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Grecia. Il nuovo governo sotto attacco “europeista”

Cosa si può fare contro un “partner” che chiede tempo e fiato, ma critica – e neanche troppo violentemente – la gestione degli affari comuni tenuta fin qui? In un club di persone perbene, gli si concede tempo e fiato e si ascoltano le sue critiche per migliorare la “governance” collettiva. In una banda di rapinatori senza legami di amicizia (molto spesso, nelle bande di rapinatori, l’amicizia viene addirittura prima del bottino) si strozza quel dannato rompiscatole che è diventato un “peso”.

L’Unione Europea è un “collettivo” del secondo genere. Criminale puro.

Lo si capisce in questi giorni dalla gioia maligna con cui alcuni analisti – persino quelli fin qui avvelenati con la Germania e l’austerità – sottolineano le indubbie difficoltà dell’unico governo che ha provato, con molte illusioni contraddittorie, a rimettere in dubbio (“in discussione” sarebbe troppo) le politiche di austerità dettate dalla Troika. .

Leggiamo da Vittorio Da Rold, su IlSole24Ore:

Il Governo Tsipras deve affrontare una crisi di liquidità nelle prossime settimane con poche speranze di aiuto finanziario dal resto dell’euro zona, un possibile duro colpo per la fragile economia del Paese mediterraneo. Non a caso il presidente dell’eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha deciso di aprire, in una intervista al Financial Times, una porta alla possibilità di sborsare in anticipo una parte della quota restante dell’ultima tranche da 7,2 miliardi di euro, prima della fine di marzo.

L’accordo raggiunto molto faticosamente con l’Eurogruppo, infatti, prolunga per quattro mesi il “piano di salvataggio” precedente mente concordato col governo di destra di Antonis Samasar, ma non assicura affatto liquidità ad Atene. Perché il rubinetto si apra, chiedono tedeschi e olandesi, ma anche i governi spagnolo e portoghese (che devono affrontare elezioni rischiose da qui a pochi mesi), Atene deve “fare progressi sulle riforme strutturali”.

Lo dice esplicitamente il presidente dell’Eurogruppo, il “falco” olandese Jeroen Dijsselbloem: “La Grecia potrebbe ricevere una parte degli aiuti europei prima della fine di aprile, se avviasse subito le riforme dell’unico programma approvato dall’Eurogruppo, cioè il vecchio Memorandum”.

Al contrario, per ora, Tsipras ha annunciato iniziatve di tutt’altro segno (buoni pasto ed elettricità gratis per 300mila famiglie poveri, stop alla privatizzazione della compagnia elettrica di proprietà pubblica, ecc).

Insomma, ha fatto poco per meritarsi quel che era già concordato. Di qui la corsa contro il tempo cui sarebbe costretto dalle prossime scadenze (1,5 miliardi da restituire al Fmi entro fine mese), più i 7,2 miliardi in teoria da ricevere entro la fine di febbraio. Un ginepraio di soldi che entrano ed escno, sena fermarsi mai un attimo in Grecia, ma che finiscono nell’elenco dei “pagherò” di Atene. E’ così che dopo cinque anni di “riforme”, austerità e “aiuti” il debito pubblico è salito dal 120 al 175%. Invece di scendere, come nelle lucidissime “previsioni” di quei vampiri della Troika.

Il governo Tsipras non ha in questo momento molti strumenti per operare. Il gettito fiscale è calato (la fuga di capitali e gli ultimi mesi di governo di destra si sono fatti sentire), non può emettere nuovi titoli di stato (il pafond era già stato superato prima delle elezioni) e può solo sperare che la Bce torni ad accettare titoli di stato ellenici in cambio di liquidità.

Di qui a un “nuovo piano di aiuti” – compreso fra i 30 e i 50 miliardi di euro – da concordare con l’Unione Europea c’è solo un passo. E questo significherebbe nuova corda intorno al collo dell’impiccando. Ma è di questo che nell’Unione Europea ci si prepara a discutere, per l’indignazione del governo spagnolo che si è molto adirato per le accuse rivoltegli nei giorni scorsi da Tsipras (Spagna e Portogallo più “estremisti” dello stesso Schaeuble nell’attaccare Atene, perché temono il probabile successo di Podemos  dei socialisti lusitani). Mentono dicendo che loro non possono “regalare soldi” ad Atene che non rispetta gli impegni, mentre loro l’hanno fatto (e per questo hanno il popolo contro): quel che ogni paese dell’eurozona deve “mettere sul tavolo” sono delle semplici garanzie, non soldi liquidi. E le garanzie nel rapporto tra gli Stati sono un problema politico, non economico o tantomeno finanziario. E infatti, ricorda Da Rold:

Ora la partita è sempre più complessa perché, tralasciando gli effetti geopolitici e le sirene di Mosca verso Atene, se i creditori internazionali portano all’asfissia finanziaria il governo greco costringendolo al default con l’Fmi e ad uscire dall’euro ne fanno un paese martire per l’intera sinistra europea come il Cile di Salvador Allende; se invece tengono il filo del dialogo aperto, danno tempo a Syriza di verificare la capacità e la reale volontà di combattere l’evasione fiscale e la corruzione del paese, due elementi chiave della crisi ellenica. Paese la cui economia è dominata dai gruppi di potere degli oligarchi che, nell’ombra e con importanti legami con forze armate, polizia e servizi segreti, in queste ore stanno verificando se a loro conviene ancora restare nell’Unione europea, un’Unione che si sta facendo sempre più invasiva nei controlli di legalità e apertura reale alla concorrenza nel lucroso e finora protetto settore degli appalti pubblici.

Chi gioca ancora con l’austerità gioca col fuoco. Ma agli imbecilli piace giocare, più che risolvere i problemi.

 

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