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La Fed apre le porte allo tsunami finanziario

La scomparsa di una parola tranquilla come “pazienza”, dentro un comunicato, può riportare la tempesta sui mercati finanziari globali, fin qui inebriati da oceani di “liquidità” versati – in primo luogo – dalla Federal Reserve, dalla Boj e ora anche dalla Bce.

La nota con cui ieri sera la Fed ha reso note le decisioni prese nel corso della consueta riunione del Fomc (Federal open market committee) non conteneva più quella parola. E le dichiarazioni successive, del presidente Janet Yellen, hanno confermato le conseguenze: se non nella prossima riunione del Fomc, ad aprile, il rialzo dei tassi di interesse inizierà nei prossimi mesi.

Sembra una notizia innocente, forse addirittura “normalizzatrice” (la vera “eccezione” erano gli oltre otto anni passati in presenza di tassi a zero spaccato). Come può essere letta quasi fosse una dichiarazione di guerra? Lo spiegava solo due giorni fa un’altra donna ultrapotente, il presidente del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde: «la tempistica e il ritmo di un rialzo dei tassi può ancora sorprendere i mercati». Com’era avvenuto nel 2013, quando la Federal Reserve aveva fatto capire che stava preparando il “tapering” – la riduzione graduale degli stimoli monetari -e qundi la volatilità aveva immediatamente colpito i mercati emergenti. 

«Temo che quello non sarà un episodio isolato», aveva aggiunto la Lagarde, perché «Il pericolo è che le vulnerabilità che si sono venute a creare durante un periodo di politiche monetarie molto accomodanti possano improvvisamente liberarsi quando tali politiche vengono ritirate creando una volatilità significativa».

Una traduzione per i non addetti ai lavori può tornare utile: in questi otto anni di tassi zero e stimoli monetari, il mondo è stato sommerso di capitali liquidi, moneta facile. Nessuna istituzione finanziaria ha problemi a trovare (o creare, con i “prodotti derivati”) soldi da investire in attività finanziarie. Lo sanno bene le borse globali, ai massimi di sempre o quasi, pur in presenza di una persistente crisi generale dell’economia reale, con imprese che falliscono e lavoratori licenziati. Per la finanza invece tutto bene, grandi investimenti sui mercati azionari e obbligazionari, di stato o corporate; e tanti profitti. Qualcuno ha potuto persino specializzarsi nel carry trade (prendere liquidi in prestito a tasso zero per acquistare titoli nominati in altre monete, che offrono un tasso di interesse superiore (tutti i aesi emergenti, in pratica).

Se comincia la corsa al rialzo dei tassi, insomma, questo oceano di liquidità si metterà improvvisamente in moto, lasciando alcune aree per precipitarsi là dve i rendimenti salgono. Ossia verso gli Stati Uniti. QUalcuno resterà insomma improvvisamente senza liquifdi, mentre altri potranno farvi il bagno.

Il “pericolo”, avverte Lagarde, è che questo spostamento di flussi possa essere anche brusco, improvviso. Uno tsunami che farebbe male sia là dove parte,  sia là dove “approda”.

Tra l’altro, questa decisione svuota di efficacia buona parte della politica monetaria che la Bce ha appena inaugurato, ovvero il quantitative easing da 60 miliardi al mese messo in moto da Mario Draghi. Il rischio, da questo lato dell’Atlantico, è che buona parte della liquidità emessa in Europa venga presa dalle banche private e dirottata verso gli attesi profitti da afre negli Stati Uniti. A quel punto l’effetto benefico sulla “ripresa europea” sarebbe ridotto a una vana speranza.

Ma non c’è alcuna possibilità che gli Stati Uniti vengano influenzati da questo tipo di considerazioni. Fin dall’agosto 1971, quando Richard “il bugiardo” Nixon ruppe unilateralmente la parità tra dollaro e oro (un dollaro per un grammo), gli Usa si sono liberati dei loro problemi economici e finanziari scaricandoli sul resto del mondo; proprio attraverso la manovra sul dollaro (stampato a piene mani o “ritirato” indietro agendo sui tassi di interesse).

Vista da questa angolazione, si capisce molto meglio perché la Cina abbia promosso una sua banca di investimenti (la Asian Infrastructure Investment Bank, AIIB) e anche perché i big dell’Unione Europea abbiano deciso di parteciparvi come “membri fondatori”. Se gli Usa fanno guerra (monetari e finanziaria) al mondo, il mondo è costretto a difendersi. Ma è guerra, non “economia di mercato”…

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