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Genova 2001: niente processo per i responsabili del tentato omicidio di Mark Covell

La vicenda del giornalista britannico Mark Covell era stata una delle più gravi ed eclatanti all’interno di quel ‘mattatoio’ di massa che diventò la protesta del luglio del 2001 contro il G8 di Genova. L’uomo fu picchiato selvaggiamente e senza motivo da un drappello di poliziotti a pochi metri dall’ingresso della scuola Diaz, poco prima che gli agenti facessero irruzione in quello che era il media center della protesta massacrando decine di mediattivisti ed inermi manifestanti.
Covell finì in coma, con alcune costole fratturate, i polmoni perforati, ben 16 denti rotti o saltati, un’emorragia interna e danni anche alla spina dorsale. Non solo. Nessuno delle decine di agenti che passarono accanto al suo corpo si degnò di prestargli soccorso.

La sua storia aveva fatto il giro del mondo, insieme a quelle di altri attivisti stranieri pestati selvaggiamente in quelle giornate del luglio del 2001.

Ma per quell’atto di violenza da parte delle forze dell’ordine non ci sarà nessun processo. Lo ha deciso il giudice per le indagini preliminari, Adriana Petri, che ha disposto l’archiviazione del procedimento (“stralciato” da quello principale) nei confronti di 20 tra funzionari e poliziotti. Anche se ha censurato come  “gravissima la mancata collaborazione degli investigatori con la Procura di Genova che di fatto ha impedito l’individuazione dei singoli responsabili».  Nella sua decisione inoltre, il giudice «censura il malinteso spirito di corpo» che ha «di fatto impedito la doverosa collaborazione degli inquirenti con l’ufficio della Procura nell’individuazione delle responsabilità di coloro che, macchiandosi di reati gravissimi, hanno leso l’onore di tutta la polizia italiana».

Ma al di là della ‘censura’ resta il fatto che i dirigenti e i funzionari della polizia autori del pestaggio nei confronti del giornalista Mark Covell non verranno processati, e il fatto che i responsabili diretti del fatto non possano essere individuati per il clima di omertà e di sabotaggio delle indagini che ha caratterizzato le indagini portate avanti dai loro colleghi – o da loro stessi – rende la vicenda anche più grave. Ma il giudice ha ritenuto che non vi siano elementi di prova sufficienti per rimandare a giudizio i presunti responsabili del tentato omicidio nei confronti del reporter e delle gravi lesioni inflitte ad altri 4 giovani sempre prima dell’irruzione alla Diaz. In realtà il reato di lesioni personali era già prescritto prima ancora che il Gip decidesse l’archiviazione del caso.

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“Ho finto di essere morto continuavano a picchiarmi”

di MARCO PREVE – Repubblica 27 luglio 2001

GENOVA – “Mai visto fare una trasfusione di un litro e mezzo di sangue a una palla da football? Beh amico, quel pallone ce l’hai davanti agli occhi”. Un polmone bucato, qualche costola in frantumi, un paio di denti in meno. Gli mancano un mucchio di pezzi a Mark Covell, 33 anni giornalista inglese, ma non il tradizionale “humour” della sua terra. Oggi può scherzare ma l’incubo iniziato sabato notte è finito solo mercoledì mattina, quando l’avvocato Filippo Guiglia gli ha comunicato che il suo arresto non era stato convalidato.
Del resto sarebbe stato strano, visto che Mark a Genova non ha partecipato a nessuna manifestazione. Racconta questo ed altro dalla sua stanza del reparto di chirurgia toracica dell’ospedale San Martino. Gli hanno diagnosticato un pneumotorace, ma di nascosto dalle infermiere si fuma una sigaretta. D’altra parte, a uno che i carabinieri che hanno preso a calci credevano morto, un po’ di catrame nei polmoni non fa più paura.

A lui, come a decine di altre persone di quel sabato cileno una sola domanda: che cos’è successo? “E’ successo che sono diventato un ‘human football’, un pallone umano – risponde -. Ero in mezzo alla strada, proprio davanti al cancello della scuola Diaz, quando sono arrivate le camionette. E ci sono rimasto intrappolato mentre i carabinieri chiudevano i due lati della via. Quando ho visto un gruppo venirmi addosso, ho mostrato la tessera da giornalista (è l’inviato di Indimedia uk., un network on line di informazione alternativa con diverse edizioni, compresa quella italiana, tra i più seguiti, ndr). Mi hanno colpito subito con i manganelli. Poi uno con lo scudo mi ha schiacciato contro il muro e l’altro mi ha riempito di botte ai fianchi”.
E’ solo l’inizio del racconto che ieri pomeriggio Covell ha ripetuto in diretta ai microfoni della Bbc. “Mi dicevano in inglese – continua – ‘you are blackblock, we kill blackblock’ (tu sei un black e noi ti uccidiamo). A quel punto sono caduto mezzo svenuto e ho visto che il furgone stava sfondando il cancello della scuola. Ero a terra e loro continuavano a prendermi a calci. Correvano da una parte e mi mollavano un calcio. E’ lì che sono diventato un pallone”.

Sky, questo è il suo soprannome, tira il fiato e aggiusta il tubicino del drenaggio. Il sangue esce dal polmone e cola in un boccione.

“Pensavo che sarei morto e così ho fatto finta di esserlo – prosegue il giornalista -. Un carabiniere è venuto a sentirmi la vena del collo e poi altri due mi hanno trascinato dentro la scuola, con gli altri. Menavano ancora. Mi ha salvato un medico o un infermiere, tra i primi arrivati che ha detto basta, basta e allora tutto è finito. Devo ringraziare quel dottore, anzi lui e altri due del pronto soccorso”.

Perché? “Perché ricordo – dice Mark Covell – che ero lì sulla barella e la polizia voleva portarmi all’infermeria militare (alla caserma di Bolzaneto, ndr). Ma due dottori si sono opposti, uno in particolare, Paolo, e lo ringrazio davvero, forse sarei morto”.

Dopo? “Dopo niente – risponde il reporter britannico -. Sono svenuto, credo, e mi sono svegliato il mattino. E sono stati altri tre giorni duri. Stavo male e non mi facevano vedere nessuno. Ho incontrato solo il console (Alan Reuter, console generale di Milano, ndr)”. La liberazione è arrivata mercoledì mattina. Il giudice e l’avvocato stavano per iniziare l’interrogatorio di convalida dell’arresto quando è arrivato un fax dal tribunale. Un altro giudice aveva già deciso di non convalidare l’arresto (ancor prima dell’interrogatorio) e Mark Covell è tornato ad essere un cittadino libero, ferito, ma combattivo.

“Ho detto al console che farò denuncia – spiega – perché non è possibile che una cosa del genere accada in un paese che si dice democratico. Come hanno potuto accusarmi di essere un Black Bloc. Io non ho nemmeno visto una manifestazione. Sono stato sempre chiuso al terzo piano della scuola, dove c’era il News Dispatch. Da lì aggiornavo il nostro sito con le notizie che arrivavano dalle piazze e dalle strade. Non pensavo andasse a finire così”.
 

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