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Il fiato corto del governo sulla questione fiscale

La matematica non è un’opinione e, come è noto, all’interno della gabbia europea contano esclusivamente le logiche contabili.

Dopo una legge di bilancio sostanzialmente scialba che si è limitata a disinnescare l’aumento dell’iva, ad annunciare un pò di lotta all’evasione e ad esibire come trofeo il taglio del cuneo fiscale (a partire dal mese di luglio) il governo punta a rilanciare la sua azione attraverso la così detta fase due: l’apertura del cantiere sulla riforma del fisco rientrerebbe, unitamente alla riforma delle pensioni, nella nuova agenda di governo.

A dire il vero già le indiscrezioni circolate in queste settimane non promettevano nulla di buono: la questione della riforma dell’irpef agganciata al taglio delle detrazioni e alla rimodulazione dell’iva, il costante richiamo ai vincoli di bilancio, lasciavano presupporre un’operazione “fiscalmente” neutra.

Ma proprio ieri dinanzi alla Commissione Finanze del Senato è arrivata dal presidente dell’Inps Tridico, la doccia fredda: le risorse mobilitate con il taglio del cuneo fiscale assorbiranno a regime circa 16 miliardi rendendo, ad avviso di Tridico, molto complicato il percorso di riforma dell’Irpef.

A questa osservazione di carattere “tecnico” si aggiunge, da parte del Presidente dell’Inps, una nota più politica relativa al maggior impatto sulla riduzione delle diseguaglianze del reddito di cittadinanza rispetto al taglio del cuneo fiscale.

Se è vero che dal Mef ostentano sicurezza circa il reperimento delle risorse per la riforma Irpef dalla lotta all’evasione, la coperta è oggettivamente corta e lo scenario complessivo a livello europeo decisamente allarmante.

In Germania il rallentamento dell’attività industriale (-3,5% ovvero il livello più basso dal 2009) raggiunge una dimensione tale da rendere concreta la possibilità di una recessione tecnica ed il quadro si aggrava anche alla luce del crollo  del 2,8% dell’attività manifatturiera in Francia.

Nel nostro paese, ai consueti 20 miliardi da recuperare a fine anno per scongiurare l’aumento dell’Iva, si aggiunge il crollo della produzione industriale (- 4,3% rispetto a dicembre 2018) e la revisione al ribasso da parte della Commissione europea delle previsioni di crescita (+0,3% mentre a novembre era stimata tra lo 0,4% e lo 0,7%) relegando il nostro paese al ruolo di fanalino di coda dell’Unione europea (penultime Francia e Germania ferme all’1,1% per il 2020).

E su tutto aleggiano gli effetti economici prodotti dall’epidemia di Coronavirus.

Mentre il premier Conte annuncia una cura da cavallo per favorire la crescita, in realtà l’Ufficio parlamentare del bilancio ha avanzato l’ipotesi di una correzione dei conti nell’ordine dei 2/3 miliardi al fine di far quadrare i saldi di finanza pubblica.

Insomma, mentre la politichetta italiana si azzuffa strumentalmente sulla prescrizione, si profila all’orizzonte un nuovo tornante della crisi.

La fase 2 dell’attuale governo o di quello che sarà rischia di terminare ancor prima di cominciare e le impercettibili differenze tra governo ed opposizione sono destinate a scomparire del tutto. In nome della disciplina di bilancio e delle compatibilità economiche.

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