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Il Pil è al -7% rispetto a 10 anni fa. Alla faccia della “ripresa”…

Certo, fa un po’ incazzare che una branca della Cgil, per quanto piuttosto autonoma come la Fondazione Di Vittorio, “scopra” dieci anni dopo l’inizio della più grave crisi finanziaria della Storia che l’Italia sta messa peggio degli altri “partner europei”. Fa incazzare perché di questo declino la Cgil è stata complice diretta. Sia perché ha allevato e selezionato tra le sue fila alcuni tra i governanti degli ultimi decenni più impegnati nell’eliminare diritti e comprimere salari (Fedeli, Cazzola, Damiano, oltre all’indimenticabile giuslavorista Pietro Ichino ed altri campioni anti-lavoratori). Sia, e soprattutto, per il costante accompagnamento di ogni “riforma del lavoro”, jobs act compreso, senza smuovere un dito o indire una mobilitazione degna di nota.

Detto questo, il rapporto della Fondazione Di Vittorio ha il merito di ricapitolare il disastro dell’industria e della capacità produttiva italiana, alla pari di quanto fa in genere un’indagine dell’Istat (sulla cui base dati, del resto, hanno lavorato anche gli analisti della fondazione).

E dunque: il calo del Pil è stato più forte della media europea e la ripresa più lenta di quanto non sia avvenuto negli altri paesi a noi simili. Quel -7% attuale rispetto al 2007 dovrebbe obbligare al silenzio ogni governante o parlamentare o opinionista che si eccita quando “la crescita” assume un valore marginalmente positivo. La strada per “tornare in pari”, infatti, è praticamente lunghissima, specie guardando ai “cigni neri” che accompagnano la stentata “ripresina” italica, a cominciare dal servizio del debito pubblico (interessi da pagare ogni anno) che potrebbe risalire velocemente quando la Bce tornerà alla “normalità”, smettendo di comprare anche titoli di stato italiani sul mercato secondario.

Una virata che potrebbe arrivare prima del previsto, se il nuovo governo tedesco sarà pesantemente condizionato dai diktat dei liberali, addirittura più estremisti e “anti-meridionali” del cerbero per antonomasia, Wolfgang Schaeuble.

Il secondo rapporto della Fondazione Di Vittorio segnala anche che Francia e Germania sono tornate a crescere già dopo la caduta del 2009 “grazie alla tenuta della domanda interna” (che è invece crollata in Italia, come conseguenza di licenziamenti, precarietà, bassi salari, disoccupazione e incertezza esistenziale), presentando nel 2016 un valore del Pil che supera, rispettivamente, del 5.2% e del 9.4% il valore del 2007.

Persono la Spagna – che insieme all’Italia ha sofferto di più il primo (2009) e il secondo (2012) shock recessivo ed ora dovrà prevedibilmente fare i conti con le conseguenze del conflitto con la Catalogna – dal 2014 dimostra tassi di crescita sostenuti e nel 2016 ha recuperato quasi completamente le perdite (-0.5% rispetto al 2007).

Secondo il rapporto della fondazione della Cgil, “In Italia la crisi è stata più lunga a causa delle misure di austerità che hanno penalizzato la domanda interna e determinato un generale arretramento della nostra economia, il cui peso all’interno dell’eurozona tende a ridursi progressivamente. La ripresa in atto è accompagnata peraltro dalla stagnazione dei salari e non si vedono, al di là dei risultati transitori di incentivi occasionali, gli effetti di stabilizzazione promessi dalla riforma del lavoro”.

In Italia – si legge nel rapporto della Fondazione Di Vittorio – l’andamento della produttività, tanto la produttività totale dei fattori (-4,9% rispetto al 2007) quanto la produttività reale oraria del lavoro (-0,3% rispetto al 2007), risulta molto deludente e non certo per colpa, come molti sostengono, del livello troppo alto delle retribuzioni la cui dinamica, nel periodo 2007-2016, è infatti la più debole tra quelle dei Paesi presi in esame. Non a caso i consumi sono ancora del 4,7 % sotto il valore del 2007. Una tendenza destinata a proseguire nelle proiezioni per il 2018”.

Tra le cause principali c’è lo “sciopero degli industriali”, che si manifesta con la caduta degli investimenti. “Nel nostro Paese il calo del Pil è stato più forte e la ripresa più lenta della media europea, oltre che a causa delle misure di austerità e della crescita delle diseguaglianze, anche per effetto della mancanza di investimenti, come dimostrano i punti di ritardo dell’Italia, in termini di variazione del capitale fisso, dalla zona Euro (-17,6 punti percentuali tra il 2007 e il 2016) e dalla Germania in particolare (-35,2 punti)”.

Il rapporto, prudentemente, non vi fa alcun cenno. Ma è evidente che un sistema in cui “i privati” disinvestono e “il pubblico” è impedito a farlo dai trattati europei può soltanto degradare più o meno velocemente, a seconda delle congiunture.

Suona dunque quasi patetico il fervorino che Fulvio Fammoni, ex segretario confederale “camussiano” ora alla testa della Fondazione, rivolge ai principali responsabili nazionali di questo crollo (non sia mai detto che venga critica la Ue…): “Per l’incapacità da parte dei governi italiani di porre in essere una politica economica finalmente espansiva e per la resistenza da parte di settori delle imprese a puntare su ricerca, innovazione, miglioramenti nella conoscenza e nell’efficienza dei processi produttivi, invece che sul contenimento del costo del lavoro”.

Insomma, una vera e propria fuga dalle responsabilità che affida la “ripresa” al buon cuore del capitale privato. Salvo accorgersi tardivamente, come nel caso di Ilva e Alitalia, che quel cuore è decisamente troppo avido per lasciarlo fare senza riserve…

Inutile soffermarsi sulle “proposte”, che non ci sono; se non indirettamente, sotto forma di critica alle politiche “export led” (trainate dalle esportazioni) che il governo a guida europea continua a perseguire, anche a dispetto dei risultati.

Una critica fievole fievole, che non sarà neanche avvertita…

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1 Commento


  • Giorgio

    Figli di ………. Lama

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