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Samba e martello: Don’t you Uruguay, tonight

Dopo aver virato verso destra alle ultime elezioni europee, con l’uscita della Nazionale dai Mondiali, gli italiani si ritrovano a fare una cosa parecchio di sinistra: l’analisi della sconfitta.

Come d’abitudine, più che con un momento di riflessione abbiamo a che fare con una rissa continua. Da queste parti non si riesce a parlare di qualcosa che è andato male senza trasformare tutto in un 8 settembre. Quindi abbiamo quelli delle carenze tecnico-tattiche, quelli delle scelte sbagliate di Prandelli, quelli che vedono la prima crepa dell’epopea renziana (tranquilli – si fa per dire –, sarà ancora lunga),quelli della cabala, quelli contro Balotelli, quelli contro Cassano, quelli contro Chiellini…

In pochi vedono la cosa per quello che è: l’Italia in Brasile ci è arrivata abbondantemente cotta. La vittoria con l’Inghilterra è stata un’illusione, giacché quelli erano ancora più scoppiati di noi. Quando abbiamo beccato il Costa Rica – il cui unico merito è stato quello di correre – siamo affondati malamente, la difesa made in Juventus si è fatta mettere sotto dall’attaccante pop art Campbell, davanti sono arrivati pochi palloni decenti, e quei pochi sono stati malamente sprecati. Con l’Uruguay puntavamo al pareggio, ce la stavamo facendo, poi l’espulsione di Marchisio ci ha costretti a giocare esclusivamente nella nostra metà campo, con tutti i rischi del caso.

Poi, per carità, non che la squadra di Tabarez abbia fatto vedere grandi cose, ma il loro gol – arrivato per una colossale dormita della difesa su un calcio d’angolo – era qualcosa di assolutamente prevedibile. Giocare per lo 0-0 e perdere 1-0 é qualcosa di visto e rivisto sui campi di calcio.

Il morso di Suarez, l’arbitro che condivideva il nome (qualcuno dice pure la madre) con quello famoso dell’ottavo di finale del 2002 contro la Corea del Sud, il caldo e tutto il resto. Buoni alibi, non c’è che dire. Ma il punto è sempre lo stesso, in Brasile ci siamo arrivati da cadaveri. E, stanchi morti, siamo andati in confusione. I cambi di Prandelli contro Costa Rica e Uruguay ne sono una dimostrazione plastica: senza senso, dettati più dall’umore del momento che da qualche tattica, alla continua ricerca di una botta di culo improvvisa. Pure velleità, come credere di poter fare tredici al Totocalcio con una colonna di X.

La Serie A è un torneo brutto e triste, malinconico. Le squadre italiane in Champions League vanno sempre peggio. I migliori talenti li mandiamo a giocare fuori. Le convocazioni sbagliate. Gli eterni rimpianti. Eccetera, eccetera, eccetera. È troppo facile fare un processo all’Italia, colpevolissima e malandata com’è. Il costume nazionale, però, prevede un po’ di forca dopo ogni delusione, e oggi tocca a Prandelli – che ha sì sbagliato tutto dal codice etico in poi, ma almeno si è dimesso – e a Balotelli, additato come origine di ogni male. Il nuovo refrain, sempre più razzista, è il seguente: «Se fosse stato bianco non l’avrebbero fatto giocare». Lui è quello che è: un ragazzo viziato e parecchio confuso, stronzetto e arrogante. Il perfetto capro espiatorio, in sostanza. E fa niente se anche gli altri non abbiano brillato: quello è negro.

Così è passata la sbornia mondiale, i tricolori dai balconi sono spariti in un lampo, l’Italia è tornata ad essere quel posto neomalinconico che cerca novità ovunque – in un sindaco, in un comico, in un mondiale –, alla ricerca di una svolta improvvisa. Che, così, non arriverà mai.

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