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Disoccupati cancellati per decreto, “grazie” al Jobs Act

Far diminuire la disoccupazione, in tempi di crisi e di aumento dell’automazione nei processi produttivi, non è facile. Se poi sei un governo “ottimista”, che deve comunicare soltanto successi e radiose prospettive, diventa davvero problematico. C’è quella fastidiosa abitudine dei dati statistici a mettersi di traverso sull’autostrada della tua “comunicazione”.

Ma siccome sei un governo del fare, anche a questo si può trovare una soluzione. Basta cambiare i criteri con cui vengono classificati i dati statistici, intervenendo non sull’Istat – che è istituto serio – ma sui Centri per l’impiego (gli ex uffici di collocamento), da cui l’Istat riceverà poi dati un tantino “aggiustati” (si può fare con i processi, figuriamoci con la disoccupazione).

Una recentissima circolare del ministero del lavoro (che sovrintende ai Centri per l’impiego) fa sue le direttive del Jobs Act e stabilisce che per risultare “inoccupato” e chiedere il relativo sussidio basterà un’autocertificazione. “Favoloso!”, dirà il solito cretino convinto che fare una fila in meno sia un successo a prescindere dal risultato.

In realtà questa autocertificazione non implica il dichiararsi “in cerca di occupazione”. Una sottile distinzione burocratica (inoccupato, ma inattivo) che consentirà da un lato di tener lontani i disoccupati dai centri per l’impiego (pubblici), incentivando invece il ricorso alle agenzie interinali (private); e dall’altro di far aumentare il numero degli inattivi non in cerca di occupazione – scoraggiati, nella definizione giornalistica – a scapito dei disoccupati ufficiali (quelli “in cerca di occupazione”).

Sì, va bene, ma in pratica? In pratica, se un grosso numero di disoccupati smetterà di iscriversi ai Centri per l’impiego, magicamente il numero dei disoccupati scenderà. Senza che magari neanche uno di loro abbia trovato un lavoro. “Favoloso!”, dirà Renzi in qualche conferenza stampa davanti a finti giornalisti genuflessi.

I passaggi tecnico burcratici di questa autentica truffa statistica sono numerosi e dalle grandi conseguenze sociali, comunque.

La ricerca di un lavoro, ovviamente, non diminuirà affatto, perché se hai bisogno di un reddito – illegalità a parte – non ci sono altri modi di sopravvivere. Ma questa ricerca sarà “privata”, informale, dunque irrilevabile dalle statistiche ufficiali curate dall’Istat attraverso il questionario inviato ai Centri per l’impiego.

Ma non è tutto qui. Le famose “politiche attive del lavoro”, promosse dalle Regioni in sintonia con le organizzazioni sindacali, prendono le mosse – e quantificano i finanziamenti necessari – proprio a partire dai dati ufficiali sulla disoccupazione. Se questa “cala”, ancorché senza un aumento degli occupati, ecco che quelle “politiche attive” perderanno rapidamente forza, finanziamenti, operatività.

Non è finita. Se un disoccupato non deve più avere come riferimento istituzionale i Centri per l’impiego sarà costretto a rivolgersi al “mercato”. Ovvero alle agenzie interinali, nell’ipotesi meno peggio, oppure al lavoro nero. Di cui non si ha traccia neanche nella quantificazione del Prodotto interno lordo (Pil).

Cambia anche l’assegno di ricollocazione, spendibile per soli quattro mesi e riconosciuto “solo ai disoccupati percettori della Naspi, la cui durata di disoccupazione ecceda i quattro mesi”. In pratica, saltano a piè pari tutti i “collaboratori”, che in tal modo non vedranno un euro e in più non saranno “disoccupati” – per le statistiche – dopo aver perso il lavoro.

In generale, questa dinamica fa ritirare “il pubblico” – lo Stato, che resta soltanto per la retorica bellicista e repressiva – e aumentare l’intermediazione privatistica, le clientele, le raccomandazioni, ecc. Insomma un modo dove il singolo aspirante lavoratore non conta nulla e deve disporsi col cappello in mano ad accettare qualsiasi offerta, per qualunque salario, senzapossibilità neanche teorica di poter contrattare qualcosa. Un regalo alle imprese e alle mafie (che in fondo sono holding non ancora entrate nel circuito dello sfruttamento legalizzato).

O anche un modo di far sparire la disoccupazione (persone in carne e ossa) negando che esista.

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