Menu

In memoria di Mario Salvi, ucciso dallo Stato

Primavalle: questo quartiere è una città. Contando anche la zona di Torrevecchia, ormai saldata al quartiere, ci vivono 140.000 persone: quante ne vivono a Monza o a Pavia. Nella Primavalle vera e propria, su un’area di appena 190 ettari, abitano 80.000 persone: la popolazione di Varese. Ma questa città è anche un inferno: 4.200 persone per un chilometro quadrato: uno degli indici di densità demografica più allucinanti d’Italia. Una strada fra due piazze, manciate di baracche, livide casermette dell’Istituto Case Popolari, qualche palazzina della speculazione edilizia, 32 lugubri lotti con in mezzo qualche superstite lingua di terra zellosa, una ragnatela di stradine sfossicate che non portano in nessun posto: è uno dei paesaggi più spettrali e disumani della cinta periferica romana (Collettivo Potere Operaio, Primavalle. Incendio a porte chiuse, Savelli, Roma 1974).

Ci guardiamo intorno, per avvistare gli staccatori prima che si inoltrino nei lotti […]. Ecco […] la macchina dell’ENEL: parcheggia proprio di fronte all’osteria di Peppe, c’è quello con i baffi che già conosciamo e uno nuovo, mai venuto a Primavalle. […] in un attimo li raggiungiamo, quello con i baffi si aspettava di vederci ma ci fa capire che oggi ci saranno problemi. L’altro sembra quasi spaventato mentre recitiamo la formula di rito, Siamo il Comitato di lotta, paghiamo solo otto lire al chilovattore, come fanno i padroni. […] A questo punto ci si divide, una compagna e un compagno vanno ad avvertire le donne facendo il giro per i lotti, e gli altri seguono gli staccatori che sfogliano l’ordine di servizio. Il primo nome è di una famiglia del lotto due e sono tanti in un appartamento minuscolo: da subito hanno aderito alla lotta. Apre la porta una ragazza minuta, un po’ spaventata, vede che ci siamo anche noi del Comitato, chiede che succede, mentre un frastuono di bambini fuoriesce dalla camere. Noi ci mettiamo in mezzo, formando un domestico picchetto davanti al contatore; quello con i baffi guarda il collega e fa subito cenno di rinunciare (Alessandro Pera, “Simba” in “In ordine pubblico”, a cura di Paola Staccioli, Fahrenheit 451, Roma 2005).

“Il mio ricordo di Mario Salvi è legato alla nostra comune militanza nel Comitato Proletario di Primavalle. […] Il “battesimo di fuoco” per lui, fu veramente di fuoco! La Sip staccava il telefono a chi praticava l’autoriduzione, si organizzarono come risposta una serie di sabotaggi alle cabine di derivazione telefoniche nei quartieri borghesi, lasciando così per un po’ di tempo senza telefono gli abitanti dei Parioli e degli altri quartieri-bene della città. Io e Mario ci recammo con una vespetta all’ora stabilita al nostro obiettivo, dovevamo aprire l’armadietto metallico (avevamo le chiavi, fornite da compagni operai della Sip ) e sistemarvi un ordigno incendiario. Un congegno chimico doveva ritardare l’esplosione; l’acido solforico entrando in contatto con la miscela di clorato di potassio e zucchero avrebbe innescato l’incendio della tanica di benzina; ma la qualità del profilattico che separava le fiale dell’acido dalla miscela era evidentemente scarsa, così la sua corrosione non avvenne, come preventivato, dopo qualche minuto, ma fu immediata. La fiammata illuminò la strada, saltammo sulla nostra vespetta modificata e schizzammo via a tutto gas nella notte. Le nostre capacità di artificieri ci lasciarono perplessi, ma la nostra ‘guida veloce’ ci confortò. […]“
Mario era un giovane che, come altre migliaia di giovani e meno giovani, in quegli anni aveva fatto della militanza politica e dell’ impegno sociale una scelta di vita. Militanza ed impegno che fondamentalmente significavano solidarietà ( in quegli anni veniva definita solidarietà di classe) con gli sfruttati e con i più deboli. (Testimonianza al Progetto Memoria. Roma, 1995)

