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Bologna: ruppe i denti a una studentessa, condannato celerino

Un anno e quattro mesi di carcere – con pena sospesa – per lesioni gravi; 5 mila euro di spese processuali e 20 mila euro di risarcimento per spese dentistiche. E’ questa la pena inflitta ieri dal gip di Bologna Letizio Magliaro al celerino Pasquale Bonofiglio, il poliziotto della squadra mobile di Bologna che il 12 ottobre del 2011 colpì una studentessa al volto così forte da frantumarle ben quattro denti. Il pm aveva chiesto tre anni senza attenuanti generiche e senza la sospensione della pena, ed entrambe le richieste erano state accolte dal Gup, ma la condanna alla fine è stata più lieve. “La giustizia è arrivata anche da queste aule. Io sono felice, perché vuol dire che si è aperto un dibattito, una crepa” ha commentato a caldo Martina Fabbri, la studentessa universitaria – allora aveva 22 anni – picchiata mentre, nell’autunno del 2011, manifestava con altri attivisti davanti alla sede bolognese della Banca d’Italia, contro tagli e austerità. 
Quel giorno attivisti di varie realtà, lavoratori e soprattutto studenti si erano dati appuntamento davanti a Bankitalia per riconsegnare simbolicamente la lettera che l’estate precedente il governatore Mario Draghi e il presidente della Banca Centrale Europea Jean-Claude Trichet avevano inviato al governo Berlusconi per ‘chiedere’ pesanti tagli al welfare e all’occupazione. Contro i manifestanti la polizia caricò violentemente quasi subito. E visto che i manifestanti non scioglievano il presidio, partì una seconda carica, ancora più violenta. Tanto che una manganellata inferta sulla bocca di Martina le provocò la rottura di quattro denti e altre ferite (un labbro spaccato e una contusione alla schiena). Ma Pasquale Bonofiglio durante la sua deposizione nell’ambito del processo ha negato di essere stato lui l’autore del gesto. Nessuna testimonianza utile è venuta dai colleghi del celerino, e il pubblico ministero Morena Plazzi si è più volte lamentata della scarsa collaborazione di Digos e polizia nelle indagini per identificare il colpevole.

“Con questo risultato tuttavia non si fermeranno le nostre richieste nei confronti della polizia: numero identificativo sulla divisa o sul casco e introduzione del reato di tortura” ha aggiunto la vittima commentando la sentenza. Soddisfatto anche l’avvocato della ragazza, Simone Sabattini: “La sentenza è positiva. Chi ci avrebbe creduto all’inizio? Il merito del risultato di oggi va al pm e al perito di parte”.

La sentenza è arrivata ieri mattina dopo che era stata formalizzata la richiesta di rito abbreviato per l’agente, oggi non più in servizio al settimo reparto mobile di Bologna, ma assegnato all’ufficio di gabinetto della Questura del capoluogo emiliano.

In concomitanza con il processo una cinquantina di attivisti del Tpo, di altre realtà antagoniste di Bologna e di Rimini, si sono ritrovati davanti al tribunale per un presidio di solidarietà con la ragazza, che si è trasformato poi in un corteo che ha chiesto lo scioglimento del reparto mobile di Bologna, lo stesso accusato di aver massacrato nel 2005 a Verona l’ultras bresciano Paolo Scaroni. All’inizio della protesta alcuni di loro erano entrati all’interno del cortile del tribunale ed avevano aperto uno striscione che recitava: “Il sorriso della libertà contro la violenza dell’omertà e del settimo reparto”. Poi i manifestanti hanno sfilato in corteo per via D’Azeglio dedicando la sentenza a Carlo Giuliani, a Federico Aldrovandi e a tutte le vittime della ‘malapolizia’, concludendo poi la manifestazione in Piazza Maggiore.

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