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Metalmeccanici: aumenti in Germania, schiavismo in Italia

Due notizie opposte, nella stessa giornata, chiariscono perfettamente l’influenza che le politiche dell’Unione Europea (naturalmente frutto del conflitto tra gli stati che la compongono e del diverso “peso specifico” di ognuno di essi) hanno sulla condizione dei lavoratori nei diversi paesi.

In Germania, i metalmeccanici hanno raggiunto l’accordo per un aumento salariale del 3,4%. Non poco, in tempi in cui l’inflazione è quasi a zero anche in Germania. Significa aumento reale del potere d’acquisto, miglioramento del tenore di vita e dei consumi.

A Melfi. dove la Fiat-Fca-Sata costruisce ora la Jeep renegade e la 500X, dei primi 300 nuovi assunti, tutti giovani disoccupati meridionali, 15-20 hanno rinunciato al posto di lavoro dopo qualche settimana di prova. Le società interinali incaricate da Marchionne di preselezionare la manodopera – tutti ragazzi sotto i 30 anni – aveva messo come requisiti indispensabili il diploma, con almeno 85/100 di voto alla maturità. Si sono ritrovati alla catena di montaggio, a ritmi infernali che spezzano anche i fisici più robusti in pochi anni (Melfi ha una delle più alte percentuali di “inidonei” per patologie contratte sul lavoro).

E’ una differenza che chiarisce oltre ogni discorso teorico la condizione operaia nel continente, con una differenziazione radicale tra l'”aristocrazia operaia” del nord Europa (che ottiene senza scioperi aumenti del 3,4% su un salario medio di 2.500 euro) e una condizione di sfruttamento sottopagato nei paesi Piigs. In questo, soprattutto nell’Italia meridionale, siamo ormai a livello di Grecia e Portogallo, non certo della “media europea”.

Una condizione reale che dovrebbe far riflettere – speriamo sempre, nonostante la ben nota ritrosia davanti al pensiero – quanti, nella cosiddetta “sinistra radicale” italiana storcono il naso davanti alla nostra proposta strategica di “rottura dell’Unione Europea” per dar vita a un'”Alba euromediterranea”. Il loro argomento – ridicolo sul piano teorico, ma ancor apiù alla luce di queste due notizie – è che questa “rappresenterebbe una rottura dell’unità della classe operaia europea”.

Unità in cosa? Non certo nell’organizzazione sindacale (la Ces confederale è un cimitero degli elefanti, terminale pensionistico di dirigenti sindacali che hanno perso la corsa alla leadership delle rispettive organizzazioni nazionali). Tanto meno nella condizione di lavoro (tra il Wcm usato in Volkswagen e quello in vigore a Melfi ci passano due rivoluzioni tecnologiche). Non parliamo poi della condiziona salariale (in Italia. nei metalmeccanici assunti con cntratto a tempo indeterminato siamo intorno ai 1.200 euro rispetto ai 2.500 tedeschi; e i prezzi dei generi di prima necessità sono in Germania addirittura più bassi), con tutti i paesi europei scatenati contro il programma di Syriza che prevedeva l’aumento del salario minimo a… 751 euro.

L’unità della classe operaia europea è certo un obiettivo da perseguire, non una condizione reale, oggi e qui. La divisione della classe, spiegavano i classici, è la pratica quotidiana del capitale. Che da una parte può comperare la pace sociale alzando i salari, dall’altra scatena la guerra al ribasso del prezzo della forza lavoro. E domina su entrambe.

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Germania, aumento del 3,4% ai salari dei metalmeccanici

Agenzia Radiocor

Ig Metall, il potente sindacato tedesco dei metalmeccanici, e Sudwestmetall hanno siglato un accordo per aumentare i salari del 3,4% dal primo aprile al 31 marzo 2016 in Baden-Wuerttemberg, la regione nel Sud-Est del Paese.

Un accordo regionale che, salvo sorprese, sarà valido per tutta la Germania. L’intesa, raggiunta dopo uno stallo delle trattative da metà gennaio, «è un passo importante per il sindacato e la stabilizzazione della congiuntura», sottolinea una nota di Ig Metall. Sul piano economico, l’aumento del potere di acquisto dei salari «assicura che il motore congiunturale per ora più importante, cioè i consumi privati, continui a girare», ha sottolineato il principale negoziatore regionale di Ig Metall, Roman Zitzelsberger.

La federazione imprenditoriale regionale, Sudwestmetall, giudica «doloroso» il compromesso sui salari che riguarda importanti settori dell’industria tedesca, come ad esempio l’auto, le macchine utensili e l’elettronica. L’intesa prevede una una tantum di 150 euro per ogni lavoratore e costituisce per «molte imprese» un costo aggiuntivo «al limite della rottura», ha detto Sudwestmetall.

Il sindacato, dal canto suo, sottolinea gli altri due «punti qualificanti» dell’accordo: prepensionamenti graduali e finanziamento della formazione professionale, in una Germania che invecchia e con il tema dell’eta’ all’ordine del giorno.

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