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L’Ocse promuove il Jobs Act. Ma va?!

Il Jobs act e gli sgravi per le assunzioni “stanno trainando la svolta del mercato del lavoro in Italia”. Non solo “hanno portato a un rilevante aumento dei nuovi contratti a tempo indeterminato e ampliato le reti di sicurezza sociale, rendendo la crescita più inclusiva”. Una valutazione così lusinghiera e niente affatto sorprendente viene dall’Ocse nel suo annuale Economic Outlook. “Il tasso di disoccupazione calerà dal 12,3% di quest’anno all’11,7% nel 2016 e 11% nel 2017” profetizza l’organizzazione dei paesi a capitalismo avanzato. Ma l’Ocse suggerisce anche qualche dispiacere per il governo Renzi quando propone di “spostare in modo permanente la pressione fiscale dal lavoro al consumo e alla proprietà immobiliare”, e – particolare curioso per chi a cuore tutto tranne l’ambiente – di “aumentare le tasse ambientali, che rafforzerebbero le fondamenta di una crescita più forte, più verde e più inclusiva”. Le misure sul mercato del lavoro introdotte in Italia prima dal governo Monti e poi dal governo Renzi, vanno esattamente nella direzione indicata dall’Ocse già dagli anni Novanta, quando parlava di “bassi salari e alta flessibilità nel lavoro” come orizzonte auspicabile e inevitabile da praticare.
Il deficit pubblico in Italia “continuerà a diminuire, con la ripresa economica che aumenta gli introiti fiscali e l’onere per interessi sul debito pubblico che cala”, e passerà dal 2,6% del Pil nel 2015 a 2,2% nel 2016 e 1,6% nel 2017, prevede inoltre l’Ocse . Ed anche l’ipoteca del debito pubblico, dopo il picco del 2015 a 134,3% del Pil, scenderà al 133,5% nel 2016 e 131,8% nel 2017. Se pensiamo che quando la Bce ha inviato la sua lettera il 5 agosto del 2011 che dimissionà Berlusconi e impose Monti, il debito pubblico ritenuto devastante era al 120%, viene da chiedersi di cosa stiamo parlando e si può ancora prendere sul serio ragionamenti e previsioni come queste.
L’Ocse è invece assai meno ottimista sull’economia mondiale e in particolare sui Brics, in quanto afferma che “Le prospettive di crescita globale si sono fatte più fosche quest’anno”, e in particolare “le economie dei Paesi emergenti sono una fonte chiave di incertezza, dato il loro ampio contributo al commercio globale e alla crescita del Pil”. L’organizzazione con sede a Parigi sottolinea che “un rallentamento più significativo nella domanda interna cinese potrebbe essere un colpo per la fiducia dei mercati e le prospettive di crescita di numerosi Paesi, incluse le economie avanzate”. In Cina, spiega ancora l’Ocse, “garantire un riassetto economico tranquillo, evitando allo stesso tempo una riduzione drastica del Pil e contenendo i rischi sulla stabilità finanziaria, è una sfida”. A livello più ampio, “per le economie emergenti le sfide sono aumentate, per effetto di prezzi più bassi delle materie prime, condizioni del credito più rigide e potenziale di crescita della produzione inferiore, con il rischio che il deflusso di capitale e le marcate svalutazione delle monete possano far emergere vulnerabilità finanziarie”. A livello globale, “le politiche macroeconomiche di sostegno e i prazzi più bassi delle materie prime dovrebbero rafforzare la crescita gradualmente nel 2016 e 2017, ma questo risultato non è per niente certo dati i rischi negativi in aumento e le vulnerabilità, oltre alle incertezze sui percorsi politici e sulla risposta di commercio e investimenti”.

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