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Pisa. Le “ruvidezze” del servizio d’ordine Cgil al corteo dello sciopero generale

Erano quattro le provincie chiamate a sfilare a Pisa nel corteo per lo sciopero generale convocato da Cgil Uil e Ugl: Livorno (dove il coordinamento dei lavoratori aveva precedentemente deciso di non aderire allo sciopero), Lucca, Massa Carrara e la città ospitante.

Cinquemila presenze vere, di cui una parte non indifferente composta da funzionari sindacali. Lo sforzo organizzativo della CGIL e della UIL (autobus e pulmini hanno intasato la città per ore) ha comunque coadiuvato la presenza di alcune migliaia di lavoratori veri – pubblici e privati – a rappresentare le tante vertenze  che costellano – con il solito corollario di licenziamenti, mobilità, ricatti vari – una regione che inizia ad accusare a fondo le conseguenze della crisi sistemica di un modello incentrato sui distretti, sull’esportazione, sull’industria (significativa in questo senso la poca presenza delle realtà livornesi), sul terziario, sui servizi all’impresa e alle amministrazioni locali.

Una manifestazione stanca e silenziosa, dove si distingueva il solo spezzone della UIL e dell’UGL, per slogan e fischietti. Dal resto del corteo nessuna voce si alzava contro il governo, il jobs act, la legge di stabilità.

La monotonia del corteo è stata rotta solo dall’arroganza fuori misura del servizio d’ordine della CGIL, che sin dall’inizio della marcia ha respinto ripetutamente e molto rudemente le aree politiche che avevano deciso di partecipare allo sciopero. Lo scontro ha rieditato, in sedicesimi, il cliché delle manifestazioni sindacali degli anni ’70 del secolo scorso, quando la sinistra rivoluzionaria di allora si accodava ai corteoni sindacali e, sulle note dell’internazionale, ci si scontrava – duramente e con alterni risultati – con gli imponenti SdO sindacali di allora. 

I risultati delle risse di stamane a Pisa sono stati unidimensionali, vista la sproporzione di numeri tra gli energumeni della CGIL e gli spezzoni alternativi.

Il risultato politico è stato la marginalizzazione fisica di aree che sullo sciopero del 12 dicembre avevano investito non poco: occupazioni temporanee, dibattiti, incontri, che continueranno nei prossimi giorni.

Lo sciopero “a babbo morto” di una burocrazia sindacale impegnata a sopravvivere ai colpi assestati dall’esecutivo Renzi non valeva certo tutto questo impegno. Il jobs act procede speditamente, insieme alla legge di stabilità e allo sblocca Italia, garantiti sino ad ora dal placet del sindacalismo concertativo autoctono e dalla copertura politica della Troika europea, impegnata quotidianamente a salvaguardare le proprie direttive, imposte attraverso presidenti del consiglio che oramai si alternano vorticosamente a Palazzo Chigi.

Chi continua a battersi contro lo stato di cose presenti è bene che, da ora in poi, si scelga gli alleati e i nemici giusti. La cgil non è un alleato neppure occasionale, così come Renzi è sicuramente un pericoloso nemico, ma non quello principale.

Il 12 dicembre è una parentesi già chiusa. Occorrerà solo impegnarci per contrastare tra i lavoratori lo scoramento, la sfiducia e lo sbandamento che da sempre determina uno sciopero inutile.

Dal 13 in poi occorre ricominciare a battere le strade della ricomposizione di un fronte di lotta indipendente dall’attuale quadro politico – sindacale “di lotta e di governo”.

Senza una concreta ipotesi ricompositiva  delle soggettività che innervano le miriadi di lotte, la resistenza sociale, sindacale e politica nel nostro paese, il rischio è quello di “attraversare” un (breve) percorso fatto di progressiva inconsistenza politica, sociale, sindacale e culturale, alla fine del quale c’è la scomparsa di un soggetto oppositivo in grado di mettere in discussione lo stato di cose presenti. Questo è l’obiettivo di Renzi e dei poteri fortissimi che,  finché sarà utile, lo sosterranno.

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1 Commento


  • Marilena

    A Palermo avevamo anche i centri sociali applaudito all’entrata in piazza Verdi

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