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L’Ilva sotto il tiro di Bruxelles e delle multinazionali straniere

 

Un nuovo caso di “cannibalismo industriale” si va profilando nel nostro paese. Sulle sorti dell’Ilva di Taranto si stanno addensando attenzioni pericolose. Da un lato le banche svizzere che hanno bloccato il trasferimento in Italia dei fondi esportati dalla famiglia Riva, ex proprietaria dell’Ilva. I tribunali svizzeri ritengono che la richiesta dello Stato italiano di riavere i soldi dei Riva – circa 1,2 miliardi di euro – corrisponda ad esproprio. Le risorse degli ex proprietari del gruppo siderurgico, reclamate dalla procura di Milano sulla base di un’inchiesta per frode fiscale, dovevano infatti essere destinate al Fondo unico di Giustizia dello Stato e di lì trasformarsi in un prestito per aiutare l’Ilva. Ma le autorità giudiziarie (e le banche) svizzere ritengono che “Non c’è garanzia delle autorità italiane che le persone perseguite, se risultassero innocenti, non subirebbero dei danni — ha scritto —. E la consegna dei fondi all’Italia avrebbe come risultato la loro conversione in obbligazioni di una società fallita”.

Ma il blocco del recupero dei fondi neri della famiglia Riva apre un buco sui finanziamenti pubblici destinati a mantenere in produzione l’Ilva. Sette mesi fa il ministro del Tesoro Padoan aveva firmato un decreto attraverso cui veniva garantito un altro prestito da 400 milioni da parte della Cassa Depositi e Prestiti, di Banca Intesa Sanpaolo e Banco popolare all’Ilva, coperto proprio dai fondi di Emilio e Adriano Riva che sarebbero dovuti arrivare dalla Svizzera.

Ma questo piano di mantenimento dell’Ilva sta attirando le malevaole attenzioni della Commissione Europea. Il Corriere della Sera di oggi riporta che «La Commissione europea ha ricevuto ricorsi riguardo a possibili misure pubbliche a favore dell’Ilva, che stiamo valutando» dice la portavoce del commissario europeo alla Concorrenza Margrethe Vestager. Secondo almeno tre persone coinvolte, sarebbe ormai matura la decisione di aprire una procedura per aiuti di Stato contro l’Italia. La Commissione starebbe valutando anche l’eventualità di ingiungere l’interruzione immediata del sussidio, con il rischio di bloccare l’attività dell’Ilva”.

Eppure, lo stesso Corriere rammenta che in altri casi, la stessa Commissione Europea ha chiuso gli occhi di fronte ad aiuti pubblici verso società tedesche o francesi in difficoltà. Cita il caso della Salzigitter dove è intervenuto il governo del land della Bassa Sassonia (lo stesso che ha le mani in pasta con la Volkswagen) oppure dei Cantieri dell’Atlantico che hanno ricevuto 650 milioni dal governo francese. Ma a fare pressione sulla Commissione Europea sembra che siano soprattutto le multinazionali della siderurgia interessate a chiudere l’Ilva e a prendersi la sua rilevantissima quota di mercato. Si parla infatti dell’interessamento della multinazionale franco-indiana Arcelor Mittal. “Significherebbe togliere dal mercato fino a 11 milioni di tonnellate di potenziale produzione, metà del surplus europeo in certe linee di prodotto” precisa il Corriere della Sera. Le ipotesi alternative ventilate da Bruxelles non sono migliori: uno spacchettamento dell’Ilva e di fatto il suo depotenziamento, “perchè nessuno intende comprare una azienda piena di debiti e sotto il controllo dello stato”.

Insomma per l’Ilva si prospetta un altro classico caso di cannibalismo industriale che ha già portato alla scomparsa in Italia della chimica e di buona parte della farmaceutica oltre che alla chiusura dell’Italsider di Bagnoli, appena ristrutturata, negli anni ’80. Chi ne ha tratto giovamento? Le multinazionali tedesche e francesi.

 

 

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