materialisti, non ci scommetteremmo…

 

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