Menu

Scalata francese a Telecom, il governo tace

Un paese ridicolo gestito da corrotti che prosegue senza freni la via verso il baratro. Tutto è cominciato con la chiusura dell’Iri e la privatizzazione di imprese monopolistiche in settori strategici come telecomunicazioni, energia, autostrade, trasporti.

A quella fase, che già consegnava a “privati” la possibilità di incassare profitti senza rischio, e senza aver dovuto investire cifre da capogiro per costruire quelle aziende (ci aveva già pensato lo Stato, con la spesa pubblica e le nostre tasse, giustamente), ne è seguita un’altra: quella della “contendibilità” sul mercato.

E qui è emersa in tutta la sua drammaticità l’inconsistenza tanto dei “prenditori” privati italiani (Colaninno, Tronchetti Provera, Benetton, Toto e compagnia cantando), quanto e soprattutto dei governi nazionali – quindi della “politica” – nel tenere sotto controllo le vicende societarie di imprese che saranno, sì, ormai “private”, ma non oper questo smettono di essere “di interesse nazionale”. Un paese senza il controllo delle telecomunicazioni o dei rifornimenti energetici è come un paese privo di esercito, fisco, istruzione, università, ricerca.

Diciamo che in Italia è rimasto l’esercito, come succursale della Nato, mentre tutto il resto sta andando in malora (vedi anche https://contropiano.org/documenti/item/33751-la-barca-italiana-non-va-ripresa-lenta-crescita-nulla).

Scusate la lunga premessa, ma era necessaria per inquadrare la “scalata francese” a Telecom. Un magnate parigino dei media e del web, Xavier Niel, azionista di controllo di un gruppo di tlc – Iliad – che ha “prenotato” fino a stamattina oltre il 15% di Telecom. Una spregiudicatissima operazione finanziaria – non c’è l’acquisto ma solo la prenotazione con l’esercizio dei diritti per rilevare effettivamente le azioni posposto a metà del 2016. Il tutto giocato intorno a un asset strategico come la rete fissa delle telecomunicazioni, infrastruttura su cui passa il traffico Internet e le telefonate dei cittadini, ma su cui viaggiano anche le comunicazioni “riservate” dei ministeri e di altri centri del potere italiano, compresi i dispositivi per le intervettazioni telefoniche gestite dalla magistratura.

Persino il giornale di Confindustria è rimasto stupito dell’indifferenza del governo Renzi davanti a un’operazione che porta (porterebbe, se a scadenza Niel esercitasse il diritto di acquisto) la quota azionaria francese ad oltre il 35%. Un altro 20% è infatti in mano a Vincent Bolloré, patron di Vivendi (che smentisce un’azione di concerto con il connazionale), più un 3,6% in mano a JpMorgan (banca d’affari statunitense) e il 2,07% in mano a Bank of China. Il resto delle azioni sono “flottanti” sul mercato, e infatti il valore delle azioni sta correndo in borsa dopo anni di quotazioni depressive, raggiungendo livelli mai più visti dal 2008.

Avrete notato che tra gli “azionisti rilevanti” – quelli al di sopra del 2%, secondo le regole della Consob – non ci sono nomi italiani. L’azienda è insomma già “straniera”, nei fatti e nell’incameramento dei profitti. E il governo Renzi non se ne occupa minimamente..

Come scrive Antonella Olivieri su IlSole24Ore

Per molto meno l’Argentina si è mossa a bloccare il passaggio del controllo di Telecom Argentina, un’operazione già conclusa tra venditore (Telecom Italia) e compratore (il fondo Fintech di David Martinez).

Per molto meno, l’Authority argentina delle tlc – un organo, è vero, nominato dalla politica – ha bloccato una transazione già stata “pagata” in anticipo: non si può consegnare le redini del secondo gruppo di tlc del Paese alla finanza, non si può assoggettarne le politiche industriali alle logiche di investitori finanziari”.

 In questo tipo di operazioni, insomma, e su questo tipo di aziende, la classica idiozia retorica “sono affari dei privati perché l’azienda è privata” non ha alcuna legittimità. In nessun paese del mondo.

Se in Italia sì, allora, non resta che l’ipotesi peggiore: il governo è stato affidato – senza elezioni, per scelta di Napolitano – a un gruppo di figuranti che lavorano per interessi ignoti, ma sicuramente diversi od opposti a quelli “del Paese” (come amano dire Renzi e i suoi cosiddetti ministri ogni volta che aprono bocca per silenziare qualche sospetto o polemica politica).

Per le implicazioni di politica economica – anche capitalistica – vi rimandiamo alla lettura dell’intero articolo della Olivieri. Per quanto riguarda le possibili soluzioni, invece, la nostra idea è radicalmente seria: nazionalizzazione forzata e senza indennizzo per gli attuali proprietari. Quella roba lì – Telecom e tutta la rete infrastrutturale – l’abbiamo già pagata. E anche più cara del necessario (mazzette comprese, insomma).