È il 7 aprile del 1976. La notizia della condanna a 9 anni all’anarchico Giovanni Marini si diffonde tra i militanti di piazza Cavour e un piccolo gruppo decide di staccarsi dal presidio per compiere un’azione dimostrativa. Tra loro c’è anche Mario Salvi, detto “il Gufo”. Chi lo ha conosciuto parla di lui senza eufemismi. Era il più bravo a diffondere la stampa militante ma anche a scucire le teste dei fascisti: un coraggioso. Non è strano se è il primo a correre verso un ingresso posteriore del Ministero. Nascosto sotto al giacchetto, il Gufo ha il pezzo: il suo compito è quello di coprire altri compagni armati di molotov. Le bocce vengono lanciate e al rumore del vetro infranto si unisce quello della fiammata, un suono secco come il colpo di una frusta. Dopo aver morso bisogna fuggire: l’attentato aveva uno scopo puramente dimostrativo, il suo potenziale distruttivo si è già esaurito senza fare danni. I danni, quelli veri, ci pensa un esponente delle forze dell’ordine a farli. Il giustiziere di turno si chiama Domenico Velluto e il suo lavoro, essendo un agente di polizia penitenziaria, potrebbe o dovrebbe considerarsi concluso quando le ore che lo obbligano a condividere le sbarre con i condannati si esauriscono restituendolo al corso di una vita normale. Questo discorso, però, il secondino Velluto non lo prende nemmeno in considerazione. Chissà, forse nella sua immaginazione ci sono già encomi solenni, premi in denaro, scatti di carriera… Quello che serve a farlo correre all’inseguimento dei “sovversivi” e a braccarli per centinaia e centinaia di metri, fino a raggiungere un luogo che non c’entra più niente con il Ministero: via degli Specchi, nei pressi di Campo de’ Fiori (Cristiano Armati, “Cuori rossi”, Newton Compton, 2008)

L’agente Domenico Velluto con la pistola in pugno ha percorso centinaia di metri lungo le strade che portano a Campo de’ Fiori, alla ricerca di una vittima a cui sparare a freddo con tutta calma. Infatti quando Velluto ha sparato, nessuno stava scappando: il nostro compagno è stato freddato mentre camminava (Volantino diffuso dai Comitati autonomi operai, 1976).

Mario conosceva tutti, dal primo ladrone all’ultimo coatto, e cercava di farci capire che lo scippatore a modo suo si ribella a una società che è di merda, e ci diceva che non erano tanto diversi da noi e che bisognava parlare con tutti e far capire quali erano le lotte giuste e come uscire fuori dall’oppressione (Testimonianza di Giampiero, raccolta in «Rivolta di classe» n. 3, 1976).

La lapide [dedicata a Mario Salvi] non si staccherà, ci saremo noi, i suoi amici, i ladroni, le donne del quartiere ad impedire a questurini e poliziotti una cosa del genere. Sarebbe una lotta grossa, triste solo per i padroni (testimonianza di Giampiero, raccolta in «Rivolta di classe» n. 3, 1976).

————————————–

Noi non dimentichiamo, noi rivendichiamo

Ieri come oggi, rivendichiamo il diritto all’insubordinazione contro le ingiustizie di questo stato che ha sempre soffocato nel sangue dei lavoratori e dei proletari le istanze di eguaglianza e libertà, per garantire i privilegi della classe dei potenti e del potere.

Rivendichiamo il diritto alla costruzione della libertà e della giustizia, perché nessuno sia mai più schiavo dell’arroganza del potere e dei potenti

Domenica 7 Aprile 2013, alle ore 11,00 in Piazza Mario Salvi (ex Piazza Clemente XI ) a Primavalle, si metterà la nuova targa in memoria del nostro compagno Mario.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

3 Commenti


  • K.

    IN PRINCIPIO FU LOTTA CONTINUA …..

    MARIO SALVI, “GUFO”, 7/4/76 – 7/4/2004

    In principio fu Lotta Continua.

    Erano i primissimi anni settanta e portare i capelli lunghi non ci bastava piu’.
    Anche se la maggior parte della “comitiva” di Torrevecchia era formata da studenti, era pero’ evidente che, andando avanti in questo modo, tra la bisca e la cronica mancanza di soldi, la situazione ci avrebbe portato prima o poi in galera.
    E qualcuno di noi, per cosiddetti “reati comuni”, quell’ esperienza l’ aveva gia’ fatta.
    Se dovevamo fare i “ribelli” tanto valeva farlo fino in fondo.
    E ci presentammo nella neonata sezione di Lotta Continua di Primavalle, in Via Pietro Bembo.
    La sezione si chiamava “Mario Lupo” dal nome di un manovale edile, militante di L.C., ucciso pochi mesi prima a Parma dai fascisti.
    Qui i fondatori della sede, quasi tutti studenti del Liceo Mamiani e futuri giornalisti di grido, ci accolsero come Gesu’ Bambino a Natale.
    Avevano gia’ aggregato qualche anziano “coatto” che si era avvicinato al gruppo nell’ esperienza carceraria, alcuni dei quali poi formeranno i Nap.
    Ma un folto gruppo di giovani proletari della zona che arrivavano gratis, di iniziativa loro, era veramente una manna dal cielo che non si aspettavano.
    Per un po’ fummo esibiti dappertutto, conoscemmo Sofri e passammo molte serate ospiti nella casa di Fulvio Grimaldi, a Trastevere.
    Ci fecero persino fare la scorta a due militanti dell’ IRA irlandese, ospiti del gruppo a Roma e che furono a loro volta esibiti a sorpresa in un comizio a Piazza Esedra, tra la rabbia e lo sconforto dei militanti degli altri gruppi extraparlamentari che, non avendo Grimaldi, non potevano contare su certi contatti internazionali.
    Ma francamente la disciplina di gruppo ci andava stretta ed anche se qualcuno di noi aveva trovato il lavoro e la donna dentro Lotta Continua – e la fame di reddito e di sesso era veramente notevole – cominciammo presto a stancarci.
    La scusa fu la vicenda dei fratelli Mattei, i due figli del segretario missino che
    morirono bruciati in un attentato alla loro casa il 16 aprile 1973.
    Furono arrestati tre militanti di Potere Operaio, la cui sede era a pochi metri sempre in Via Pietro Bembo.
    A noi i potoppini ci stavano assai sui coglioni.
    Anche se un paio di loro, tra cui Achille Lollo, venivano dai lotti di Primavalle, in generale ci sembravano fastidiosi intellettualini borghesi che giocavano alla rivoluzione.
    Ma non avemmo un dubbio al mondo sul fatto che andavano difesi.
    E invece arrivarono i big di Lotta Continua, Pietrostefani e Molinari, a dirci di stare “defilati”, che non c’era certezza dell’ innocenza di quei tre.
    In seguito L.C. rivide quella posizione e difese a spada tratta i potoppini, ma per noi quella “dissociazione” era troppo. E ci defilammo del tutto.
    Torniamo a Torrevecchia e mettiamo in piedi un “comitato di vigilanza antifascista”, facciamo una campagna contro un prete ungherese che aveva portato in zona i suoi amici fascistelli della Balduina.
    Nel giro di qualche settimana i fasci se ne tornano ai loro quartieri-bene, qualcuno pure un po’ tumefatto.
    Veniamo contattati da Stella Rossa, un gruppo marx-lenin-stalinista che pero’ aveva la fissa dell’ antifascismo militante.
    Ci garantiscono a parole di mantenere una certa autonomia e di collaborare con loro alla vigilanza appunto antifascista.
    Facciamo un po’ di raid a Balduina che iniziano con l’ attacchinaggio di manifesti e finiscono con il lancio di uova sulle pellicce delle signore della buona borghesia locale.
    Poi cominciano a pretendere che vendiamo il loro giornale ai semafori ; il loro grande capo, Vincenzo Calo’, si incazza pure se se ne vendono pochi.
    In trasferta a Terni – facevamo pure questo – scuciamo la testa ad alcuni fasci che ci avevano aggredito appunto ad un semaforo.
    Mario Salvi, il “Gufo”, e’ il piu’ bravo di tutti, a vendere giornali ed a scucire teste fasciste.
    Ma anche qui non se ne puo’ piu’, che ci hanno preso a cottimo ?
    Facciamo in tempo a partecipare ad una occupazione di case insieme ad una famiglia malavitosa della zona, i Belardinelli, ma ci sgomberano dopo una giornata.
    Poi il settarismo e lo stalinismo di Stella Rossa non lo sopportiamo piu’ e sia pure gradualmente, uno alla volta ci sfiliamo.
    Ad aprile del 1975, in seguito al belluino pestaggio della polizia ad un presunto scippatore, scoppia una rivolta a Primavalle.
    La polizia spara, ma appena scende la notte, le pistole compaiono anche dall’ altra parte e una guardia finisce in fin di vita.
    Noi siamo ormai “cani sciolti”, ma trovarci a fianco dei “coatti” che sparano e inneggiano alle Brigate Rosse ci fa decisamente un certo effetto galvanizzante.
    Ci sembra veramente, a pochi giorni dalla uccisione tra Milano, Torino e Firenze di quattro compagni, che la rivoluzione – anche nella nostra zona – sia ormai all’ ordine del giorno.
    Mario e Tonino, un ragazzo sardo che poi morira’ di Aids, vanno alla famigerata sede degli autonomi in Via S.Igino Papa.
    Qui l’ambiente e’ assai diverso, piu’ genuinamente proletario, e poi quasi tutti provengono dall’ anarchismo, la disciplina praticamente non esiste.
    Un po’ alla volta ci aggreghiamo tutti.
    Partecipiamo in massa, coinvolgendo molti “coattelli” di zona, al mitico esproprio di dischi da Consorti in Viale Giulio Cesare.
    Scopriamo poi che il comitato di Primavalle e’ il “braccio armato” dell’ autonomia operaia romana, siamo noi a sabotare le centraline della Sip in difesa dell’ autoriduzione delle bollette, inseguiamo per i lotti gli “staccatori” dell’ Enel, che essendo pure loro dell’ autonomia, non staccano quasi mai la luce ai proletari che si autoriducono i costi.
    In difesa del popolo angolano attacchiamo le linee aeree sudafricane in Via Barberini e ci portiamo dietro pure quelli di Stella Rossa.
    Mario partecipa pure all’ iniziativa contro l’ ambasciata iberica in Piazza di Spagna, nel periodo in cui erano stati condannati a morte alcuni compagni dell’ Eta basca.
    La polizia spara ed uccide un passante, tra l’ altro cugino dell’ onorevole Aldo Moro.
    Mario torna a Primavalle esterrefatto e sconvolto.
    Secondo lui l’ avventurismo dei Volsci e’ ormai inaccettabile, poteva morire lui che era a pochi passi dalla vittima.
    Decidiamo, scontando una significativa scissione interna, di rompere ogni rapporto con Via dei Volsci e di attrezzarci per una iniziativa politica solamente di quartiere. Ma le cose non sono chiarissime.
    Per alcuni questa scelta non nasconde secondi fini, per altri invece si tratta di favorire scelte “piu’ avanzate”, di clandestinita’ e di lotta armata.
    Nel quartiere hanno preso piede i Nap, gruppo armato di ex carcerati, grazie anche ai favori della gia’ citata famiglia Belardinelli che garantisce appoggi logistici e non solo.
    Ed alcuni ex appartenenti al nostro comitato, usciti prima del nostro arrivo, hanno dato vita insieme ai resti di Potere Operaio alle Fac, altro gruppo armato che opera soprattutto contro sedi della Sip, ma in modo assai piu’ pesante di come facevamo noi con i Volsci, e che poi, con la calata a Roma di Mario Moretti, confluiranno nelle Brigate Rosse.
    Come dicevo, la confusione e’ tanta.
    Miliucci, il “caid” di Via dei Volsci, viene a Primavalle per convincerci a rientrare con loro.
    Non ci riesce , ma qualche dubbio riesce a seminarlo.
    Per cui, quando dopo pochi giorni viene indetta una manifestazione in difesa dell’ anarchico Marini, un compagno di Salerno processato per essersi difeso da un aggressione di fascisti, alcuni di noi dimenticano i propositi di limitarci all’ attivita’ di quartiere e vanno a Campo de’ Fiori all’ appuntamento.
    Tra questi Mario Salvi, il “Gufo”, il nostro amico di infanzia.
    E’ il 7 aprile 1976, Mario viene ucciso con un colpo alla nuca da una guardia carceraria, Domenico Velluto, in servizio presso il vicino Ministero di Grazia e giustizia, contro cui erano state gettate delle molotov.
    Quella data segna per tutti noi uno spartiacque.
    Da quel momento da decine diventiamo in quartiere centinaia, viviamo il 1977 sulle barricate al centro di Roma ma anche nella nostra zona.
    E muoiono, nel 1977, altri due compagni della zona, Giorgiana Masi e Walter Rossi.
    Poi le cose vanno come vanno, qualcuno finisce nelle B.R., qualcuno nell’ eroina, qualcuno nella cosiddetta “delinquenza comune”, altri ridanno vita ad esperienze di “autonomia operaia” tuttora esistenti nel quartiere, la maggior parte “cresce” e ritorna “nel privato”, qualcuno diventa pure un “pezzo grosso” del PCI o del sindacato.
    Ma questo e’ il dopo, e’ un’ altra storia.
    Non c’e’ dubbio pero’ che per un intera generazione di giovani proletari di Torrevecchia e Primavalle, la vita viene scandita in un “prima” ed un “dopo” la morte di Mario Salvi.
    Cosa rimane oggi, a ventotto anni di distanza, di quei fatti ?
    La targa nella piazza, intitolata a Mario, che tutti ancora chiamano cosi’ anche se il comune continua a dedicarla ad un papa tra i peggiori della storia.
    Una lapide di metallo, ormai del tutto arrugginita, in Via degli Specchi, dove il “Gufo” fu ucciso.
    L’ omaggio dei fiori che tutti gli anni i compagni della zona fanno a quel ragazzo di quasi trenta anni fa.
    Ma credo, nonostante tutto, che rimanga anche qualcosa di molto piu’ profondo.
    Quel “filo rosso” della memoria antagonista, quel fiore – nel senso maoista del termine – che tutti siamo tenuti a coltivare.
    Mario, Giorgiana, Walter e tanti altri.
    Chi si ricorda piu’ di Giuliano e Romolo, uccisi per non essersi fermati ad un posto di blocco ?
    Di Sandro che si e’ suicidato perche’ convinto che gli uomini di Dalla Chiesa stessero per venire a prenderlo e non era nemmeno vero ?
    Di Tonino, di Nicola e di un altro Mario morti di eroina ?
    Del tunisino Ali’ ammazzato di botte nel commissariato di Primavalle ?
    Di Elena ferita dai fascisti e morta un anno dopo ?
    Di Paolo che cammina ancora zoppo per le pistolettate della polizia in Piazza Indipendenza ?
    Di Nino tornato fuori di testa dal servizio militare e che, ancora adesso, fa il barbone ?
    Storie brutte, quasi una strage in quel gruppo di capelloni che andavano in bisca e sentivano a palla i Pink Floyd in quei primissimi anni settanta e dopo si erano messi in testa di fare la rivoluzione !
    Un filo tragico che porta ad altre vite, piu’ recentemente stoncate, Carlo Giuliani e Dax, in nome degli interessi del capitale.
    La lotta continua anche nel loro nome !

    Keoma ( Aprile 2004)


  • Stefania

    Bellissimo il racconto di Keoma. Vivevo a Primavalle in quegli anni, ero una bambina, ma l’atmosfera era proprio quella, me lo ricordo benissimo.


  • Massimo

    sono passati molti anni ormai!! il mio ricordo e la mamma di mario salvi,non 16 enni abitavamo in via agusto tebaldi serafino biffi via vincenzo tommassini ecc,il mio ricordo vivo,e che portavo i miei nuovi jens alla mamma sempre disponibile e cordiale,e cosi mi li stringeva e faceva l orlo!! cazzo quanto tempo!!i ricordi indelebili

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *