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Scontro tra Italia e Usa sui droni

* Il Sole 24 Ore del 18 maggio 2013

L’Italia alza la voce con gli Stati Uniti lamentando i ritardi e le esitazioni di Washington nel consegnare gli armamenti da imbarcare sui sei droni Reaper acquisiti negli States dall’Aeronautica italiana che si aggiungono ai sei più piccoli Predator già impiegati in Iraq e Libia e schierati in Afghanistan. Roma chiese a Washington l’autorizzazione ad acquisire missili e bombe per i droni quasi due anni fa e una mancanza di risposta da Washington è “un caso che non è molto accettabile” ha detto ad Aviation Week il generale Claudio Debertolis, alla guida di Segredifesa (l’organismo militare che cura l’acquisizione di nuove armi ed equipaggiamenti) affermando senza mezzi termini che in alternativa l’Italia potrebbe sviluppare droni armati con i partners europei e che in proposito esiste già un “programma riservato” (black program). Il generale Alberto Rosso, responsabile della logistica dell’Aeronautica Militare Italiana, ha aggiunto che “gli Stati Uniti non sono l’unico paese in grado di fornire queste capacità e se non saremo in grado di soddisfare le nostre esigenze potremmo cercare alternative”.

Dichiarazioni che aprono molti interrogativi soprattutto perché l’acquisizione dei kit di armamento per i Reaper sembrava procedere senza intoppi anche se con qualche ritardo. Al Congresso qualcuno espresse riserve circa l’esportazione di tecnologie così avanzate ma non erano stati posti veti alla richiesta dell’Italia che inizialmente acquistò per sua scelta i velivoli teleguidati privi di armamento. Oggi però l’Aeronautica vorrebbe schierare i Reaper armati in Afghanistan al posto degli attuali Predator disarmati ma la missione a Herat si concluderà nel 2014 e forse mancherà il tempo per addestrare il personale all’uso delle armi e avvicendare i droni. Inoltre il trasferimento avrebbe un costo non indifferente in vista del ritiro del contingente militare e a fronte delle attuali difficoltà finanziarie. Ciò nonostante non sembrava ci fossero tensioni con gli Stati Uniti e l’11 maggio il Capo di stato maggiore dell’Aeronautica, generale Pasquale Preziosa, ha detto disse in un’intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno che i droni del 32°Stormo saranno dotati di armamento entro quest’anno.

Affermazione che sembra contraddittoria rispetto a quanto dichiarato da Debertolis anche se è paradossale constatare che gli aspetti salienti e polemici circa gli armamenti per i droni italiani sono emersi sui media americani. Un anno or sono fu il Wall Street Journal a rivelare che il Congresso aveva dato il via libera alla richiesta della Casa Bianca di fornire le armi ai Reaper italiani e oggi è Aviation Week, autorevole settimanale aeronautico statunitense, a registrare i malumori dei vertici militari italiani, forse interessati ad apparire su un giornale d’oltre Atlantico per farsi sentire meglio dal Pentagono. Quanto al “programma riservato” per il drone armato europeo citato da Debertolis la vicenda è tutta da chiarire. Sono note da tempo le difficoltà emerse tra i partners europei a trovare un accordo per produrre un drone armato comune, sottolineate anche da Debertolis che però riferisce di un possibile annuncio del progetto europeo al Salone aerospaziale parigino di Le Bourget il mese prossimo. Se anche così fosse ci vorrebbero però anni per arrivare a disporre di una flotta operativa di nuovi droni italiani “made in Europe” che renderebbero superflui i droni acquistati in questi anni negli Stati Uniti per 378 milioni di dollari.

Sempre su Aviation Week il generale Debertolis ha espresso alcune valutazioni anche sul sistema di difesa contro i missili balistici MEADS (Medium Extended Air Defense System), programma congiunto tra Italia, Stati Uniti e Germania dal quale Washington si sgancerà l’anno prossimo dopo il completamento della fase di sviluppo. Per la difesa mobile contro i missili balistici gli americani hanno aggiornato i missili Patriot e acquisito il THAAD(schierato recentemente sull’isola di Guam per far fronte alle minacce nordcoreane) e la loro uscita dal MEADS nel quale detengono il 58 per cento rischia di far fallire il programma vanificando gli investimenti sostenuti fino ad oggi pari a 4 miliardi di dollari tra i quali 800 milioni versati dall’Italia.

Debertolis auspica che Polonia e Giappone, interessate a un programma nazionale di difesa antimissile, colmino il vuoto lasciato dagli statunitensi e di “due clienti internazionali interessati a essere coinvolti nello sviluppo e nella produzione” aveva parlato anche Rick Edwards, vice presidente esecutivo di Lockheed Martin Missiles, partner dell’europea MBDA nello sviluppo del programma. Nonostante i programmi di austerity colpiscano duro anche la Difesa, Debertolis ha detto ad Aviation Week di voler acquistare almeno una batteria di Meads per la difesa di Roma. L’Italia però schiera già un sistema contro i missili balistici, il Samp-T prodotto con i francesi da MBDA, in dotazione all’Esercito (offerto anche ai turchi) e che impiega il missile Aster 30. L’acquisizione di una batteria di Meads duplicherebbe i sistemi antimissile italiani e i costi anche perché il sistema impiega il missile americano Patriot PAC-3 non adottato dall’Italia.

Fonti di Segredifesa hanno precisato al Sole24 Ore che la batteria citata da Debertolis è il prototipo utilizzato per i test e lo sviluppo già esistente nella base romana di Pratica di Mare che sarebbe utile “impiegare in qualche modo” qualora il programma Meads non dovesse arrivare alla fase di produzione per mancanza di fondi o di partner”.

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