 *****

Il giallo di Parigi e i silenzi italiani

di Antonella Olivieri

Per molto meno l’Argentina si è mossa a bloccare il passaggio del controllo di Telecom Argentina, un’operazione già conclusa tra venditore (Telecom Italia) e compratore (il fondo Fintech di David Martinez).

Per molto meno, l’Authority argentina delle tlc – un organo, è vero, nominato dalla politica – ha bloccato una transazione già stata “pagata” in anticipo: non si può consegnare le redini del secondo gruppo di tlc del Paese alla finanza, non si può assoggettarne le politiche industriali alle logiche di investitori finanziari. Sebbene il messicano Martinez non sia un perfetto sconosciuto in Argentina, e goda di ottima reputazione, gli è stato imputato di voler rilevare il controllo di Telecom Argentina senza avere competenze nelle tlc e con una società costituita nel Delaware soltanto nel 2013, con un track record cioè non sufficientemente“affidabile” alle spalle. Oltretutto il sospetto è che si trattasse di un portage. Può darsi che nella sonora bocciatura dell’Authority argentina abbiano avuto un peso anche altre logiche, ma il dato di fatto è che sarà difficile smontare la tesi pubblica. Nel caso del riassetto dell’azionariato di Telecom Italia, nel dopo Telco, gli ingredienti per un giallo dagli analoghi risvolti ci sono tutti eforse di più. La differenza è che, sebbene si tratti non del secondo player bensì del primo, a Roma tutto tace.

Tutta Italia si sta interrogando sulle mosse di un finanziere, di Telecom con un veicolo finanziario, Rock Investment, costituito – coincidenza – anch’esso nel 2013. Oltretutto postponendo l’esercizio dei diritti per rilevare le azioni a partire da metà 2016.

Ci sono due filoni dietrologici. «Il buon Bollorè ci sta prendendo in giro tutti quanti un’altra volta», è stato il commento di un navigato banchiere d’affari che si è iscritto al filone di chi pensa che due finanzieri d’Oltralpe non vengano a farsi la guerra in Italia, giocando fuoricasa su un terreno scivoloso come quello delle tlc. Se il presidente di Vivendi e il suo collega francese appena entrato in scena fossero d’accordo, c’è da scommettere che non se ne troverà mai la prova. In questo scenario sarebbe comunque relativamente semplice sottrarsi all’obbligo di Opa. Infatti, con la conversione delle azioni di risparmio – che Telecom ha in canna, in attesa che ne maturino le condizioni (e ieri c’eravamo vicini visto che lo sconto tra le due categorie di azioni si è ampliato al 20%) – i due pacchetti transalpini sommati insieme, che sul capitale ordinario superano il 31%, si diluirebbero a meno del 22%, sotto cioè la soglia dell’Opa che per Telecom è fissata al 25%.

Ma, a credere alle indiscrezioni che si raccolgono dietro le quinte, non sarebbe questo lo scenario. Perchè in realtà Niel, che pure conosce bene Bolloré, non avrebbe nemmeno usato la cortesia di informarlo con due minuti di anticipo. Già è bizzarro in sè che il nuovo socio di riferimento non sia nemmeno rappresentato in consiglio: come avere comprato un appartamento senza averne le chiavi.

Quella di Niel potrebbe essere semplicemente un’incursione finanziaria, ma anche chi la butta lì non ci crede poi molto. Oppure – ed è un dubbio sempre più insistente – si tratta solo della prima tappa di un percorso, per vedere “l’effetto che fa”. Ma chi dovrebbe reagire se non il Governo che di Telecom è lo stakeholder implicito? Nessuno si sognerebbe di scalare un incumbent europeo delle tlc senza avere il gradimento del Paese. Se si lasciasse briglia sciolta alle logiche della finanza, il modo più rapido per estrarre valore da Telecom sarebbe quello di farla a pezzi: via il Brasile, via l’Argentina e magari via anche alla rete che potrebbe tornare allo Stato. Ma poi chi farebbe i conti con l’occupazione? In uno scenario di questo tipo si stima che almeno 15mila dipendenti sarebbero a rischio di ritrovarsi da un giorno all’altro in mezzo alla strada. E poi c’è Sparkle, la rete intercontinentale di fibra ottica che negli anni ’90, quando al vertice di Telecom c’era il very powerful chairman Gianmario Rossignolo, gli americani di AT&T avevano chiesto in gestione.

Certo che, se fosse questo il disegno occulto, un “puntello” in Italia il finanziere Niel dovrebbe pur averlo. Dopo la mossa, analogamente strana, del finanziere russo Mikhail Fridman verso Oi-Tim Brasil il mistero, anzichè dissolversi, si infittisce.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *