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North Stream. Il gasdotto della discordia dentro l’Unione Europea

Era inevitabile, e per molti aspetti giustificato, che l’annuncio dell’accordo tra Gazprom e le compagnie europee Basf, E.ON, Engie, Omv e Shell per la realizzazione di due nuove condotte del gasdotto North Stream abbia provocato polemiche e malumori in diversi paesi europei, in particolare in Italia. Polemiche e reazioni di segno opposto. I paesi dell’Europa centro-orientale, antirussi a tutto campo e guidati dalla Polonia, si sono detti preoccupati dal rafforzamento del già solido asse Mosca-Berlino sul fronte del gas. Il potenziamento del gasdotto, in grado di assicurare ulteriori 55 miliardi di metri cubi (bcm) di gas russo sulle coste tedesche, non aggirerebbe soltanto l’Ucraina, ma anche Slovacchia e Repubblica Ceca, già preoccupate per la perdita delle roialties legate al transito del gas.

Ma il potenziamento del gasdotto North Stream non poteva certo passare sotto silenzio in Italia. Non solo il nostro paese è il secondo importatore di gas naturale russo (26 bcm nel 2014) dell’Unione europea, dopo la Germania. Il gas russo rappresenta circa la metà delle importazioni nazionali, in un contesto in cui il gas – in generale – contribuisce a una fetta significativa della generazione elettrica italiana. Ma l’Italia era stata costretta proprio dalla Commissione Europea a far saltare un accordo analogo – il South Stream – a causa delle sanzioni avviate contro la Russia a seguito della crisi ucraina. E’ vero poi che le crescenti tensioni tra Turchia e Russia – con Ankara decisiva  per il trasporto del gas russo in Europa meridionale – hanno definitivamente ipotecato questo progetto centrale della strategia energetica italiana.

Il progetto, a seguito delle sanzioni e della politica ostile dell’Unione Europea verso la Russia, era stato sospeso da Gazprom alla fine dello scorso anno, con la liquidazione del consorzio di cui facevano parte Eni con una quota del 15% insieme con la tedesca Wintershall e la francese Edf. La Saipem, controllata dell’Eni ha perso così, una commessa da 2,4 miliardi e, in base alla clausole contrattuali, riceverà come indennizzo una somma che coprirà i costi di inattività delle navi (personale, manutenzione, ammortamenti).
La decisione di Berlino sul potenziamento del North Stream nonostante le sanzioni alla Russia, ha portato così ad una convergenza di proteste negli altri stati europei, seppur con motivazioni opposte. Sia l’Italia che i paesi dell’Europa centro-orientale stanno infatti facendo fronte comune nel sollecitare la Commissione Europea a verificare con attenzione l’accettabilità del progetto North Stream-2 rispetto a quanto applicato con grande zelo da Bruxelles nel caso di South Stream.
L’Unione Europea conferma così di viaggiare sulla base di un doppio standard quanto si tratta di tutelare gli interessi delle maggiori potenze e della Germania in particolare. L’attuazione delle sanzioni alla Russia procede poi in modo piuttosto contraddittorio. Da un lato si obbligano i paesi aderenti ad adottare le sanzioni, dall’altro non può essere sfuggito ad esempio che il vettore usato per il recente lancio dei satelliti 11 e 12 del sistema europeo Galileo era un Soyuz russo affittato per 100 milioni di euro. Dunque su settori strategici come energia e aereospazio, sia la Germania che la Commissione Europea si sono dimostrato assai più “duttili” che sulle esportazioni di beni agricoli e industriali europei verso la Russia. Il risultato è che in una economia come quella italiana l’impatto delle sanzioni alla Russia è stato assai pesante, un vero e proprio “spararsi da soli sui piedi”.

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